Il caso

Cosa c’è dietro alla maglietta da 10 franchi che compri su Shein?

Nelle fabbriche che producono vestiti per il colosso cinese i dipendenti lavorano fino a 12 ore al giorno per stipendi molto bassi - David Hachfeld della ONG Public Eye: «È una forma estrema di sfruttamento»
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Michele Montanari
05.02.2025 10:45

Un solo giorno libero al mese. Qualcuno non ha neppure quello. Nelle fabbriche di Shein, a Guangzhou, nel sud della Cina, si lavora senza sosta per stipendi miseri. I macchinari non si fermano mai, mentre gli operai realizzano vestiti di ogni sorta. Magliette, camicie, pantaloni o costumi da bagno che saranno spediti ai clienti in oltre 150 Paesi del mondo. I prezzi dei capi d’abbigliamento sono stracciati e i prodotti, molto spesso, di bassissima qualità. Oggi, per descrivere colossi dell’e-commerce come AliExpress, Temu e Shein, si parla di «fast fashion» o «moda usa e getta», dato che gli abiti, generalmente, non sono destinati a durare.

A Guangzhou c’è il quartiere Panyu, noto come «villaggio Shein», un gruppo di fabbriche che alimenta il più grande attore di fast fashion al mondo. Il colosso cinese è uno dei maggiori rivenditori online attivi anche in Svizzera e, secondo Bernhard Egger, direttore di Handelsverband.swiss, farebbe perdere miliardi di franchi ai negozi elvetici. E non solo, per questo 2025, molte aziende svizzere si sono dette preoccupate per la crescita della presenza dei giganti online cinesi. Dagmar Jenni, direttrice di Swiss Retail Federation, vedendo minacciata l'esistenza di alcuni dettaglianti svizzeri, ha ammonito che bisognerebbe «porre fine alle distorsioni artificiali della concorrenza e al relativo trattamento preferenziale delle piattaforme online straniere».

Dietro ai prezzi stracciati e al successo di Shein ci sarebbero turni di lavoro massacranti e salari molto bassi. L'ennesima denuncia arriva dalla BBC, la quale ha trascorso diversi giorni in Cina, visitando 10 fabbriche, parlando con quattro proprietari e con più di 20 lavoratori. Secondo l’emittente britannica il cuore pulsante del colosso dell’e-commerce è costituito da una forza lavoro seduta dietro alle macchine da cucire per circa 75 ore alla settimana, in violazione alle leggi cinesi sul lavoro, che prevedono una settimana lavorativa di massimo 44 ore. La BBC ha stimato che il valore dell’intero gruppo, che consegna circa un milione di pacchi al giorno in quasi tutto il mondo, si aggiri intorno ai 60 miliardi di dollari.

«Normalmente lavoriamo dieci, undici o dodici ore al giorno», ha rivelato una dipendente di 49 anni della provincia cinese dello Jiangxi, aggiungendo che la domenica si lavora circa tre ore in meno rispetto agli altri giorni. Ma la sostanza non cambia e i salari per gli orari prolungati restano molto bassi rispetto al costo della vita elevato. L’orario di lavoro standard andrebbe dalle 8:00 alle 22:00, con brevi pause per i pasti e gran parte dei lavoratori intervistati ha dichiarato di avere solo un giorno libero al mese. Nelle fabbriche di Shein si viene pagati in base al capo di abbigliamento realizzato. Per una semplice maglietta, ad esempio, si prendono da uno a due yuan (1 yuan cinese equivale a 0.13 franchi, ndr), stando alle testimonianze, quindi i lavoratori cercano di fabbricarne il più possibile nell'arco della giornata.

Secondo la BBC, gli operai guadagnano tra i 4 mila e i 10 mila yuan al mese (dai 500 ai 1.300 franchi circa), nonostante l'Asia Floor Wage Alliance preveda un minimo di 6.512 yuan come «salario dignitoso».  Quanto scoperto dall'emittente britannica è in linea con un rapporto dell'ONG svizzera Public Eye, basato su interviste a 13 lavoratori tessili impiegati nelle fabbriche che producono abiti per Shein. 

Shein, che ha la sua sede principale a Singapore, lo scorso anno era finita sotto i riflettori anche per la presenza di sostanze tossiche negli abiti venduti online. Le analisi della rivista tedesca Öko-Test avevano rilevato in diversi prodotti la presenza, anche in alte concentrazioni, di antimonio, dimetilformammide, piombo, cadmio, ftalati vietati, naftalene e idrocarburi policiclici aromatici (IPA). Tornando alla domanda del titolo, dietro a quelle maglietta da 10 franchi che ordiniamo su Shein c'è «una forma estrema di sfruttamento», secondo David Hachfeld della ONG Public Eye.