La testimonianza

«Così i bimbi sono scappati dall’inferno di Mariupol»

Una parte di loro potrebbe trovare accoglienza in Ticino, all’ex Albergo Astano - Ora si trovano in Polonia e la direttrice dell’orfanotrofio che li ospitava racconta la fuga dalla città rasa al suolo
John Robbiani
John RobbianieTetiana Urbanska
21.04.2022 06:00

«All’inizio non avevo capito che fosse necessario fuggire. Credevo che ci sarebbe stato sì qualche bombardamento, ma che poi sarebbe scesa in campo la diplomazia e tutto si sarebbe risolto». Natalia Lashchevskaya è la direttrice di un orfanotrofio di Mariupol. Parla delle bombe, della paura e della fuga verso la Polonia, dove ora si trova. E della speranza di un futuro in Ticino, dove tre fondazioni stanno trasformando due ex strutture alberghiere di Astano per ospitare i bambini portati in salvo.

È dal 2014 che Mariupol, per la sua vicinanza a Donetsk, vede la guerra da vicino. I suoi abitanti ci avevano fatto l’abitudine. Ma il 24 febbraio, quando la Russia ha lanciato l’offensiva su larga scala, tutto è cambiato. Era ancora fiduciosa Natalia Lashchevskaya. Credeva che tutto si sarebbe risolto con la diplomazia. Lei è la direttrice di Wings of Hope, un orfanotrofio colpito dall’artiglieria nella città simbolo della devastazione di questa guerra.I bambini che ha portato in salvo potrebbero presto trovare una sistemazione ad Astano, in Malcantone. Lashchevskaya ci ha concesso un’intervista, resa possibile anche grazie al lavoro di traduzione di Taras Polishchuk. «Ai bombardamenti - dice Lashchevskaya - eravamo pronti, anche se poi si sono rivelati molto più potenti di quanto potessimo immaginare. Il nostro istituto disponeva di un seminterrato dove mettere al riparo i bambini». Ed era ben equipaggiato. «C’erano letti, acqua e cibo. Speravo che sarebbe bastato scendere e aspettare. Che tutto sarebbe finito presto». Ma in Ucraina la speranza non basta. Nelle prime ore d’invasione Lashchevskaya riesce a mettersi in contatto con le autorità locali. «Restiamo? Forse non dovremmo andarcene». Perché lei, appunto, era fiduciosa. Ma dall’altra parte della cornetta la risposta della funzionaria è categorica:_«Andate via, datemi retta». E così, alle 11 del mattino, inizia l’evacuazione dell’orfanotrofio.

Zaporizhzhia e le prime bombe

«Abbiamo lasciato la città - ricorda Lashchevskaya - grazie a quattro bus messi a disposizione dal Municipio. Con tutti i bambini e altri sette impiegati siamo andati a Zaporizhzhia», città celebre per la sua centrale nucleare occupata dai russi.

Città occupata, sì, ma comunque più sicura di Mariupol. I bambini restano con un’accompagnatrice. Gli altri tornano al Wings of Hope.

«Non avevamo idea di quel che ci attendeva. Abbiamo guidato di notte e i bombardamenti si sono intensificati. Avevamo paura di essere colpiti». Ma nonostante tutto a Mariupol arrivano e, il giorno dopo, Lashchevskaya si reca al lavoro. «Dovere. Dal 25 febbraio la struttura ha iniziato a ospitare rifugiati. I russi stavano colpendo nelle vicinanze e abbiamo dato un tetto a una quindicina di liceali e agli ospiti di altri due orfanotrofi. Fino al 15 marzo abbiamo fornito assistenza a chi ne aveva bisogno». Poi tutto è ulteriormente degenerato.

L’istituto viene colpito

Il 15 marzo, appunto, l’edificio che ospita Wings of Hope viene colpito. «Già il 13 un’esplosione aveva fatto saltare le finestre. Il 15 tutti sono stati sfollati, e il 16 la struttura è stata presa di mira dall’artiglieria».

Portare al sicuro i bambini fin dal primo giorno si è dunque rivelata una scelta giusta. «Sì, e sono grata al sindaco per averci convinto ad andar via».

Ma il peggio doveva ancora arrivare._«Non c’erano corridoi o convogli umanitari. Le persone si sono messe in viaggio da sole, come potevano, e a loro rischio. Io me ne sono andata il 19 o il 20. Passavamo i checkpoint russi e gli autisti venivano fatti scendere e fatti svestire. Fuori la temperatura era -7. Non so cosa cercassero, ma per fortuna siamo passati. Abbiamo guidato fino a Berdyansk. Città occupata anch’essa, ma almeno ho potuto lasciare mia madre da parenti. Io sono di nuovo andata a Zaporizhzhia per unirmi ad alcuni bambini, i più piccoli, che erano rimasti in città. Ma da Berdyansk a Zaporizhzhia il viaggio è stato durissimo: ho aspettato 2 giorni un convoglio che non è mai arrivato. E allora mi sono messa in viaggio da sola, e la mia auto è stata danneggiata da un’esplosione. I russi, evidentemente, non volevano che noi ucraini entrassimo in città».

Era la loro casa ed è stata presa di mira dall'artiglieria russa a più riprese tra il 13 e il 16 marzo

Il ruolo delle ragazze più grandi

Ma parliamo dei bambini. Come hanno vissuto l’evacuazione?_«È difficile per un adulto, figuriamoci per un bambino. Per fortuna, da Mariupol ce ne siamo andati in tempo e i ragazzi non hanno visto tutti gli orrori della guerra, anche se sui bus le bombe e gli spari già si sentivano. Devo dire che le ragazze più grandi - nel nostro istituto ci sono bambini ma anche giovani con meno di 18 anni - hanno aiutato moltissimo, e durante quei momenti si sono trasformate, comportandosi da adulte. Cambiavano i pannolini ai più piccoli, li pulivano, li abbracciavano. Si comportavano come se fossero le loro sorelle o, perfino, le loro madri. È stato estremamente toccante».

Leopoli significa speranza

Facciamo un passo indietro. Lashchevskaya era ancora a Mariupol, isolata e praticamente senza connessione, mentre i bambini stavano a Zaporizhzhia. «Ho ricevuto una chiamata dall’assistente del ministro Dmytro Kuleba. Mi diceva che sarebbe stato possibile spostare i bambini a Ovest, ma che bisognava decidere in fretta». A Zaporizhzhia c’è una sola collaboratrice di Wings of Hope, da sola non avrebbe potuto trasferire 60 bambini. «Ho dunque chiesto aiuto a mia figlia più grande. Abita a Dnipro ed è psicoterapeuta. Le ho detto che potevo fidarmi solo di lei».

E lei ha accettato, aiutando i bambini ad arrivare a Leopoli. A quel punto, il Governo ucraino ha organizzato il trasferimento dei bimbi in Polonia, a Dazimierz Dolny, dove dal 4 marzo sono stati sistemati in un hotel. La direttrice riesce ad arrivarci solo il 24.

«Per quasi tre settimane sono rimasti praticamente da soli. Le autorità polacche, i volontari e lo staff dell’albergo si sono impegnati moltissimo, anche se la situazione era complicata». La dieta offerta ai ragazzi non era per esempio ottimale, ma la situazione è stata risolta grazie all’intervento di un parroco. Poi, non è facile gestire gli spazi, perché i bambini devono tornare a studiare. Ma, sopprattutto, occorre saper gestire i piccoli. «L’evacuazione ha avuto gravi effetti. Sono più irritabili, nervosi e aggressivi. Hanno bisogno di una casa e la riabilitazione deve iniziare il più presto possibile».

Verso la Svizzera

Per Wings of Hope potrebbe profilarsi un futuro in Ticino. Tre Fondazioni (Azione Posti Liberi, Sos Infanzia e Angeli di L.U.C.A.), come riferivamo il 15 aprile, stanno lavorando alla ristrutturzione dell’ex Albergo e dell’ex Ostello Astano proprio per ospitare una parte dei bimbi. «Non so come siano venuti a conoscenza di noi in Svizzera», spiega la direttrice. «In Polonia mi ha contattato una persona che lavora per un’organizzazione, dicendoci che c’era la possibilità di un trasferimento nella Confederazione. Le autorità ucraine hanno dato il loro assenso. Ho anche parlato con i bambini, che si sono detti preoccupati per i compagni, i più piccoli, tuttora rimasti in Ucraina. Ventinove, tutti tra l’anno e mezzo e i 6 anni, a Leopoli, e altri 10 - tra i 12 e i 18 mesi - a Zaporizhzhia. Abbiamo deciso che, quando avremo una casa e tutto sarà pronto, porteremo anche loro. Ora è troppo presto. Sono troppo piccoli. Spero dunque che chi ci ha invitato in Svizzera ottenga i permessi e ci aiuti a spostarci dalla Polonia. E ci aiuti anche a trasferire i bimbi rimasti in Ucraina. Per noi è importante: non siamo soltanto un’istituzione, siamo una famiglia».

Non sarà per sempre

Arrivare in Svizzera, ma non per sempre. «Alcuni dicono che nella migliore delle ipotesi dovremo stare via almeno 5 anni. Sono cose che non voglio neppure sentire. Amo il mio Paese e voglio tornarci. Lo vogliono anche i bambini. È casa nostra».

In Malcantone si continua a lavorare

Come riferivamo il 15 aprile tre fondazioni ticinesi (Azione Posti Liberi, Sos Infanzia e Angeli di L.U.C.A.), assieme a Veritas, si stanno impegnando per portare in Ticino alcuni degli ospiti dell’orfanotrofio di Mariupol. I proprietari dell’ex Albergo e dell’ex Ostello di Astano hanno messo a disposizione gratuitamente gli immobili e architetti e artigiani stanno lavorando alla sistemazione degli spazi. L’ostello, ha spiegato ieri il portavoce delle fondazioni, l’avvocato Paolo Bernasconi, è agibile. Mentre per l’albergo fervono i lavori per il ripristino totale. Occorrerà poi anche garantire le risorse per l’accoglienza e la scolarizzazione. Ad Astano potrebbero essere ospitate piccole comunità. L’ex albergo, lo ricordiamo, è da tempo inutilizzato ed era stato venduto nel 2016.

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