Da Putin non arriva un «no»

Dopo due giorni di silenzio, è finalmente arrivata una risposta alla proposta di cessate il fuoco in Ucraina consegnata alla Russia dagli Stati Uniti dopo i colloqui avuti con Kiev a Jeddah. Vladimir Putin, al termine di un incontro a Mosca con il presidente bielorusso Alexander Lukashenko, ha parlato alla stampa. Tregua, dunque? No. Almeno non alle condizioni poste dagli occidentali. Eppure, nascoste fra le pieghe della retorica di Putin, qualche apertura a una possibile sospensione del conflitto c’è stata. Insomma, in perfetto stile russo non si è trattata di una risposta «piena». Sono stati lanciati dei segnali, dei messaggi. Il primo: serve tempo, ci sono ancora dei dettagli da discutere con gli americani. Le prossime tappe, poi, andranno di pari passo con l’avanzata delle forze armate di Mosca nella ripresa della regione di Kursk. Il punto centrale è uno soltanto: interrompere ora la linea di contatto con i soldati ucraini ancora in territorio russo, sarebbe impensabile. Non è un caso, quindi, che lo stesso Putin si è recato mercoledì in visita a un posto di comando nella zona di confine. Una visita altamente simbolica e che riflette il momento sul terreno: le truppe di Kiev, dopo la clamorosa operazione nel Kursk dello scorso agosto, stanno infatti procedendo con il ritiro dopo pesantissimi scontri. L’Ucraina ha giocato la carta a sorpresa, riuscendo a tenere sotto scacco i russi per molti mesi. Ora, la dinamica del conflitto lungo quel fronte - dopo pesantissime perdite fra i ranghi delle forze russe - è cambiata. Al punto che le autorità ucraine hanno ordinato l’evacuazione di otto località vicino all’oblast di Kursk. «A causa del peggioramento della situazione operativa nella regione e dei continui bombardamenti, è stato deciso di effettuare l’evacuazione obbligatoria della popolazione di otto località» della regione ucraina di Sumy, hanno indicato in un comunicato le forze armate ucraine. Del resto, il timbro sulla fine dell’operazione in territorio russo l’ha messo lo stesso Putin: «Qui tutto è sotto il nostro completo controllo», ha affermato al termine della visita a sorpresa, «e nei prossimi giorni alle truppe ucraine ancora presenti resteranno solo due opzioni: arrendersi o morire».
Cause più profonde
Il primo messaggio lanciato dal Cremlino agli occidentali riguarda dunque la sovranità (o meglio, l’integrità) dell’intero territorio del Paese. La prima condizione per una tregua passa come visto dalla completa ripresa del Kursk. Eppure, sempre stando a quanto dichiarato in serata da Putin, la questione del cessate il fuoco ha altri significati. Più profondi, e forse per questo ancora più difficili da accettare per Kiev. Le «sfumature» di cui ha parlato lo zar sono, appunto, sfumature. E, al momento, sono di difficile comprensione. Putin ha indicato che una cessazione momentanea del conflitto «deve essere tale da portare ad una pace a lungo termine e affrontare le cause di fondo del conflitto». Riassumendo: Mosca è rimasta sul vago per lasciarsi uno spazio negoziale in cui inserire richieste più precise durante le prossime tappe di avvicinamento a una tregua. E l’interlocutore non potrà che essere uno soltanto: Donald Trump. Del resto, la frase riguardante le sfumature porta dritta a Washington: «I particolari (di un possibile cessate il fuoco, ndr) vanno messi a punto con ulteriori consultazioni con gli Stati Uniti, magari a livello di presidenti», ha dichiarato ancora Putin, il quale ha pure espresso «gratitudine» per gli sforzi messi in campo finora dal tycoon per raggiungere la fine della guerra. Da parte sua, il presidente USA (impegnato a sua volta in un colloquio con Mark Rutte, segretario generale della NATO) ha definito le affermazioni del capo del Cremlino «molto promettenti», ancorché «incomplete». Prima di mettere al loro posto tutte le tessere del mosaico, bisognerà attendere ancora. L’ipotesi, allora, è che una risposta definitiva da parte di Mosca su una tregua in Ucraina possa arrivare in un colloquio diretto tra i due leader. «Mi piacerebbe incontrare e parlare con Putin», ha fatto sapere ancora Trump. Ma per ora non è in programma nemmeno una telefonata tra i due presidenti, ha sottolineato il consigliere del Cremlino per la politica estera, Yuri Ushakov.
Qualche indicazione più precisa potrebbe tuttavia arrivare al termine dell’incontro fra lo stesso Putin e l’inviato della Casa Bianca, Steve Witkoff, cominciato in tarda serata nel più stretto riserbo nella capitale russa. Mosca non ha precisato quando avranno termine le discussioni, ma secondo il presidente bielorusso Alexander Lukashenko, il confronto potrebbe estendersi anche alla giornata di domani. Sarà forse durante il bilaterale ad altissimo livello che la Russia preciserà le sue richieste agli Stati Uniti. Qualche indizio riguarda anche la parte «tecnica» di un possibile accordo. Come ha riferito ancora Putin, andrà stabilito chi dovrà ordinare la cessazione delle ostilità, o come controllare la tenuta della tregua su una linea del fronte lunga 2.000 chilometri. E pure come verificare che l’Ucraina non usi la tregua temporanea per continuare «la mobilitazione forzata e gli approvvigionamenti di armi». Con queste frasi, il leader del Cremlino ha implicitamente confermato tutte le perplessità espresse dai suoi collaboratori nelle ore precedenti. In particolare dal consigliere Ushakov, secondo il quale la proposta di cessate il fuoco di 30 giorni «deve essere modificata per tenere conto degli interessi della Russia» perché «rappresenta solo l’approccio dell’Ucraina».
Molto da perderci
Sullo sfondo di un momento decisivo per le sorti del conflitto, si stagliano però lunghe ombre sulla posizione di Kiev. Volodymyr Zelensky negli ultimi giorni ha ottenuto un assist dagli USA con la proposta congiunta di un cessate il fuoco di 30 giorni. Ma Mosca appare ancora solida dal punto di vista negoziale. Al di là delle questioni del Kursk e di chi decide cosa durante la possibile «pausa», restano alcuni capisaldi della politica estera russa. Le «questioni di fondo» per una pace prolungata evocate da Putin riguarderebbero infatti condizioni imprescindibili agli occhi del Cremlino. Sbarrare la strada a una futura adesione alla NATO dell’Ucraina sarebbe uno dei passi necessari. Un passo sul quale, secondo Ushakov, la Russia ha già incassato il consenso di Washington. Ma Mosca insiste anche nelle sue richieste territoriali, che prevedono la cessione da parte dell’Ucraina delle quattro regioni (Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Kherson) che ora sono parzialmente occupate dalle forze russe, oltre alla Crimea, annessa fin dal 2014 da Mosca. Si tratta di «regioni della Federazione Russa», come è scritto nella Costituzione, e «questo è un dato di fatto», ha detto il portavoce di Putin, Dmitry Peskov.
E Zelensky? La prima replica è arrivata su X in tarda serata: «Da Putin parole prevedibili e manipolatorie. La Russia è l’unica a temporeggiare e a non essere costruttiva. Hanno bisogno di questa guerra».
Insomma, Zelensky e l’Ucraina hanno ancora molto da perdere sul piano diplomatico. E il gioco dei negoziati è appena iniziato.