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Da Umberto Bossi a Franco Turigliatto: la storia dei «tradimenti» in Parlamento si ripete

Nel 1994 il leader della Lega mollò d’improvviso Silvio Berlusconi mettendo fine al primo governo del centrodestra. Romano Prodi fu invece impallinato da Rifondazione Comunista a causa delle 35 ore
Umberto Bossi ai tempi della Lega «secessionista». ©ANSA
Dario Campione
12.01.2021 23:01

In Italia, la storia della seconda Repubblica è costellata di “tradimenti” e colpi bassi: più o meno annunciati, più o meno clamorosi. Una storia quasi sempre ancorata ai nomi dei protagonisti, i quali dopo aver conquistato i loro 15 minuti di celebrità sono regolarmente scomparsi di scena.

Come non ricordare, ad esempio, l’exploit di Franco Turigliatto, senatore eletto con Rifondazione Comunista e affossatore del secondo governo Prodi, cui negò la fiducia il 24 gennaio 2008. O i cambi di casacca dei dipietristi Antonio Razzi e Mimmo Scilipoti, sbarcati armi e bagagli nella galassia berlusconiana con l’etichetta di «responsabili» e diventati, con il tempo, bersaglio preferito soprattutto della satira politica.

In principio, in realtà, ci fu Umberto Bossi. Che alla fine del 1994, sotto l’albero di Natale, fece trovare a Silvio Berlusconi il più classico dei bocconi avvelenati, interrompendo in modo traumatico la prima esperienza di governo del cavaliere.

I cambi di casacca di Antonio Razzi e Mimmo Scilipoti sono diventati bersaglio della satira politica

Di quella vicenda rimangono alcuni passaggi celebri: il senatùr che passeggia in canottiera nei giardini di Villa Certosa, quasi un fotogramma di un film di Lina Wertmüller sull’orgoglio della classe operaia. E la frase di Gianfranco Fini, allora leader di Alleanza Nazionale, che ai giornalisti assiepati nella bouvette di Montecitorio ripetè serio: «Con Bossi non intendo prendere più nemmeno un caffè. Un’alleanza tra il Polo della Libertà e la Lega è impensabile e impossibile. Bossi è inaffidabile e un ignorante dal punto di vista storico, come sta a dimostrare la sua battaglia per la Repubblica del Nord». Lo stesso Bossi con il quale, non molto tempo dopo, sarebbe tornato al governo del Paese.

Tra i guastatori in servizio permanente effettivo sui banchi di Montecitorio o di Palazzo Madama vanno poi annoverati, tra gli altri, Clemente Mastella, Marco Follini, Angelino Alfano: eredi orgogliosi della tradizione democristiana. Tuttavia, lo scettro del più tenace dei picconatori rimane saldamente nelle mani di Fausto Bertinotti, il quale da segretario di Rifondazione Comunista pur di abbattere il primo governo Prodi, nell’ottobre del 1998, accettò di pagare il prezzo di una scissione. L’ennesima della sinistra italiana.

Bertinotti disse no alla missione militare in Albania, poi aprì il fronte delle 35 ore. Un gigantesco psicodramma sfociato nella nascita di un governo D’Alema che, per reggersi in piedi, fu costretto a cercare i voti tra i cossuttiani e gli «straccioni di Valmy» di Francesco Cossiga.

Sulla Repubblica, Gennaro Migliore - oggi deputato renziano e all’epoca nella direzione nazionale di Rifondazione - ha negato possibili analogie con la situazione attuale. «Ne vedo una sola - ha detto -. Noi rompemmo perché Prodi non ci diede le garanzie richieste. In quel caso sulle 35 ore». Oggi, forse, il punto di frattura è il Mes. «Ma ogni crisi - ammette alla fine Migliore - fa storia a sé».

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