Il personaggio

Dagli hot dog alla rivolta, le mille vite di Yevgeny Prigozhin

Il viaggio in America e l'idea di aprire una catena di fast food, i ristoranti e i catering di altissimo livello, la svolta militare e la fondazione del Gruppo Wagner: che cosa sappiamo dell'ex alleato di Vladimir Putin?
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Marcello Pelizzari
23.08.2023 23:15

Il Gruppo Wagner. E poi i ristoranti, le ditte di catering, i contratti statali, la famigerata fabbrica di troll. Oltre al turbocapitalismo degli anni Novanta, quelli immediatamente successivi alla dissoluzione dell'Unione Sovietica. Il nome di Yevgeny Prigozhin, in queste ore, è sulla bocca di tutti. Ma di chi stiamo parlando, esattamente? Proviamo a riavvolgere il nastro.

Prigozhin, innanzitutto, è il leader della milizia paramilitare denominata, appunto, Gruppo Wagner. Milizia co-fondata nel 2014. Imprenditore, noto anche come chef di Putin, durante la guerra in Ucraina è stato protagonista, con i suoi mercenari, della battaglia per il controllo di Bakhmut. Con l'aumentare del peso e del coinvolgimento del Gruppo nel conflitto, tuttavia, Prigozhin è parso sempre più insofferente nei confronti dei vertici dell'esercito regolare di Mosca. Accusati, fra le altre cose, di scarsa strategia e di non aver supportato a dovere gli sforzi della sua milizia. Un'insoddisfazione e una frustrazione, quelle del leader del Gruppo Wagner, sfociate nella ribellione di giugno. Con il ritiro dal fronte e la marcia di centinaia e centinaia di chilometri verso Mosca, interrotta dopo un breve contatto con Vladimir Putin. Il quale, in cambio di un esilio forzato in Bielorussia, gli avrebbe garantito l'immunità.

Gli hot dog

Nato a San Pietroburgo nel 1961, la stessa città di Putin, Prigozhin perse il padre quando aveva appena nove anni. Da ragazzo sognava di diventare uno sciatore professionista, ma un infortunio gli precluse una carriera sulla neve. Per qualche tempo, sbarcò il lunario come istruttore sportivo per bambini. Allo stesso tempo, come ricostruito da Intercept, Prigozhin si era dato a svariate attività criminali. Arrestato una prima volta nel 1978, per furto, e condannato a due anni e mezzo di prigione con sentenza sospesa, in seguito entrò a far parte di una gang pietroburghese e, nel 1980, venne condannato a 13 anni per rapina a mano armata, frode e coinvolgimento di minori in attività criminali. Rilasciato nel 1990 dopo aver beneficiato di una riduzione della pena, grazie al fatto di aver intrapreso comportamenti correttivi, citiamo, durante la sua permanenza nella colonia penale, venne rilasciato nel 1990 e si iscrisse all'Università, facoltà di Farmacia. 

Lasciati presto gli studi, si sposò, mise su famiglia – tre i figli – e cambiò, una volta ancora, vita. Anche perché, oramai, erano arrivati gli anni Novanta. Quelli, come detto, del turbocapitalismo e della liberalizzazione spinta. Con l'Unione Sovietica che, dall'oggi al domani, divenne solo un ricordo, nostalgico, per i più anziani. Fu in questo contesto, una sorta di Far West – pardon, East – selvaggio e senza regole che Prigozhin si scoprì imprenditore. Un viaggio negli Stati Uniti, un tempo l'acerrimo rivale, gli diede l'idea di aprire una catena di fast-food nel suo Paese. La Federazione Russa. Di qui l'allestimento di oltre cento chioschi di hot dog. Un successo. Enorme. 

Il settore della ristorazione divenne, presto, il suo terreno di caccia preferito. Aprì bar, ristoranti e altro ancora. Quando cominciò l'era di Vladimir Putin, Prigozhin era attivo anche nell'edilizia. E aveva, appunto, successo. Parecchio successo. Tanto da guadagnarsi e garantirsi l'accesso ai salotti buoni delle élite e della politica. Con una sua azienda di catering, la Concord, si assicurò i banchetti più importanti. Negli anni Duemila, per dire, ospitò due presidenti americani, George Bush e Bill Clinton, ma anche Jacques Chirac, Tony Blair e Carlo, allora ancora principe di Galles. Di più, Prigozhin fu chiamato a servire in occasione del compleanno di Putin, nel 2003, e all'inaugurazione della presidenza di Dmitry Medvedev, nel 2008. Sì, era entrato nel cosiddetto cerchio magico del Cremlino. E, di riflesso, avviò uno spostamento, sempre più evidente e marcato, delle sue attività verso il settore della Difesa.

La svolta militare

Nel 2012, al riguardo, il Cremlino affidò proprio a Prigozhin la fornitura di pasti all'esercito russo. Il contratto, leggiamo, aveva un valore stimato di 1,2 miliardi di dollari l'anno. Parallelamente, il futuro leader del Gruppo Wagner nel 2013 istituì la Internet Research Agency, una società dedicata alla diffusione di propaganda online e di operazioni per influenzare l'opinione pubblica all'estero. La famigerata fabbrica di troll, proprio quella, attiva in particolar modo durante le presidenziali americane del 2016 per favorire l'ascesa di Donald Trump. Attività, queste, che costarono a Prigozhin e ad altri dodici cittadini russi una condanna, nel 2018, nell'ambito dell'inchiesta sul Russiagate. L'imprenditore, fra l'altro, figurava nella lista degli individui sanzionati dagli Stati Uniti già da due anni.

La fondazione del Gruppo Wagner risale invece al 2014. Ad accompagnarlo, in questa avventura, l'ex funzionario dei servizi russi Dmitry Utkin. L'obiettivo? Aiutare il Cremlino in teatri complicati. O, se preferite, agire per conto di Mosca in modo non ufficiale. I mercenari di Prigozhin, pescati in gran parte nelle carceri russe o fra gli ex detenuti, vennero subito impiegati nel Donbass. Quindi, in altri contesti in cui la Russia era presente o aveva forti interessi: la Siria, la Libia, il Mali, la Repubblica Centrafricana. I paramilitari del Gruppo, detti anche «musicisti», si distinsero tanto per la loro efficacia quanto per la loro efferatezza. Sul loro conto, presto, iniziarono a figurare stupri, torture, assassini, esecuzioni. Anche fra i civili. 

Il teatro principale, per contro, rimarrà quello ucraino. Fallito l'obiettivo di una guerra lampo, il Ministero della Difesa russo decise di affidarsi proprio ai miliziani di Prigozhin – era l'autunno del 2022 – per sbloccare la situazione. Soprattutto in alcune città del fronte orientale, come Soledar e Bakhmut, assediata per mesi e mesi.

Le critiche a Shoigu e Gerasimov

Salto al presente. I successi, in Ucraina, del Gruppo Wagner hanno richiesto uno sforzo enorme in termini umani. Prigozhin, in un conteggio impossibile da verificare, parla di 22 mila miliziani morti sui 78 mila impiegati al fronte. Un tributo che l'oramai ex ristoratore, dicevamo, ritiene inaccettabile. Facendo crescere, dentro di sé ma anche sui social, frustrazione e delusione. E individuando in Sergei Shoigu, il ministro della Difesa, il principale responsabile del fallimento della cosiddetta operazione militare speciale, definizione che Prigozhin, di suo, aveva presto abbandonato parlando direttamente di guerra. 

Prigozhin, lo scorso giugno, aveva non a caso chiesto la testa di Shoigu e quella del capo di Stato maggiore, Valerji Gerasimov, minacciando pesanti conseguenze in caso non fosse stato ascoltato. La sera del 23 giugno, il leader del Gruppo Wagner aveva invece diffuso un messaggio nel quale denunciava che i suoi accampamenti in Ucraina erano stati colpiti da missili russi. Eccola, la miccia che aspettava Prigozhin per scatenare un vero e proprio colpo di Stato. Immediatamente, il Gruppo Wagner ha fatto rientro in patria varcando il confine a Rostov sul Don e assumendo il controllo degli edifici militari della città. Di fatto, è l'inizio di una breve, ma intensa, guerra civile. «Vogliamo vedere il capo di Stato maggiore Gerasimov e Shoigu» le parole di Prigozhin. «Se non arrivano occuperemo la città di Rostov e ci dirigeremo verso Mosca».

La marcia, in effetti, è ripresa dopo che Putin, in televisione, aveva invitato all'unità la nazione. Chiedendo di respingere il golpe. Proclamata la legge anti-terrorismo, e blindata Mosca nel timore che il Gruppo, effettivamente, potesse arrivare fino alla capitale, a duecento chilometri dalla capitale, circa, sabato sera, l'incredibile dietrofront di Prigozhin: rivolta sospesa, ufficialmente «per evitare spargimento di sangue russo».

Perché quel dietrofront?

I motivi del dietrofront sono stati a lungo analizzati e studiati. Dietro alla decisione di interrompere la marcia su Mosca ci sarebbe stata una trattativa, via telefono, condotta con Vladimir Putin e agevolata dal presidente bielorusso Aleksander Lukashenko a mo' di mediatore. Prigozhin, di suo, si sarebbe reso conto che nella capitale non avrebbe avuto fortuna mentre Putin, dal canto suo, gli avrebbe offerto un salvacondotto: nessuna persecuzione per le accuse di sedizione, contestategli in tempo zero, in cambio di un esilio in Bielorussia. 

Nell'accordo, anche l'esautoramento del Gruppo Wagner. Che in Ucraina, a combattere, non tornerà più. Mentre il destino del suo co-fondatore, sin dalle prime avvisaglie di golpe, pareva segnato.

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