Il punto

Dai terremoti a una possibile eruzione in Islanda: che cosa sappiamo?

Grindavík, piccola cittadina di pescatori, resta in allerta: nell'area si segnalano ancora attività sismiche e il magma sta risalendo verso la superficie – Ma quali sono gli scenari possibili?
© AP Photo/Brynjar Gunnarsson
Federica Serrao
15.11.2023 19:00

In Islanda, la terra trema da giorni. E la possibilità che si verifichi un'eruzione vulcanica si fa sempre più concreta. Ieri, i meteorologi islandesi hanno fatto sapere di aver registrato 700 terremoti in sole otto ore, nell'area di Grindavík. Cittadina di circa 3.000 anime, nella penisola di Reykjanes, distante 50 chilometri dalla capitale. Questa notte, da mezzanotte alle otto del mattino, di terremoti se ne sono contati altri 800. La maggior parte di questi, spiega l'IMO (Ufficio meteorologico islandese), si è verificata nel mezzo di un dicco magmatico, a una profondità tra i 3 e i 5 chilometri. Ragione per cui la probabilità che si verifichi un'eruzione resta ancora «alta». 

Non solo. Sempre ieri, gli appositi sensori hanno rilevato nell'aria la presenza di anidride solforosa (biossido di zolfo). Il che significa, in altre parole, che la roccia fusa si trova ormai vicino alla superficie. Nello specifico, come precisato dai geofisici dell'IMO, il magma potrebbe trovarsi solo 500 metri sotto Grindavík. La segnalazione ha fatto immediatamente scattare l'evacuazione dei residenti che ieri avevano fatto ritorno verso le proprie abitazioni per recuperare oggetti personali e animali domestici abbandonati nella cittadina durante il weekend. Questa mattina, quindi, una volta «rientrato» l'allarme, si sono formate lunghe code di auto, con a bordo i cittadini che cercavano di rientrare velocemente, per salvare il salvabile. Prima che sia troppo tardi. Nessuno, infatti, può prevedere quando avverrà l'eruzione. E ogni tentativo di rientrare verso Grindavík potrebbe essere l'ultimo. 

Il magma sotto Grindavík

Ma come si è arrivati fino a questo punto? E, soprattutto, quali sono gli scenari a cui andremmo incontro, qualora vi fosse davvero un'eruzione? Per comprenderlo, bisogna partire dal principio. Ossia, analizzando la posizione particolare su cui sorge l'Islanda che, non a caso, è considerata una delle regioni più vulcaniche del pianeta. L'isola si trova infatti sulla dorsale medio-atlantica, dove ogni anno le placche tettoniche del Nord America e dell'Eurasia si allontanano di un paio di centimetri. Queste placche tettoniche, a loro volta, sono divise da una catena montuosa sottomarina, da cui fuoriesce roccia calda fusa, oppure magma. Come sta accadendo in questi giorni, quindi, quando il magma spinge attraverso le placche per prima cosa si verificano dei terremoti. Prima che, a tutti gli effetti, risalga del tutto, dando il via all'eruzione. 

A Grindavík, i primi segnali d'allarme sono arrivati verso la fine di ottobre, quando hanno iniziato a registrarsi i primi terremoti. Terremoti che, nella scorsa settimana, sono stati fino a 1.400 in un solo giorno. Il più forte di questi, venerdì, aveva una magnitudo pari a 5.2. Nel frattempo, molte strade della cittadina sono crollate e si sono aperte importanti crepe. Dalle quali, ora, sta risalendo del vapore. La cittadina sorge infatti su un punto caldo vulcanico e sismico, dove si è recentemente aperto un tunnel di magma di 15 chilometri, da cui ora potrebbe infatti risalire dando il via all'eruzione. 

Oltre all'evacuazione di Grindavík, a chiudere i battenti è stata anche la nota Blue Lagoon (Laguna Blu), centro termale che sorge a una decina di minuti dalla cittadina. In un primo momento, la nota attrazione turistica avrebbe dovuto restare inagibile per una sola settimana, ma ieri la struttura ha deciso di estendere la chiusura fino al 30 di novembre. L'eruzione, come detto, è pressoché imprevedibile, e nessuno può quindi sapere con certezza quando avverrà. Anche se, a detta degli esperti, rimane una «questione di giorni». E nonostante l'attività sismica stia diminuendo rispetto alla scorsa settimana, i pericoli rimangono concreti. 

Dimenticate l'eruzione dell'Eyjafjöll

Parlando di eruzioni vulcaniche e, in particolare, di eruzioni vulcaniche in Islanda, a molti la situazione attuale potrebbe ricordare quanto accadde nel 2010, quando a eruttare fu l'Eyjafjöll. All'epoca, dopo la seconda eruzione del vulcano – coperto dal ghiacciaio Eyjafjallajökull – un'enorme nube di cenere aveva paralizzato il traffico aereo di tutta Europa per più di una settimana e causato notevoli disagi. Questa volta, tuttavia, gli esperti escludono scenari catastrofici, seppur restando cauti. 

Una foto dell'eruzione dell'Eyjafjöll nel 2010. © X
Una foto dell'eruzione dell'Eyjafjöll nel 2010. © X

In primo luogo, infatti, l'eruzione dell'Eyjafjöll del 2010 interessò, come detto, un vulcano che si trova sotto un ghiacciaio. In quel caso, l'acqua fredda del ghiacciaio unita alla lava diede origine a delle piccole particelle di ghiaccio, che miscelate alla cenere divennero parte della nube di vapore e fumo, che raggiunse il resto dell'Europa.

In questo caso, invece, gli esperti prevedono che l'eruzione avverrà per lo più sottoterra, con il rischio di estendersi, piuttosto, sotto il mare, diventando «esplosiva». Parte della faglia di quindici chilometri, infatti, si trova sott'acqua. Qualora si avverasse questo scenario, l'eruzione avrebbe più analogie con quella che diede origine all'isola Surtsey, nel novembre del 1963. Ma, potenzialmente, potrebbe sollevare una nube di cenere particolarmente importante. Nube che potrebbe causare gravi pericoli respiratori, a causa delle grandi quantità di zolfo, fluoro e cloro, rilasciati durante l'eruzione, richiedendo quindi un attento monitoraggio delle emissioni e della dispersione di questi gas nocivi, per proteggere la salute pubblica. Discorso diverso, invece, per i voli. Grazie ai recenti passi in avanti sul rapporto tra cenere e aerei, gli esperti sostengono che difficilmente si potrebbe ripresentare una situazione di caos come quella avvenuta nel 2010. Anche se i disagi, anche in questo caso, potrebbero comunque essere importanti.

Nel secondo scenario, qualora la lava dovesse emergere solamente nella parte di frattura sulla terraferma, si andrebbe verosimilmente incontro a un'eruzione di bassa intensità, simile a quelle del Fagradalsfjall avvenute nel 2021, nel 2022 e all'inizio di quest'anno. Per la precisione, potrebbero verificarsi quelle che vengono definite "fontane di fuoco", che altro non sono che colate di lava. In quel caso, i rischi per il traffico aereo, come successo nel recente passato, sarebbero minimi. 

Ma non è finita qui. Secondo un terzo scenario, se l'eruzione dovesse aver luogo proprio all'interno di Grindavík, gli effetti sulle infrastrutture potrebbero essere devastanti. E, come accaduto nel 1973 con l'eruzione di Eldfell sull'isola di Heimay, una parte della cittadina potrebbe venire sepolta dalla lava. 

Ma l'Islanda non si ferma

Al momento, dunque, Grindavík resta in allerta. Mentre nel resto dell'Islanda, la vita – ma anche il turismo – procedono senza particolari intoppi. L'isola è ancora aperta ai visitatori, nonostante il punto caldo si trovi particolarmente vicino all'aeroporto di Keflavík, il principale scalo del Paese. Per ora, infatti, i voli atterranno e decollano normalmente. Anche a Reykjavík, nella capitale, la vita procede in maniera ordinaria. I cittadini, dopotutto, sanno cosa significhi «vivere vicino ai vulcani». I turisti, invece, continuano a viaggiare sulla Ring Road, visitando le cascate, i ghiacciai e le tutte le meraviglie d'Islanda, senza interferenze. Solo Grindavík rimane isolata, circondata da posti di blocco e polizia. In attesa di un'eruzione che tutti aspettano, ma che nessuno può prevedere quando e come avverrà. 

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