Il punto

Dal blitz fallito all'offensiva nel Donbass

A Mosca comincia a mancare terreno sotto i piedi, complici le perdite accumulate e le sanzioni occidentali che stanno sfibrando l'economia russa – I destini del conflitto si giocheranno a est: il tempo è un fattore chiave
Marcello Pelizzari
07.04.2022 11:00

Addio blitz, addio Kiev, addio guerra lampo. La resistenza ucraina ha cambiato, finanche sconvolto, i piani della Russia. E così, Mosca ha spostato il focus sull’est del Paese e in particolare sul Donbass. L’obiettivo, leggiamo, è sedersi di nuovo al tavolo dei negoziati con «qualcosa». Le prossime settimane saranno decisive per l’esito del conflitto.

Il lampo mancato

Lo abbiamo detto e scritto più volte: Vladimir Putin, quando ha annunciato la sua «operazione militare speciale», confidava in un successo rapido. E per certi versi indolore. Simile all’annessione della Crimea nel 2014.

Le truppe arrivate in Ucraina dalla Bielorussia, da anni satellite di Mosca, in effetti hanno guadagnato la periferia di Kiev in tempi strettissimi. Tuttavia, si sono scontrate con la difesa ucraina. E lì, di fatto, sono rimaste impantanate. Finendo per combattere una guerra di posizione.

La Russia, quindi, ha accerchiato la capitale ucraina e altre grandi città. Un assedio terribile, a colpi di artiglieria e bombardamenti aerei. Con, giocoforza, vittime sul fronte civile. L’Ucraina, ancora una volta, non si è piegata. Di più, ha utilizzato con successo la contraerea a disposizione e i droni per infliggere perdite pesanti all’esercito russo. Che, nonostante la netta superiorità numerica, non è neppure riuscito a garantirsi il dominio dei cieli.

La guerra rapida immaginata da Putin, con il passare dei giorni, si è trasformata in un grosso guaio logistico per Mosca.

Il cambio di strategia

L’annuncio del cambio di strategia risale al 29 marzo scorso, quando la Russia ha spiegato che avrebbe ridimensionato le attività militari nei pressi di Kiev e Chernihiv per concentrarsi sulla «liberazione» del Donbass.

Non solo, Mosca ha cercato di contrastare i giudizi dell’Occidente che, di fronte al ritiro, ha parlato di sconfitta e fallimento. Lo scopo delle operazioni a nord, ha spiegato il Cremlino, era quello di indebolire le forze ucraine impedendo loro di unirsi alle truppe impegnate nel Donbass.

«Ci vorranno settimane»

Secondo diversi analisti, l’esercito russo potrebbe impiegare settimane prima di riorganizzarsi e lanciare un vero attacco a est. Un’opinione, questa, condivisa dal ministero della Difesa britannico. Intanto, insiste su Mariupol e sulla conquista di un corridoio costiero verso la Crimea.

L’Ucraina, stando alle stime, avrebbe messo fuori uso almeno un quarto delle unità russe coinvolte nei combattimenti.

L’est del Paese, e il Donbass nello specifico, è stato «usato» da Mosca per rafforzare la sua narrazione circa l’intervento in Ucraina. Analogamente, la guerra intestina che coinvolge il Donbass dal 2014 ha temprato le forze di Kiev. Che a un’invasione, in fondo, erano preparate da tempo.

Donbass e Crimea

Il nuovo piano russo, hanno riferito esperti ucraini e occidentali, sarebbe quello di circondare le truppe ucraine nel Donbass. Molto dipenderà dalla rapidità con cui si concluderanno le operazioni nella città di Mariupol, oltreché dalla capacità della Russia di riorganizzarsi.

La prossima sarà, in tutto e per tutto, una battaglia cruciale per i destini dell’Ucraina. Pure il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg ha usato questi termini nel descrivere le settimane che verranno. Stoltenberg, in particolare, ha chiarito che la Russia ha intenzione di lanciare un’offensiva «per cercare di prendere l'intero Donbass e creare un ponte di terra verso la Crimea occupata».

Mosca, ad ogni modo, dovrà affrontare gli stessi problemi che hanno caratterizzato la sua prima offensiva-lampo. Citiamo il mantenimento delle linee di rifornimento, nello specifico, colpite a più riprese dagli ucraini. Ma anche l’incapacità di garantirsi il dominio dei cieli e la resilienza della popolazione.

Il 9 maggio

L’est, ricordiamo, era uno dei motivi che hanno spinto Putin a invadere l’Ucraina. Una vittoria nel Donbass potrebbe fornire un assist pericoloso al presidente russo: in patria, infatti, potrebbe affermare che gli obiettivi principali della cosiddetta «operazione militare speciale» sono stati raggiunti. La denazificazione e la liberazione delle province separatiste, già.

Putin, tuttavia, ha posto anche altre condizioni per parlare di pace: la sovranità della Russia sulla Crimea, il riconoscimento delle regioni separatiste, la neutralità dell’Ucraina e via discorrendo.

Certo, Mosca non ha più molto tempo a disposizione se consideriamo le perdite accumulate in queste lunghe settimane di guerra e, di nuovo, le sanzioni occidentali che stanno sfibrando l’economia del Paese. Di risorse per sostenere lo sforzo bellico, insomma, ce ne sono e ce ne saranno sempre meno.

L’obiettivo è quello di «festeggiare» una vittoria nel Donbass entro il 9 maggio, quando la Russia celebra la vittoria sulla Germania nazista nella Seconda guerra mondiale.

Intanto, però, la Russia sta affondando ogni giorno di più nel pantano ucraino. E il Cremlino, a fronte delle perdite accusate, sta ricorrendo a coscritti poco o per nulla addestrati. Con tutte le conseguenze in termini di consenso interno.

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