I precedenti

Dal Pisces III al Kursk, la storia dei tentativi di salvataggio sottomarini

Secondo un investitore di OceanGate, il Titan era stato progettato per riemergere automaticamente dopo 24 ore in caso di emergenza – Ma la struttura del portello è tale per cui un'emersione non sarebbe sufficiente
Red. Online
22.06.2023 14:45

Sono scadute le 96 ore di ossigeno a disposizione nel Titan, sebbene gli esperti al riguardo mantengano una certa cautela: è infatti possibile, come spiegato, che a bordo siano stati adottati alcuni accorgimenti per consumare meno aria e prolungare l'autonomia. Dunque? Al di là del fatto che le ricerche, finora, si siano rivelate infruttuose, nella misura in cui il batiscafo non è ancora stato individuato, stanno emergendo alcuni dettagli riguardo al design e alle funzionalità. 

Nello specifico, secondo un investitore di OceanGate, Andrew Newman, il Titan è stato progettato per ritornare in superficie dopo ventiquattro ore in caso di problemi o difficoltà. A trattenere il sommergibile sott'acqua e, poi, a permettergli di scendere in profondità, come in ogni mezzo di questo tipo, sono le cosiddette zavorre. Dei pesi, di fatto. Pesi che, nella peggiore delle ipotesi secondo Newman, da progetto dovrebbero sganciarsi in automatico dopo 24 ore, permettendo al sommergibile di tornare in superficie. «È progettato per risalire» ha tagliato corto l'investitore.

I metodi per liberare i pesi manualmente, invece, sarebbero due: fare oscillare il batiscafo o utilizzare una pompa pneumatica. Non dovessero funzionare, ecco appunto il rilascio automatico.

Il conduttore di Discovery Channel, Josh Gates, dal canto suo era stato a bordo del Titan nel 2021. E proprio a bordo aveva appreso di altri quattro modi che consentivano al sommergibile di perdere peso e tornare in superficie in caso di emergenza: dal rilascio dei pesi controllato da un computer al sistema di valvole manuali per iniettare aria nei contenitori esterni di zavorra, passando per il rilascio dei pesi tramite un sistema idraulico e la possibilità di staccarsi dalla «slitta» collegata al mezzo.

Ma raggiungere la superficie, di fatto, non basta: non essendoci alcun portello, i passeggeri dipendono in ogni caso dalle 96 ore di aria che il Titan aveva al momento dell’arrivo sul sito. Servirebbe, infatti, una squadra di salvataggio per sbloccare il sommergibile ed estrarre l'equipaggio. Se le ricerche, finora, si sono rivelate infruttuose è anche perché le squadre di soccorso stanno cercando un oggetto grande quanto un mini-van in un'immensa distesa oceanica.

La domanda, concludendo, ora come ora è una soltanto: quante probabilità ci sono di salvare delle vite? Difficile a dirsi. Quando si parla di disastri sottomarini, la memoria collettiva ripesca la tragica fine del Kursk, nel 2000, quando un siluro esplose a bordo del sottomarino della Marina militare russa uccidendo all'istante diversi membri dell'equipaggio. Ventitré marinai, tuttavia, riuscirono a sopravvivere all'esplosione e si rifugiarono in una nel compartimento nove, in attesa dei soccorsi. Il sottomarino, però, era terribilmente compromesso e giaceva a 106 metri di profondità nel Circolo Polare Artico. L'operazione, sin da subito, si rivelò complicatissima. Quando, nove giorni più tardi, i sommozzatori britannici e norvegesi raggiunsero il mezzo, tutti e 118 i membri erano morti.

Eppure, esiste anche un precedente felice. Molto felice. Nel 1973, i due membri dell'equipaggio del Pisces III, rimasto intrappolato sul fondo del mare al largo delle coste irlandesi per 76 ore, venne recuperato quando rimanevano appena 12 minuti di ossigeno. Ma quel salvataggio, ha fatto notare il National Geographic, avvenne a una profondità di «soli» 480 metri. 

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