«Dalla nuova Costituzione una speranza per il Cile»

Tra i numerosi film presentati a Lugano nell’ambito dell’edizione 2021 del Film Festival Diritti umani che si chiude domenica, figura «Santiago Rising» del regista britannico Nick MacWilliam. Un lavoro che porta sullo schermo le proteste sociali scoppiate nel 2019, alla vigilia dello storico plebiscito del 25 ottobre sulla nuova Costituzione, che hanno travolto e infiammato le strade e le piazze del Cile.
Sulla situazione socio-politica in questo Paese dell’America Latina, nel quale ha vissuto per un certo tempo lo stesso regista MacWilliam, abbiamo sentito il parere di Liliana Garcia Sosa, attrice uruguayana ospite del Film Festival Diritti umani di Lugano, che vive e lavora in Cile da oltre un trentennio ed è anche impegnata a livello politico-sociale come direttrice della Commissione cilena dei Diritti umani. «Per realizzare questa sua opera cinematografica - ci spiega Garcia Sosa - Nick MacWilliam ha filmato di persona quanto stava accadendo nella capitale cilena, ma si è anche avvalso di immagini e filmati realizzati durante tutta la fase delle proteste da diversi videomaker».
Il Cile, che figura tra i Paesi più sviluppati dell’America del Sud, presenta anche forti squilibri sociali. La nuova Costituzione, in fase di allestimento dopo il netto sì popolare all’abbandono di quella redatta all’epoca di Pinochet, permetterà di ridurre le diseguaglianze? «Lo spero, ma non so se sarà davvero così. Sicuramente sarà una Costituzione migliore di quella del 1980 che ci ha lasciato in eredità Pinochet, ma ho un po’ paura perché nel Paese vi sono una decina di famiglie - sottolinea Liliana Sosa - che in Cile hanno un forte potere economico e politico e inoltre possono contare sul sostegno degli Stati Uniti. E Washington, come noto, in America Latina, che considera il cortile di casa sua, ha sempre cercato di influenzare il corso dei processi sociali. Per cui non so se la nuova Costituzione potrà risolvere gli attuali problemi. Del resto le diseguaglianze che esistono in Cile non si possono eliminare da un giorno all’altro». Tra i gruppi sociali finora maggiormente discriminati nel Paese ci sono i popoli indigeni. «Fino ad ora - evidenzia l’attrice attiva nella difesa dei diritti umani - a questi popoli non era riconosciuto il rispetto delle loro lingue e delle loro tradizioni. Dalle proteste del 2019 ad oggi vi sono stati dei cambiamenti. Si stanno riconoscendo ai popoli indigeni i primi diritti. Tuttavia proprio in questi giorni il presidente cileno Piñera ha decretato lo stato d’emergenza nella regione dell’Araucanía, nel sud del Cile, dove si concentra il popolo mapuche. Questa zona si chiama Wallmapu».
La militante di origine mapuche, Elisa Loncon, guida i lavori per la stesura della nuova Costituzione. Ritiene che la sua nomina sia solo una scelta simbolica? «Non si è trattata di un’elezione simbolica - racconta la nostra interlocutrice - in quanto tutte le persone elette per formare la Convenzione costituente sono state votate dal popolo. E il risultato è stato una sorpresa in quanto la destra ha ottenuto meno di venti rappresentanti su un totale di 155. Elisa Loncon è stata eletta presidente della Convenzione costituente con un’ampia maggioranza».
Quale significato attribuisce a questo esito del voto popolare? «Credo che questo sia un segnale molto importante che nasce dalle proteste di piazza - spiega Garcia Sosa - in quanto nel corso di queste manifestazioni è apparsa per la prima volta nelle strade cilene la bandiera dei mapuche, ossia il popolo indigeno più numeroso che vive nel territorio cileno. I mapuche erano presenti nel Paese ancora prima dell’arrivo dei conquistadores spagnoli; la loro bandiera è stata presa come proprio simbolo anche da molta gente che non ha origini mapuche».
Che idea si è fatta di Elisa Loncon? «Credo che questa donna abbia diversi atout. Innanzitutto si tratta di un’accademica molto intelligente e rispettata da tutti i popoli indigeni del Cile, non soltanto dai mapuche. Inoltre - sottolinea Garcia Sosa - nel Paese molti speravano che alla guida della Convenzione costituente venisse nominata una donna».
Negli ultimi anni in Cile vi sono stati presidenti di destra e di sinistra. Non trova che nessuno dei due schieramenti abbia portato avanti delle reali riforme sociali? «Sì. Il problema, penso, è che quando nel Paese si è affermata la democrazia, non è stata cambiata la Costituzione. Dalla fine della dittatura in Cile ci sono stati alcuni passi positivi, ma sono mancati i cambiamenti sociali necessari. Questo perché a dettar legge vi sono ancora i principi economici stabiliti dalla Costituzione del 1980 che non è basata su diritti sociali e civili e ha favorito la privatizzazione dei servizi. Per questa ragione in Cile la vita è molto cara e chi non ha la fortuna di avere uno stipendio adeguato fa la fame».