Dentro lo scacchiere geopolitico di Gaza
Che cosa accadrà ora in Medio Oriente? In che modo la tregua potrebbe influenzare gli equilibri geopolitici dell’intera regione? Come leggere il ruolo preminente del Qatar nelle trattative tra Israele e Hamas, accanto a USA e Egitto? E poi ancora: possiamo considerare questo accordo come un primo passo verso una stabilizzazione della regione? «Risposte univoche non ci sono», spiega Giuseppe Acconcia, docente di Geopolitica del Medio Oriente all’Università di Padova. Dal piano strettamente locale del conflitto israelo-palestinese a quello regionale che coinvolge l’Iran con i suoi alleati, le risposte s’intrecciano in scenari e varianti che non consentono di affermare in maniera tranciante che cosa succederà nei prossimi mesi. «Prima di tutto dovremo vedere se questo cessate il fuoco, peraltro traballante dopo che ieri Israele ha detto che Hamas ha rinnegato l’accordo, verrà effettivamente mantenuto». Poi, molto semplicemente, la tregua non è la fine del conflitto. Semplificando molto: «Non si può dire che ora il Medio Oriente sia più stabile».
Prendiamo, per esempio, l’Iran che, dopo la tregua, ha parlato di «successo di Hamas». In realtà, secondo Acconcia, «se c’è un attore che è stato indebolito in questi 15 mesi di guerra, è proprio l’Iran. Innanzitutto, Teheran ha perso uno dei suoi principali alleati in Libano, Hassan Nasrallah, leader del movimento sciita Hezbollah, ucciso nei raid israeliani a Beirut lo scorso settembre. Questa perdita ha privato l’Iran di una figura centrale nel consolidamento della sua influenza in Libano. Un altro colpo significativo è stato l’uscita di scena di Bashar al-Assad, un pilastro strategico per l’Iran negli equilibri regionali. La sua deposizione, avvenuta dopo l’avanzata delle forze di Hayat Tahrir al-Sham (HTS) su Damasco l’8 dicembre, ha ulteriormente compromesso la rete di sostegno regionale della Repubblica Islamica, oggi più fragile rispetto al passato». Sul fronte geopolitico, Arabia Saudita e Stati Uniti hanno assunto un ruolo centrale, in particolare nella gestione della crisi in Libano. Un esempio emblematico è la recente nomina del nuovo presidente libanese, Joseph Aoun, e del nuovo premier, scelte che testimoniano la crescente marginalizzazione di Hezbollah nella scena politica libanese. Secondo Acconcia, un altro aspetto cruciale sarà verificare la tenuta dell’accordo di tregua raggiunto in Libano, mediato in parte da Israele. Questo rappresenterà un elemento determinante per valutare gli sviluppi nei prossimi mesi, sia per la stabilità della regione sia per il ruolo che l’Iran potrà continuare a svolgere.
Siamo quindi entrati in una fase di maggiore stabilità geopolitica nella regione? Ancora una volta gli scenari da tenere in considerazione non permettono una semplificazione. Secondo Acconcia, tuttavia, Trump potrebbe essere la chiave di volta: «Il presidente eletto intende davvero ritirare i 900 soldati stanziati nel nord della Siria, come promesso in campagna elettorale? Una decisione del genere potrebbe innescare un conflitto su larga scala, considerando che la Turchia ambisce a controllare le regioni curde». E poi ancora: «Che cosa pensano i repubblicani oggi del regime di Teheran? Hanno sempre sostenuto che si tratta di un pericolo per la regione. Consentiranno un ritorno al tavolo negoziale per il programma nucleare oppure no?». Domande che oggi non hanno riposta. Il Medio Oriente - e questo invece è cosa certa - negli ultimi mesi ha visto riaprirsi una ferita profonda e mai sanata. «Ci sono tantissime questioni aperte, pendenti da 80 anni. Pensiamo al fatto che Israele abbia messo le mani sulle alture del Golan; pensiamo alle richieste dei palestinesi che da decenni vivono nei campi profughi e che vorrebbero tornare alle loro case; pensiamo alla questione di Gerusalemme est, che viene considerata dai palestinesi come la capitale dello Stato di Palestina; pensiamo al fatto che in Cisgiordania ci sono le colonie e, da ultimo, alla questione dello Stato palestinese».
Secondo Acconcia, ogni dinamica geopolitica deve tener conto che il conflitto è ancora vivo e vegeto. Anzi, prima del 7 ottobre ci si illudeva che non esistesse più una questione israelo-palestinese. Insomma, il rischio che la tregua finisca con la consegna degli ostaggi, secondo Acconcia, è reale: «Sarà essenziale capire se Hamas riuscirà a ristabilire una leadership politica efficace e a mantenere un ruolo politico rilevante, oppure se verrà completamente assorbita dall’Autorità Nazionale Palestinese, perdendo così la sua identità islamista legata all’islamismo politico. In quest’ultimo caso, Israele potrebbe ridimensionare la necessità di mantenere l’assedio su Gaza, valutando anche un possibile ritiro unilaterale dalla Striscia». D’altro canto, prosegue l’esperto, uno degli obiettivi chiave di Israele resta la fine della stagione politica di Hamas.
Le premesse, insomma, sembrano ipotecare le risposte. Se poi allarghiamo lo sguardo alla regione, si aggiungono nuovi interrogativi: «Viviamo in un contesto in cui l’islamismo politico ha ripreso forza, come dimostrano gli eventi in Afghanistan e in Siria. Non si può escludere, quindi, che si apra una nuova fase anche per Hamas nella Striscia di Gaza».
Ma in queste dinamiche gli Stati Uniti che ruolo hanno avuto? «La tempistica del raggiungimento della tregua sembra strettamente legata al contesto politico, considerando l’imminente insediamento di Donald Trump», avverte Acconcia. Da un lato, l’amministrazione Biden ha lavorato intensamente per ottenere un cessate il fuoco prima della fine del mandato presidenziale, pur essendo stata criticata per aver permesso che il conflitto si prolungasse senza interventi decisivi. Dall’altro lato, Donald Trump ha rivendicato un ruolo centrale nei negoziati. Tuttavia - conclude l’esperto - «molti attori coinvolti sembrano aver accelerato per raggiungere un accordo prima che Trump assumesse la presidenza, probabilmente per evitare le incertezze legate alla sua futura gestione del dossier». Ad ogni modo, per gli sviluppi locali, molto dipenderà - come sottolineato dal segretario di Stato Blinken - dal futuro di Hamas e dal superamento dell’idea israeliana di mantenere un’occupazione permanente della Striscia.