«Dimissioni di un Papa? Domanda lecita, la Chiesa, però, ha altre priorità»

Le notizie in arrivo da Roma sulla salute di Francesco non sono, purtroppo, incoraggianti. Anche dal nostro cantone, in questi giorni, sono stati indirizzati verso il pontefice pensieri e preghiere: lo conferma monsignor de Raemy
Come sta vivendo
la comunità cattolica ticinese questo particolare momento della Chiesa?
«So che nelle
parrocchie, spontaneamente, si prega e si fa pregare per il Papa, come nelle
famiglie quando qualcuno si è ammalato o viene operato. Non c’è stato nemmno
bisogno di chiederlo».
E lei,
personalmente?
«Appena si è
appresa la notizia del ricovero del Papa, ho ricevuto subito la richiesta da
parte di una giornalista che mi chiedeva la disponibilità di un mio intervento,
anche durante la notte, visto che secondo lei il Santo Padre stava per morire.
Mi sono reso conto, una volta di più, dell’importanza pubblica che riveste il
papato. Mette in agitazione tutte le redazioni. Da parte mia, ho provato
dispiacere per il Santo Padre. Ma sappiamo anche che è in buone mani e che
riceverà tutte le cure necessarie per una persona della sua età».
La malattia del
Papa è un fatto mediatico ma, nello stesso tempo, un passaggio molto «umano».
Quale riflessione induce, anche in considerazione della decisione dello stesso
Francesco di rendere del tutto trasparente la sua malattia?
«Le più grandi
indipendenza, libertà e trasparenza le ha avute papa Benedetto XVI quando ha preso la decisione di dare le
dimissioni, confrontando le sue forze con i suoi compiti e senza lasciarsi
influenzare da considerazioni strategiche o mediatiche. I comunicati della
Santa Sede sulla malattia di papa Francesco sono molto chiari per chi si
intende di medicina e forse un po’ meno per la gente comune. Però, è bello che
venga precisato come il Santo Padre riesca a portare avanti le pendenze del suo
ministero».
Nella sua
autobiografia, Francesco ha detto di immaginare il ministero petrino «ad
vitam», pure sottolineando che, in caso di impedimento permanente, la
Segreteria di Stato è autorizzata a far valere la lettera di dimissioni firmata
e consegnata dopo l’elezione. Secondo lei, è venuto il momento di immaginare un
termine del mandato esecutivo anche per il Papa, così come accade per i vescovi
e per i cardinali?
«La particolarità
del ministero del Papa è quella data da Cristo a Pietro: “conferma” i tuoi
fratelli, e non viceversa. Questo gli conferisce uno statuto del tutto
speciale. La domanda è però lecita e merita di essere approfondita, visto anche
l’aumento della speranza di vita di una persona».


Quanto pesa,
sulla realtà attuale, il gesto compiuto da Benedetto XVI nel 2013? Si può dire
che sia stato una sorta di spartiacque tra un prima (in cui era quasi
inconcepibile che un Papa lasciasse) e un dopo?
«Diciamo
piuttosto che ha aperto una porta che c’era già - tutto è infatti previsto dal
Codice di diritto canonico - ma che nessuno osava varcare».
E in ogni caso,
le sembra opportuno, in momenti simili, discutere dentro la Chiesa delle
eventuali dimissioni del Papa?
«Ci sono ben
altre priorità nella nostra vita cristiana quotidiana, a cominciare dalla
preghiera per chi è malato. Francesco ha già previsto tutto con la citata
lettera di dimissioni: non anteponiamo dimissioni altrui alle nostre missioni».
La Chiesa
modellata da Francesco continuerà nella missione indicata dal Papa argentino
anche dopo la sua uscita di scena?
«Il Papa lascia
un magistero ordinario che entra a far parte della tradizione viva della Chiesa
che, così come per tutti i predecessori, conoscerà sviluppi che solo Dio sa».
Lei che cosa si
aspetta in questo senso?
«Quello che lo
stesso papa Francesco scrive nella sua autobiografia pubblicata appena un mese
fa: (Spera, Mondadori): “All’alba di quello che si delinea come un nuovo
cambiamento d’epoca, mi piace ricordare a ciascuno le parole pronunciate da
Giovanni Paolo II: ‘Non abbiate paura! Aprite, anzi spalancate le porte a
Cristo!’. E se un giorno i timori e le preoccupazioni vi assalgono, pensate a
quell’episodio del Vangelo di Giovanni, alle nozze di Cana, e dite a voi
stessi: il vino migliore deve ancora essere servito. (…) Il vento dello Spirito
non ha smesso di soffiare. Fate buon viaggio, fratelli e sorelle”».