Donald Trump decreta l'uscita dall'Accordo di Parigi: che cosa significa per il clima?
Lo aveva promesso e, puntualmente, lo ha fatto. All'alba del suo secondo mandato alla Casa Bianca, Donald Trump ha decretato l'uscita degli Stati Uniti dall'Accordo di Parigi. Ovvero, dal trattato internazionale sul cambiamento climatico cui quasi 200 Paesi hanno aderito nel tentativo, e nella speranza, di limitare gli effetti del riscaldamento globale. La notizia, in sé, è importante, molto importante. Per il ruolo, internazionale, che recita Washington e per l'impatto che la decisione del neo-presidente potrebbe avere. Non solo, la decisione non potrebbe cadere in un momento peggiore: il 2024, infatti, è stato l'anno più caldo di sempre. Non solo, il 2024 è stato anche il primo anno in cui la temperatura media ha superato il (temuto) limite di 1,5 gradi di riscaldamento dai livelli pre-industriali previsto proprio dall'Accordo di Parigi, arrivando a +1,6 gradi. Ahia.
Che cos'è l'Accordo di Parigi?
Nel 2015, oltre 190 Paesi si erano riuniti nella capitale francese per un vertice delle Nazioni Unite sul clima. Approvando, appunto, un trattato passato alla storia come Accordo di Parigi o, se preferite, Accordo sul clima di Parigi. L'obiettivo del trattato? Limitare il riscaldamento globale al di sotto dei 2 gradi rispetto all'era pre-industriale, preferibilmente a 1,5. Quest'ultima soglia, dibattuta dai politici e, in sostanza, promossa dagli scienziati, alla fine era stata aggiunta al testo più come un ideale (utopistico, a questo punto) che un vero e proprio obiettivo da perseguire.
Rispetto al 2015, tuttavia, il clima è cambiato, sia politicamente sia letteralmente. I cambiamenti, infatti, hanno subito un'accelerazione per certi versi impensabile. Detto papale papale, il pianeta si sta riscaldando a un ritmo che neppure la scienza aveva previsto. Di riflesso, è emersa con forza una verità: avanti di questo passo, le capacità di adattamento dell'umanità al riscaldamento globale diminuiranno in maniera significativa.
Le maggiori critiche all'Accordo riguardano l'assenza, come detto, di obiettivi vincolanti in termini di riduzione delle emissioni e la mancanza di azione immediata. E ancora: a ogni singolo Paese, in sostanza, è stato affidato il compito di stabilire i propri obiettivi e i metodi per raggiungerli. Di qui il rischio, concreto, di cortocircuito.
Ma quanto inquina Washington?
Gli Stati Uniti, dati alla mano, nel 2023 risultavano essere il secondo Paese con le emissioni di gas serra più alte del mondo (5,961 milioni di tonnellate di CO2 equivalente). Solo la Cina, per intenderci, ha fatto (e fa) peggio. Washington, sotto l'amministrazione Biden, aveva presentato un nuovo, ambizioso obiettivo climatico nel dicembre del 2024 per ridurre l'inquinamento climatico fino al 66% rispetto ai livelli del 2005. Entro il 2035. Una dichiarazione simbolica, più che altro, dal momento che le politiche climatiche di Trump erano chiare, anzi chiarissime al presidente uscente Joe Biden: far uscire, nuovamente, gli Stati Uniti dall'Accordo di Parigi. Una dichiarazione simbolica, dicevamo. Della serie: ecco che Paese avreste avuto se aveste votato un presidente democratico, Kamala Harris. Una dichiarazione simbolica e, ancora, fin troppo ambiziosa.
Trump è già alla seconda uscita
Gli Stati Uniti, a suo tempo, avevano partecipato ai negoziati che portarono al citato Accordo di Parigi, adottato da quasi 200 Paesi durante l'amministrazione Obama nel 2015. Non è la prima volta che Washington esce dal trattato. Trump, durante il suo primo mandato, aveva annunciato di voler far uscire il Paese già nel 2017, anche se la decisione era stata formalizzata soltanto il 4 novembre del 2020. Una decisione simbolica, anche qui, dal momento che Biden aveva appena vinto le presidenziali. E infatti, durante il suo primo giorno di mandato l'oramai ex presidente aveva annunciato l'intenzione di rientrare nell'Accordo.
L'orizzonte, da ieri, si è nuovamente capovolto. Trump ha ordinato il ritiro dall'Accordo di Parigi e, al contempo, annunciato la volontà di aumentare la produzione statunitense di combustibili fossili, al grido di «drill baby drill». Tradotto: il presidente vuole più trivellazioni.
È possibile rientrare?
Domanda: ma gli USA, volendo, potrebbero rientrare una volta di più nel trattato? Sì, ovviamente, anche se è impensabile che l'amministrazione Trump voglia impegnarsi, concretamente, nella difesa del clima. Quantomeno, a livello internazionale. Le Nazioni Unite, tramite un loro funzionario, hanno ribadito che la porta «rimane aperta». «Accogliamo con favore l'impegno costruttivo di tutti i Paesi» ha dichiarato in un comunicato il Segretario esecutivo delle Nazioni Unite per i cambiamenti climatici, Simon Stiell.
Stiell, in ogni caso, ha sottolineato che stiamo assistendo a un vero e proprio boom di energia pulita. In tutto il mondo, Stati Uniti compresi. Le preoccupazioni, dunque, andrebbero contestualizzate. Anche perché la transizione è un vero e proprio boom economico, valutato in 2 mila miliardi di dollari nel 2024. Di qui l'ammonimento del funzionari delle Nazioni Unite, come rifersice la CNN: «Ignorarlo non fa altro che inviare tutta questa vasta ricchezza alle economie concorrenti, mentre i disastri climatici come la siccità, gli incendi e le supertempeste continuano a peggiorare, distruggendo proprietà e aziende, colpendo la produzione alimentare a livello nazionale e provocando un'inflazione dei prezzi a livello economico».