Stati Uniti

Donald Trump, il primo presidente «felon»: «Ma niente galera»

Il prossimo 10 gennaio verrà emessa la sentenza sul cosiddetto caso Stormy Daniels, anche se il giudice Juan M. Merchan ha già detto di non essere incline a comminare una pena carceraria
©Yuki Iwamura
Red. Online
03.01.2025 23:15

Donald Trump rischia di insediarsi alla Casa Bianca come primo presidente felon. Sì, come un criminale. Salvo sorprese, legate a eventuali impugnazioni. Juan M. Merchan, il giudice del cosiddetto caso Stormy Daniels, ha infatti deciso che verrà emessa una sentenza. Ne ha dato notizia, in esclusiva, il New York Times. Lo scorso maggio, ricordiamo, il tycoon era stato ritenuto colpevole di tutti e 34 i capi di imputazione. Merchan ha dato appuntamento per la citata sentenza al prossimo 10 gennaio, dieci giorni prima del giuramento di Trump quale nuovo presidente degli Stati Uniti.

Il magistrato ha pure stabilito che Trump dovrà apparire in tribunale o, in alternativa, farlo in via virtuale. Allo stesso tempo, Merchan ha anticipato di non essere incline a comminare una pena carceraria o che limiti la libertà del presidente eletto. Il giudice, scrive sempre il New York Times, ha respinto l'ennesima istanza di archiviazione che i difensori di Trump avevano presentato sostenendo che il procedimento avrebbe ostacolato la sua capacità di governare. Accantonare il verdetto della giuria, ha spiegato Merchan, «minerebbe lo Stato di diritto in modo incommensurabile». E ancora: «Lo status dell'imputato come presidente eletto non richiede l'applicazione drastica e ''rara'' dell'autorità (del tribunale) di accogliere la mozione (di archiviazione)» ha argomentato il giudice.

Inizialmente, Trump avrebbe dovuto essere condannato il 26 novembre scorso. Tuttavia, Merchan aveva posticipato la sentenza a tempo indeterminato dopo la vittoria elettorale ai danni di Kamala Harris. Il pubblico ministero di Manhattan, Alvin Bragg, si era opposto al colpo di spugna e aveva suggerito diverse opzioni per Merchan, tra cui rinviare la condanna alla fine della presidenza, comminare una sentenza senza galera o chiudere il caso annotando però la decisione della giuria.

In precedenza, il giudice aveva respinto un'istanza di archiviazione che gli avvocati del tycoon avevano presentato alla luce della sentenza con cui la Corte Suprema ha stabilito l'immunità per le «azioni ufficiali» intraprese dal presidente nell'esercizio delle sue funzioni. Sposando la tesi dell'accusa, Merchan aveva scritto nel suo provvedimento che le prove mostrate al processo riguardano «completamente una condotta non ufficiale» e ha ricordato che la stessa Corte Suprema nella sua sentenza riconosce che «non tutto quello che il presidente fa è ufficiale», anche quando agisce dallo Studio Ovale.

Una «caccia alle streghe» e «una violazione diretta della sentenza della Corte Suprema sull'immunità presidenziale e di altra giurisprudenza di lunga data», si è subito affrettato a commentare Steven Cheung, il direttore delle comunicazioni di Trump, secondo cui la decisione del giudice Juan Merchan di pronunciare la sentenza nei confronti del tycoon non sta né in cielo né in terra. Ancora Cheung: «Questo caso illegale non avrebbe mai dovuto essere portato avanti e la Costituzione richiede che venga immediatamente archiviato. Al presidente Trump deve essere consentito di continuare il processo di transizione presidenziale e di svolgere i doveri vitali della presidenza, senza essere ostacolato dai resti di questa o di qualsiasi restante caccia alle streghe. Non dovrebbe esserci alcuna sentenza e il presidente Trump continuerà a combattere contro queste bufale finché non saranno tutte morte».

Il caso Stormy Daniels, ricordiamo, ruota attorno al pagamento (130 mila dollari) all'omonima pornostar. Nel 2016, riassumendo al massimo, Trump aveva comprato il silenzio dell'attrice riguardo a un rapporto sessuale avuto con il tycoon una decina di anni prima e lo avrebbe fatto tramite la sua azienda e l'avvocato Michael Cohen. Secondo l'accusa, quei soldi erano parte della campagna politica di Trump e la transazione non era stata registrata correttamente. Di qui il processo per frode commerciale e per violazione delle leggi federali sul finanziamento delle campagne elettorali, di competenza della procura di Manhattan. Il primo, di fatto, contro un ex (e futuro) inquilino della Casa Bianca.

In questo articolo: