Il caso

Donald Trump, in Groenlandia, si interesserà anche al calcio?

Secondo un esperto di geopolitica dello sport la nuova amministrazione USA potrebbe sfruttare la lotta della Federcalcio groenlandese per favorire l'allontanamento dell'isola dalla Danimarca
©Hyosub Shin
Marcello Pelizzari
23.01.2025 21:30

Donald Trump vuole la Groenlandia, mentre la Groenlandia – o, meglio, la sua Federazione calcistica – vuole l'America. Parliamo della domanda, depositata ufficialmente lo scorso maggio, di adesione alla CONCACAF. Ovvero, la Confederazione calcistica del Nord e Centroamerica. Una mossa, questa, che Nuuk ha sempre giustificato sulla base dei tentennamenti (anche politici) della UEFA, la Confederazione europea, che sin qui ha negato alle squadre di club e alla nazionale di disputare le varie competizioni internazionali. Questo angolo di terra, appartenente al Regno di Danimarca ma con ampie autonomie, è finito al centro degli interessi del tycoon o, se preferite, degli Stati Uniti. Una questione economica e strategica. Al contempo, la Groenlandia punta con decisione all'indipendenza completa da Copenaghen. Un sentimento, questo, che richiama proprio la lotta calcistica: il popolo groenlandese vuole trovare, e conquistare, il proprio posto nel mondo.

Nonostante il freddo e un territorio sulle prime inospitale, il calcio è lo sport principale della Groenlandia. Lo pratica il 10% della popolazione, secondo la Federcalcio locale, la Kalaallit Arsaattartut Kattuffiat (KAK), fondata nel 1971. La grande espansione del pallone, tuttavia, finora non è stata accompagnata da una vera e propria crescita a livello internazionale. Riformuliamo: il Paese, a oggi, non è membro di alcuna Confederazione. Una stortura, a maggior ragione se pensiamo che – come sottolinea Libération – la nazionale di pallamano è regolarmente iscritta alla Federazione internazionale e ha già partecipato a tre Mondiali con la selezione maschile. 

Inizialmente, come avevamo avuto modo di spiegare, la KAK aveva rivolto il proprio sguardo all'Europa. Forte, se vogliamo, del fatto che la nazionale di calcio delle Fær Øer –un altro territorio autonomo dipendente dalla Danimarca – dal 1990 è membro della UEFA. Da allora, tuttavia, la Confederazione calcistica europea ha inasprito (e non poco) le regole di ammissione. La UEFA, quali suoi membri, riconosce solo Paesi a loro volta riconosciuti dalle Nazioni Unite. Lo stesso dicasi per la FIFA. E la Groenlandia, citiamo ancora Wikipedia, appartiene appunto al Regno di Danimarca. Gibilterra, è vero, nel frattempo è riuscita a essere ammessa nella grande famiglia del calcio europeo. Ma soltanto dopo essere passata dai tribunali e sfruttando un cavillo legale: la prima domanda, infatti, fu presentata nel 1999, prima cioè delle citate modifiche al regolamento.

Di qui la mossa, a sorpresa ma nemmeno troppo, di rivolgersi alla CONCACAF. I cui criteri di ammissione sono decisamente più permissivi qunado si tratta di integrare entità autonome. Per dirla con Libération, se Aruba, Bonaire, Guyana Francese, Guadalupa, Martinica, Saint-Martin e Sint Maarten sono affiliate alla CONCACAF, benché siano tutti territori d'oltremare legati a Paesi europei, perché la Groenlandia non dovrebbe entrare? Aprirsi al mondo, calcisticamente parlando, avrebbe vantaggi enormi. Per il Paese nel suo insieme e per il movimento calcistico. Più partite, più competitività, più soldi. Finora, la nazionale groenlandese ha dovuto arrangiarsi alla bell'e meglio: confidando, soprattutto, nella generosità degli avversari per organizzare partite e degli stessi membri della squadra. Solo tre giocatori, attualmente, godono dello status di professionista (giocano tutti in Danimarca) mentre gli altri di giorno lavorano per guadagnarsi da vivere. Il capitano, Patrick Frederiksen, ha 30 anni ma dal suo esordio in nazionale, nel 2017, ha disputato la miseria di dieci partite. 

L'isolamento geografico e il clima, evidentemente, sono un problema. A calcio, di fatto, si può giocare solo da maggio ad agosto. Il campionato nazionale, per intenderci, si gioca in una sola settimana. Il che potrebbe sollevare più di un interrogativo circa la capacità della Groenlandia, al di là delle promesse fatte dai vertici calcistici del Paese, di ospitare partite durante le finestre invernali o primaverili, come impone il calendario internazionale. Al momento, beh, nessuno dei venti campi in sintetico sparsi per il territorio groenlandese è dotato di copertura totale e può ospitare 3 mila persone, criterio essenziale per soddisfare le specifiche della CONCACAF. Al riguardo, il segretario generale della KAK, Ungaaq Abelsen, ha già fatto sapere di voler acquistare un «pallone» per coprire il campo di Nuuk e proteggerlo così dal freddo. Di più, la Federcalcio groenlandese è convinta di poter stipulare accordi per giocare alcune sue partite casalinghe all'estero. Dove? In Islanda, Canada e Stati Uniti.

Ed è qui che, per certi versi, il ritorno di Donald Trump potrebbe giocare un ruolo importante. Jean-Baptiste Guégan, esperto di geopolitica dello sport, ha spiegato a Libération che l'amministrazione Trump potrebbe usare la questione «per attaccare la Groenlandia» o, se vogliamo, accentuarne l'isolamento rispetto alla Danimarca. Della serie: «Guardate, sono indipendenti nel calcio e, quindi, non sono danesi» potrebbero dire un domani i consiglieri del presidente. «Ma – ha chiosato Guégan – stiamo parlando solo di una squadra che vuole giocare a pallone». La CONCACAF, detto che la KAK ha inoltrato una richiesta formale, non si è ancora pronunciata.

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