Droni, missili, interferenze ai segnali GPS: volare, oggi, è ancora sicuro?
Volare, oggi, è sicuro? La domanda, uscendo dai freddi numeri e dalle statistiche, ha una sua logica. Andrebbe, forse, formulata meglio: visto il cosiddetto contesto geopolitico, trovarsi a bordo di un aereo di linea in determinate zone del mondo è (o può essere) un problema? La risposta, dopo quanto accaduto al volo J2 8243 di Azerbaijan Airlines e pensando alle prime evidenze di cui ha riferito fra gli altri Reuters, è fin troppo scontata.
Certo, il grosso dei voli, ora dopo ora, giorno dopo giorno, decolla e atterra senza patemi. Dando vita a un balletto continuo e al contempo monotono. Eppure, lo scenario che si presenta davanti a piloti ed equipaggi, di per sé, è inquietante. E il motivo è presto detto: la guerra in Ucraina, decisamente più vasta rispetto ai territori in cui viene combattuta sul campo, e quella in Medio Oriente fra Israele e vari attori regionali, tutti legati all’Iran, non solo hanno ristretto i cieli e i corridoi attraverso cui passare, ma hanno aperto un’era tutto fuorché scontata. Un’era, se così vogliamo definirla, di convivenza fra le operazioni civili – i voli su cui tutti noi saliamo – e quelle militari.
Convivenza che, talvolta, può risultare complicata per non dire problematica: lo scorso 1. ottobre, un Boeing 777 di Air France in viaggio da Parigi a Dubai si è ritrovato in mezzo all’attacco missilistico iraniano contro Israele mentre sorvolava l’Iraq. C’è chi ha accusato il vettore di negligenza, a maggior ragione considerando che altre compagnie, fra cui Swiss, consce della minaccia avevano già deviato le rotte dei propri velivoli. La realtà, però, è che lo spazio aereo iracheno quella sera è stato chiuso in seguito all’attacco e non, come auspicabile, prima. Detto in altri termini, quel volo non era lì per caso (o, peggio, per azzardo) ma perché il corridoio risultava aperto.
La convivenza, insomma, di tanto in tanto potrebbe presentare il conto. Salato, anzi salatissimo. Perché parliamo di vite umane. È il caso, stando alle fonti consultate ad esempio da Reuters, dell’Embraer 190 di Azerbaijan Airlines schiantatosi in Kazakistan. Un incidente, questo, che pur con le dovute differenze richiama alla memoria l’abbattimento del volo MH 17 di Malaysia Airlines avvenuto oltre dieci anni fa. Allora come oggi, a fare da trait d’union la guerra in Ucraina. E il ruolo, diretto e indiretto, della Russia.
Dicevamo del contesto geopolitico. Nel 1983, in piena Guerra Fredda, il volo KE 007 di Korean Airlines in viaggio da New York a Seul venne abbattuto da un intercettore sovietico nei pressi dell’isola di Moneron, a ovest dell’isola di Sachalin nel Mar del Giappone. L’aereo, un Boeing 747 con 269 persone a bordo, al momento dell’abbattimento si trovava a circa 300 miglia nautiche a nordovest della rotta prevista e, soprattutto, aveva sorvolato una delle aree militari più sensibili al mondo, la penisola di Kamchatka, violando (accidentalmente, come dimostreranno le indagini) lo spazio aereo sovietico. Mosca, al di là degli insabbiamenti e delle versioni alternative date in pasto all’Occidente, era convinta di aver agito correttamente poiché, all’epoca, l’Unione Sovietica riteneva che qualsiasi aereo commerciale potesse essere convertito in aereo spia.
C’è un ultimo aspetto da considerare: i droni in dotazione agli eserciti e le tecniche di disturbo usate dagli avversari per mandarli fuori rotta. Il risultato? Da una parte, è possibile che l’aereo azero sia stato colpito nell’ambito di un’azione della contraerea russa in risposta a un attacco ucraino; dall’altro, i disturbi e le interferenze ai segnali GPS in campo militare non solo sono in aumento ma hanno un impatto sull’aviazione civile non indifferente. Di qui la domanda: volare, oggi, è sicuro? Sì, ma non dappertutto.