L'intervista

«È deludente vedere come l'immagine di Israele nel mondo stia soffrendo»

Gli attacchi del 7 ottobre 2023, la risposta di Israele, le critiche (anche) dell'Occidente e il rischio di una guerra aperta con l'Iran: la parola all'ambasciatrice dello Stato Ebraico in Svizzera Ifat Reshef
© PETER SCHNEIDER
Marcello Pelizzari
15.10.2024 09:01

Un anno fa, avevamo intervistato l’ambasciatrice di Israele in Svizzera, Ifat Reshef, pochi giorni dopo i terribili attacchi di Hamas in territorio israeliano. Allora, lo Stato Ebraico godeva di un forte, fortissimo sostegno da parte dell’Occidente. Oggi, con la guerra che nel frattempo si è allargata e la minaccia di un confronto diretto con l’Iran, molto è cambiato. Ma le parole di Reshef sono più o meno le stesse: «La nostra – dice – non è una vendetta».

Signora ambasciatrice, un anno fa, durante la nostra ultima intervista, Israele aveva risposto agli attacchi di Hamas forte di un sostegno (quasi) unanime. Ora, lo Stato Ebraico è accusato di aver risposto in maniera sproporzionata e di aver coinvolto tanti, troppi civili. A Gaza come in Libano, dove fra l'altro è stata attaccata a più riprese anche l'UNIFIL, la Forza di Interposizione in Libano delle Nazioni Unite. C’è chi, in Israele, a sua volta ha accusato governi e leader stranieri di avere la memoria troppo corta. Che cosa può dirci al riguardo?
«Dico che, considerando il dolore, il lutto, le perdite e le minacce che stiamo sopportando dal 7 ottobre 2023, è deludente vedere come l’immagine di Israele nel mondo stia soffrendo. A causa di una guerra che non abbiamo iniziato ma che, al contrario, ci è stata imposta. Una guerra che dobbiamo continuare a combattere finché non sconfiggeremo le organizzazioni terroristiche che ci hanno attaccato e ancora ci attaccano».

Hamas ma non solo, quindi…
«No, non si tratta solo di Hamas. Ma di tutti gli altri proxy iraniani che si sono rapidamente uniti a questa guerra senza alcuna provocazione da parte nostra: Hezbollah, i cui miliziani hanno iniziato a sparare all’indomani del massacro, dal Libano e dalla Siria; gli Houthi in Yemen; le milizie sciite in Iraq. Non so, quindi, se si tratti di memoria corta. Penso, però, che la gente stia sottovalutando le minacce che Israele sta fronteggiando. Minacce che stiamo cercando di eliminare. Quanto alla presunta sproporzionalità delle nostre risposte, Israele non sta conducendo una campagna di vendetta. Non stiamo agendo secondo la logica dell’occhio per occhio. Stiamo combattendo minacce concrete, tangibili, reali. E le stiamo combattendo secondo le regole del diritto internazionale. Regole che, a differenza dei nostri nemici, noi rispettiamo».

Di nuovo: dall’Occidente, pensando alle vittime civili come pure ai recenti attacchi all'UNIFIL, sono giunti tantissimi appelli a una de-escalation. E altrettante critiche al vostro operato.
«Analizziamo la situazione a Gaza, innanzitutto. Israele ha una missione, direi sacra, cioè quella di riportare indietro gli ostaggi ancora nelle mani di Hamas. A nord, al confine con il Libano, ci sono oltre 60 mila nostri concittadini che non possono fare rientro alle loro abitazioni perché non sono sicure. E non potranno tornare finché i combattenti di Hezbollah e le strutture del terrore che hanno costruito nel sud del Libano rimarranno lì. Ecco perché, su entrambi i fronti, continuiamo a combattere».

Israele, intanto, è stato accusato da più parti di terrorismo. 
«Chi accusa Israele di terrorismo o non ha idea di che cosa sta parlando o, in alternativa, sta portando avanti un’agenda anti-israeliana e, talvolta, antisemita già esistente. Purtroppo, mi verrebbe da dire che il mondo si è capovolto. È necessario, oggi più che mai, distinguere fra vittima e aggressore, fra uno Stato democratico come il nostro, membro delle Nazioni Unite, e delle organizzazioni terroristiche che lo hanno attaccato e continuano ad attaccarlo. Israele è all’altezza del suo dovere, agisce secondo il diritto internazionale e proteggendo i suoi cittadini come i suoi confini. Sia Hamas sia Hezbollah stanno commettendo un doppio crimine: prendono di mira, indiscriminatamente, tutti i cittadini israeliani, arabi, ebrei, cristiani e drusi, e, tanto a Gaza quanto in Libano, usano la popolazione civile come scudo umano. La guerra, purtroppo, porta con sé parecchia miseria. Ma, ripeto, non è un conflitto che abbiamo voluto o creato. Non è stata una nostra scelta. Sono stati Hamas e Hezbollah a volere e iniziare lo scontro. Creando una situazione tale per cui Israele sta semplicemente combattendo per la sua esistenza».

Rispetto a un anno fa, la situazione in Medio Oriente è sensibilmente peggiorata. Analisti ed esperti, ora, ritengono concreto un conflitto diretto con l’Iran. Sarà così?
«L’Iran, certo, rappresenta la testa del serpente. Israele, per anni, ha allertato la comunità internazionale circa le intenzioni e le azioni di Teheran. Sia sul fronte delle capacità nucleari sia per la sua rete di proxy che mina la sicurezza del Medio Oriente (e non solo). È stato l’Iran a finanziare, armare e addestrare tutti i gruppi finora citati. E a guidarli con la sua ideologia. Siamo stati attaccati, in maniera diretta e pesante, già due volte dall’Iran. Con lanci di razzi, missili e droni dal suo territorio. Siamo già oltre la definizione di casus belli. Eppure, pur tenendo presente che dobbiamo scoraggiare i nostri nemici, a maggior ragione quando parlano di porre fine all’esistenza dello Stato di Israele, stiamo facendo di tutto per evitare una guerra su larga scala».

L’Occidente deve esercitare pressione sugli estremisti e sui terroristi, varando nuove sanzioni contro la Guardia rivoluzionaria iraniana, Hezbollah, Hamas

Si aspetterebbe, quindi, maggiore sostegno da parte dell’Occidente?
«Per abbreviare la guerra, questa guerra, è importante sostenere Israele e il suo diritto a difendersi. L’Occidente deve esercitare pressione sugli estremisti e sui terroristi, varando nuove sanzioni contro la Guardia rivoluzionaria iraniana, Hezbollah, Hamas. Solo quando questi attori si ritroveranno confrontati con una posizione internazionale univoca, che distingua vittima e aggressore, solo allora dicevo ripenseranno le loro posizioni e le loro politiche».

Alcune settimane fa, in un discorso piuttosto duro alle Nazioni Unite Benjamin Netanyahu ha «disegnato» un Medio Oriente ideale. Detto degli attacchi a Iran, Libano e Siria, «una minaccia», è emerso che agli occhi del primo ministro l’Arabia Saudita, l’Egitto e il Qatar sono dei partner affidabili. È così?
«Israele, innanzitutto, sta combattendo per il suo territorio, la sua gente, le sue comunità. E questo perché siamo stati attaccati. Per garantire, ancora una volta, l’esistenza dello Stato Ebraico. Detto questo, siamo convinti che non stiamo combattendo solo per noi ma anche per il futuro dell’intero Medio Oriente. Perché, Dio non voglia, è importante che la regione non cada nelle mani dell’Iran e dei suoi proxy. Gli Houthi hanno già conquistato ampie zone dello Yemen, Hamas ha preso il controllo di Gaza e ha intenzione di prendere il controllo di altre regioni. Tutti, poi, stanno vedendo che cosa succede in Libano, un Paese che invece di avere un governo al servizio dei suoi cittadini sta servendo l’agenda delle milizie iraniane. E attenzione, perché l’Iran e i suoi proxy non si fermeranno al Medio Oriente: puntano all’Europa. Per questo, anche per questo è importante sostenere Israele. Chi dubita del nostro diritto a difenderci, beh, dovrebbe chiedersi: che cosa succederebbe un domani se un’altra democrazia venisse attaccata da un’altra organizzazione terroristica? Se a Israele non viene garantito questo diritto, come potranno altri Paesi rivendicarlo in futuro? Tornando alla domanda, prima del 7 ottobre eravamo in questo grande processo storico di allargamento del cerchio di pace e di normalizzazione dei rapporti con vari partner arabi. Partner che lavoravano con noi per un futuro migliore dell’intera regione. Fra i motivi che hanno spinto Hamas a compiere quegli attacchi, probabilmente, c’è proprio il desiderio di trascinare il Medio Oriente verso un’era di sangue e violenza».

Non crede, come affermano alcuni, che questa guerra si alimenti altresì dalla necessità del governo Netanyahu di sopravvivere politicamente?
«Chi afferma ciò, evidentemente, non tiene conto di ciò che è successo in Israele il 7 ottobre 2023. Mai ci saremmo immaginati un massacro simile. Né i continui attacchi dal Libano. Qualsiasi governo che dovesse sostituire quello attuale si troverebbe di fronte agli stessi dilemmi, alle stesse, impossibili decisioni che Hamas e Hezbollah hanno imposto a Israele. Decisioni che, in qualsiasi senso, presentavano e presentano un prezzo altissimo da pagare. Non sono un’esponente politica, ma il mio invito è quello di non sottovalutare, mai, il fardello che ogni decisore politico in Israele, a partire dal primo ministro, deve sopportare. Credo che nessun altro leader, altrove, sia chiamato a prendere decisioni così importanti. Su base addirittura oraria. È questa la realtà di Israele».

Si è mai chiesta, personalmente, che cosa sarebbe oggi Israele – o dove sarebbe – senza quel 7 ottobre 2023?
«Non permetto a me stessa di pensare ai ‘‘se’’. Il 7 ottobre 2023 è accaduto. E tutti noi abbiamo perso qualcuno quel giorno. Israele, oggi, è ancora una nazione in lutto. Detto che è importante guardare al presente e soprattutto al futuro, senza quegli attentati saremmo sicuramente nel pieno del processo di miglioramento degli Accordi di Abramo. Accordi su cui torneremo. Perché nonostante tutto la pace, il processo di pace continua. Tanti altri Paesi nella regione si sono resi conto, da tempo, dei vantaggi di lavorare con Israele. Anche pensando alle future generazioni».

Che lezioni ha tratto Israele da quegli attacchi?
«Una, essenzialmente. Che dobbiamo prendere sul serio, molto sul serio, le minacce dei nostri nemici. E che continueranno ad attaccarci se non toglieremo loro la possibilità di farlo. Stiamo mostrando proprio in questi giorni le dimensioni, mostruose, dell’assalto di terra che le forze Hezbollah stavano progettando di effettuare nel nord di Israele con l’infrastruttura terroristica costruita nel sud del Libano. È importante che il mondo ci sostenga. E che non si ritorni neppure allo status quo antecedente il 7 ottobre. Ora, più che mai, è necessario agire per assicurare un futuro migliore non solo ai bambini di Israele, ma anche ai bambini palestinesi a Gaza e ai bambini in Libano. Il terrorismo non deve più prevalere».

La Svizzera, come tantissimi altri Paesi, si è subito mostrata solidale con Israele dopo gli attacchi del 7 ottobre. Nel concreto, poi, Berna è stata subito pronta ad aiutarci. Mandando, ad esempio, una delegazione di esperti forensi per identificare i molti corpi trovati nei luoghi dei massacri

Israele ha avvertito questo sostegno dalla Svizzera?
«La Svizzera, come tantissimi altri Paesi, si è subito mostrata solidale con Israele dopo gli attacchi del 7 ottobre. Nel concreto, poi, Berna è stata subito pronta ad aiutarci. Mandando, ad esempio, una delegazione di esperti forensi per identificare i molti corpi trovati nei luoghi dei massacri: una missione davvero terribile. Non solo, la Confederazione ha preso delle decisioni importanti, come quella di gettare le basi legali per definire Hamas un’organizzazione terroristica o, ancora, quella di rivedere le sue donazioni all’UNRWA. Parentesi: Israele non è affatto contrario agli aiuti umanitari a Gaza, anzi. Stiamo lavorando giorno e notte per facilitarne l'arrivo a Gaza. Solo, insistiamo affinché gli aiuti non siano gestiti dall’UNRWA. E questo per via dei suoi legami, stretti, con Hamas. Ho avuto alcune divergenze con i miei colleghi svizzeri riguardo al sostegno della Confederazione ai testi adottati nelle sedi internazionali. Testi che non rendono giustizia a Israele e non riflettono la situazione reale. Ma parliamo di divergenze nell’ambito di un confronto franco e costruttivo. Credo che Berna, all’interno del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, avrebbe potuto fare di più affinché i testi prodotti denuncino chiaramente l’aggressore. Il Consiglio di Sicurezza, a oggi, non ha mai denunciato Hamas per il massacro del 7 ottobre né ha puntato il dito contro Hamas, Hezbollah e gli altri proxy dell’Iran. Tutti noi vogliamo porre fine alle sofferenze delle persone in Libano e a Gaza, ma senza fare pressioni sugli aggressori ciò non accadrà rapidamente».

Al di là delle opinioni che ognuno di noi può avere sull’operato di Israele, e tenendo conto altresì delle decisioni della giustizia internazionale nei confronti dello Stato Ebraico, la preoccupa questa ondata di antisemitismo che ha colpito l’Occidente?
«Riguardo alla giustizia internazionale, mi preme sottolineare come i palestinesi continuino a politicizzare queste istituzioni. Così facendo, queste istituzioni finiscono per attaccare Israele: una democrazia, ripeto, che si sta difendendo dalle organizzazioni terroristiche. Tutti noi dovremmo allarmarci per l’uso improprio e per lo sfruttamento della giustizia internazionale. Come dicevo, c’è una chiara linea che collega l’incitamento selvaggio e fuori controllo contro Israele e l’antisemitismo. L’intera comunità internazionale dovrebbe lavorare contro questo fenomeno. Le diverse comunità ebraiche sono innanzitutto cittadine dei loro Paesi. Ed è quindi responsabilità di quei Paesi proteggere queste comunità. Sono felice di vedere che in Svizzera vi è una forte consapevolezza a tutti i livelli di governo delle crescenti minacce e della volontà di affrontarle, ma ovviamente dovremmo tutti fare di più poiché le sfide stanno crescendo in tutto il mondo, anche in Svizzera».