L'analisi

E se il Partito Democratico avesse rincorso le celebrità sbagliate?

Gli endorsement delle celebrità per Kamala Harris, da Taylor Swift in giù per intenderci, potrebbero aver contribuito a scavare il fossato fra i Dem e il cosiddetto Paese reale
© AP/Scott A Garfitt
Marcello Pelizzari
06.11.2024 17:15

Dunque, come è andata? Ha vinto Donald Trump, al netto delle sfumature che ogni grande network statunitense sta dando a queste presidenziali 2024. Ha vinto puntando, verrebbe da dire, sulla concretezza. Sull’oltranzismo, anche. E ribadendo che, prima di ogni altra cosa, viene l’America e vengono gli americani. 

Nelle analisi che, in queste ore, stanno popolando i portali di informazione è stato, finora, sottaciuto un aspetto. Centrale, se non centralissimo pensando, in particolare, al risultato a favore di Trump. Un risultato decisamente più netto rispetto a quanto indicavano i sondaggi. No, non stiamo accusando gli specialisti di non aver saputo, una volta di più, intercettare le reali intenzioni di voto del Paese. Ci riferiamo, piuttosto, al fatto che perfino un candidato scomodo, discusso, condannato e divisivo come Trump abbia superato agilmente il muro blu del Partito Democratico. Della serie: un Repubblicano più «da sistema», e ve ne sono ancora al di là di tutto, avrebbe probabilmente stravinto. E questo perché, basti pensare ai giovani e ai tanti ispanici che hanno votato per Trump, il Partito Democratico non è riuscito a «vendersi», davvero, come il Partito del popolo e della classe media. Quella middle class che, magari egoisticamente, nel rapporto fra rischi e opportunità ha ritenuto Trump una scelta meno rischiosa rispetto a Harris. In particolare negli Swing States ancora legati alle energie fossili, Pennsylvania in testa.

Detto della middle class, anche le élite e in generale l’imprenditoria oggi si interrogano. Da un lato, Elon Musk non ha avuto dubbi su chi sostenere. Tant’è che, ora, si trova in una posizione favorevole o, meglio, privilegiata per chiedere, in cambio, più o meno qualsiasi cosa. Le posizioni di Musk – contro il politicamente corretto e la cultura woke, fra sparate via social e disinformazione pura – hanno avvicinato l’imprenditore allo zoccolo duro dell’elettorato di Trump, che certo è più variegato e meno «stupido» di quanto ci siamo detti in questi mesi. Lo hanno avvicinato sempre di più. Fino a che Musk si è trasformato in un totem cui aggrapparsi, in uno spirito guida che, via X, ha arringato il popolo MAGA. Il fatto che Musk sia l’uomo più ricco del mondo e che avesse molto da guadagnare con l’elezione di Trump non ha avuto effetti negativi. Né tantomeno è stato interpretato come una contraddizione in termini. Della serie: ma come, tu sei straricco e pensi di capirci qualcosa dei problemi delle fasce meno abbienti? Al contrario, l’effetto per il tycoon è stato doppio e benefico: il popolo MAGA si è identificato facilmente nella narrazione muskiana mentre le élite repubblicane hanno riabbracciato Trump dopo averlo (mal) sopportato, attratti dal grido rassicurante «America first» e ritenendo che imitare Musk in generale sia cosa buona e giusta. Paradossale, sì. Ma nemmeno troppo.

Il Partito Democratico, concludendo, deve invece interrogarsi. In profondità. Sulla distanza che lo separa dal Paese reale. Sul fatto che, su questioni come i dazi, il muro con il Messico e il fracking, abbia avuto una linea meno chiara. E sul fatto che, a differenza di Musk dall’altra parte della barricata, i tanti endorsement delle celebrità – da Taylor Swift in giù per intenderci – abbiano (anche qui, paradossalmente ma nemmeno troppo) contribuito a scavare il fossato con l’elettorato e con gli indecisi. Perché mai un Partito che insegue con questa insistenza i ricchi e i privilegiati, avranno pensato in molti, dovrebbe fare il bene del Paese? È un pensiero che gli elettori avrebbero potuto, forse dovuto, fare anche con Donald Trump e il suo super sostenitore. Ma la famosa e famigerata lotteria proposta da Musk ha avuto, fra i vari effetti, anche quello di far passare in secondo piano il fatto che un secondo mandato del tycoon potrebbe facilmente tradursi in tagli sistematici al welfare e alla sanità.