E se, invece, Mosca richiamasse in servizio un milione di riservisti?
Quanto è parziale la mobilitazione appena annunciata da Vladimir Putin? In realtà, stando a fonti citate da Novaya Gazeta, quotidiano indipendente russo in esilio, il Cremlino intende inviare in Ucraina un milione di uomini. Una cifra (di molto) superiore ai 300 mila riservisti annunciati mercoledì. Una cifra, soprattutto, che giustifica il timore, fra i giovani, di finire nelle maglie dell’esercito nonché le proteste in piazza o, ancora, i tentativi di fuga via aereo o via terra, ad immagine delle code chilometriche al confine con la Finlandia.
Un appuntamento con la leva
Novaya Gazeta, in particolare, riferisce che l’obiettivo di spedire in Ucraina un milione di soldati è riportato al punto 7 nell’ordine di mobilitazione firmato da Vladimir Putin. La parte, tuttavia, è stata eliminata dalla pubblicazione ufficiale. Secondo le fonti del giornale, di nuovo, la cifra è stata vista e rivista più volte. Di più, l’esercito avrebbe insistito affinché il numero restasse segreto. «Questa è una bugia» la risposta, piccata, del portavoce del Cremlino Dmitry Peskov.
Ufficialmente, dicevamo, la Russia ha parlato «solo» di 300 mila riservisti. Intanto, però, è notizia di oggi che ad alcuni protestanti trattenuti a Mosca è stato prenotato, si fa per dire, un appuntamento presso l’ufficio di leva. Chiamatela pure punizione. A livello nazionale, la polizia (spesso con la forza bruta) ha arrestato oltre 1.300 persone in una trentina di città, in seguito alle proteste scatenatesi a causa della citata mobilitazione. Diversi membri dell’opposizione, tra cui Kirill Goncharov del partito Yabloko, hanno pubblicato la foto del documento consegnato dalle autorità: dati personali da una parte, data dell’appuntamento dall’altra.
Avere posizioni «diverse» rispetto alla guerra, in Russia, come noto è un problema. Per legge, infatti, chi manifesta rischia da una multa salata fino al carcere. Ora, appunto, sembrerebbe che le autorità stiano pure adoperando l’arma della minaccia militare: protesti, allora ti mandiamo a combattere in Ucraina.
E il Tatarstan «chiude»
Una minaccia che ha spinto molti giovani russi a scappare o a tentare di scappare. Detto dei prezzi dei biglietti aerei, nel frattempo si sono formate lunghe code anche lungo confini terrestri solitamente poco trafficati: sì, c’è chi ha scelto il Kazakistan o addirittura la Mongolia, oltre alla Georgia (una meta già molto battuta a inizio invasione, come la Turchia o i Balcani). Nella regione di Chelyabinsk, al confine con il Kazakistan, diverse persone sono state immortalate all’alba, fuori dai propri veicoli, nell’attesa e nella speranza di varcare il confine.
La speranza, già. Perché lasciare la Russia potrebbe rivelarsi un’impresa davvero ardua. La repubblica del Tatarstan, ad esempio, ha subito emanato un ordine che impedisce ai riservisti residenti di lasciare la regione. C’è una guerra cui contribuire, insomma. Agli aeroporti di Mosca, invece, le guardie di frontiera avrebbero avviato controlli a campione sui giovani, interrogandoli sulla loro idoneità a essere richiamati in servizio.
Il decreto firmato da Putin, mercoledì, d’altronde lascia campo libero all’interpretazione. Se è vero che il ministero della Difesa ha parlato di 300 mila riservisti con esperienza in combattimento, è altrettanto vero che le notizie di queste ultime ore suggerirebbero una mobilitazione ben più ampia.
Dalle regioni più remote, come la Yakutia o la Buryatia, giungono ad esempio immagini di addii in lacrime e lunghi abbracci fra mogli incredule e mariti rassegnati: tempo di salire sul bus, amore, siamo stati convocati. E pazienza se quasi nessuno avesse esperienza. «La Buryatia ha vissuto una delle notti più terrificanti della sua storia» ha scritto sui social l’attivista locale contro la guerra Alexandra Garmazhapova.
Scuole come centri di raccolta
A Ulan-Ude, la capitale della Buryatia, ufficiali di polizia hanno addirittura fatto una capatina all’università per prelevare studenti. Undici scuole, ha confermato il governo locale, sono state chiuse e trasformate in punti di raccolta per l’esercito.
Il tutto mentre alti funzionari del governo federale e legislatori cominciano ad avvertire una certa pressione da parte dell’opinione pubblica: come mai, loro, non sono disposti ad andare in guerra o a spedire al fronte i loro figli?
Significativo, in tal senso, lo scherzo telefonico organizzato al figlio di Peskov, Nikolai, 32 anni: un membro di un gruppo di opposizione russo si è finto un ufficiale militare e, con toni seri, ha chiesto a Nikolai se intendesse arruolarsi. Immediata la risposta del ragazzo, che ha fatto valere il cognome promettendo, altresì, che avrebbe risolto la questione ai piani alti. Immediata anche la presa di posizione del padre, corso in difesa del figlio affermando che quelle dichiarazioni sono state estrapolate dal contesto e che non ha dubbi circa la scelta di Nikolai.