E se oltre ai voli fra Russia e USA venissero riattivati quelli con l'Europa?

E se gli Stati Uniti riaprissero il proprio spazio aereo alle compagnie russe? La questione, lo sappiamo, è più che mai attuale. Non tanto, o non solo, per le posizioni di Donald Trump rispetto alla Russia, morbide se non morbidissime, ma perché a fine febbraio, durante i colloqui di Istanbul in vista di una possibile pace in Ucraina, la delegazione russa ha lanciato la proposta alla controparte statunitense. Un modo, da parte del Cremlino, per mettere pressione direttamente sull'America e, indirettamente, sull'Europa. Della serie: se Washington dovesse cedere, e poi fare lo stesso con altre misure, l'Unione Europea, verosimilmente, si vedrebbe (quasi) costretta a seguire l'esempio americano.
Gli esperti, al riguardo, non hanno dubbi: gli Stati Uniti, se davvero andassero in questa direzione, commetterebbero un errore strategico enorme. Perché, dall'oggi al domani, indebolirebbero l'intero sistema di sanzioni varate dall'Occidente e, parallelamente, premierebbero la Russia in un momento complicatissimo per l'Ucraina. Sin dal momento in cui sono state pronunciate, le misure che hanno colpito l'aviazione russa hanno azzoppato un intero settore. Finendo per colpire anche l'industria bellica, strettamente collegata. Alle compagnie, banalmente, è stato impedito l'acquisto di nuovi aerei ed è stato impedito altresì l'accesso a componenti di ricambio, manutenzione e aggiornamenti di software di fabbricazione occidentale. Il risultato? I vettori della Federazione operano con flotte sempre più obsolete e cannibalizzate, sfruttando – quando possibile – pezzi ricavati dal mercato nero o dribblando le citate sanzioni grazie a Paesi terzi. Un quadro, certo, non invitante né tantomeno rassicurante per i passeggeri. Non a caso, la sicurezza è peggiorata e non poco.
L'intensa, spesso caotica e tutto fuorché lineare azione diplomatica dell'amministrazione Trump, al di là del possibile ripristino dei voli diretti fra Russia e Stati Uniti, è seguita con molta attenzione anche dai pesi massimi dell'aviazione in Occidente. Willie Walsh, il direttore generale dell'International Air Transport Association, l’organizzazione mondiale delle compagnie aeree nota semplicemente come IATA, si è affrettato a dire che – in caso di cessate il fuoco e riapertura dello spazio aereo russo, chiuso ai vettori occidentali dopo che gli spazi di Unione Europea, Canada e Stati Uniti sono stati dichiarati off limits per le compagnie russe – i cieli della Federazione Russa torneranno «rapidamente» a essere occupati dai citati vettori occidentali. Immaginiamo che anche le società di leasing, pur scottate da quanto accaduto, con circa 400 aerei fra Airbus e Boeing rubati o, meglio, nazionalizzati e uno strascico legale imponente, si riaffaccerebbero presto al mercato russo qualora le condizioni lo permettessero.
Anche le compagnie europee, ragionando egoisticamente, trarrebbero benefici dalla riapertura dello spazio aereo russo. In questi anni, i vettori del vecchio continente hanno dovuto compiere «giri» decisamente più lunghi per raggiungere l'Asia. Non potendo sorvolare la Russia, non c'erano alternative. Il che, però, ha favorito le compagnie turche e cinesi, per tacere delle emiratine, che non avendo mai aderito alle sanzioni internazionali hanno continuato a volare da e per la Russia e, soprattutto, a sorvolarla. British Airways, Finnair, KLM e Lufthansa, solo per citare le principali compagnie attive sulle rotte fra Europa e Asia, hanno dovuto aggiungere fra una e tre ore in più per ogni viaggio. Ciò significa un aumento dei costi del carburante, turni di lavoro più lunghi per piloti ed equipaggi e biglietti più costosi per i passeggeri. Il tutto mentre i vettori cinesi possono fare leva su tempi di percorrenza e prezzi, garantendosi un vantaggio competitivo clamoroso. Di qui la richiesta, formulata alle autorità europee, di fare qualcosa in merito a questa forma di «concorrenza sleale».
La riapertura dei cieli, manco a dirlo, sarebbe una vera e propria ancora di salvezza per le finanze delle citate compagnie russe, Aeroflot in testa. E questo perché, in tre anni di sanzioni, i vettori del Paese hanno dovuto ripiegare in gran parte su un mercato interno in forte contrazione, azzoppato dall'assenza di pezzi di ricambio e da una certa scarsità di aerei. Se è vero che la Russia, più che altro a parole o in termini di buone intenzioni, ha annunciato in pompa magna l'aumento della produzione di velivoli «locali», come il Superjet o l'MC-21, è altrettanto vero che questi velivoli erano nati ed erano stati concepiti sfruttando, ancora, componenti occidentali. Di qui la difficoltà nell'attivare una produzione su larga scala al 100% (o quasi) russa.
Il timore, secondo alcuni, è che un'eventuale ripresa dei voli fra Russia e Stati Uniti possa, da un lato, mettere all'angolo l'Europa e, dall'altro, rappresentare un primissimo passo verso un vero e proprio disgelo nelle relazioni fra Mosca e Washington. Con tutte le conseguenze del caso per l'Ucraina e, appunto, per l'Europa. D'altro canto, Donald Trump è stato piuttosto chiaro: la revoca delle sanzioni, di tutte le sanzioni, nei confronti della Russia presto o tardi sarà sul tavolo. E verrà affrontata. Immaginiamo, visto il momento, con toni morbidi e concilianti da parte dell'amministrazione attualmente alla Casa Bianca. Potrebbe rappresentare perfino un «cioccolatino» con cui ingolosire il Cremlino in vista dei negoziati di pace. Per Vladimir Putin, se caso, si tratterebbe di una vittoria schiacciante. Significherebbe, ai suoi occhi, non solo che l'Occidente è stanco dopo tre anni di conflitto ma che è pure diviso. Dire che, in fondo, un allentamento in questo settore non sarebbe grave è più che mai fuorviante. Parliamo, infatti, di un tassello che, unito ad altri, contribuisce a mantenere una forte pressione economica su un Paese, la Russia, responsabile di una guerra di aggressione nel cuore dell'Europa.