BRICS

«È un'alleanza che vuole reagire al dominio USA»

Intervista a Michael Spence, economista statunitense e premio Nobel per l’Economia nel 2001 insieme ai colleghi Joseph Stiglitz e George Akerlof
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Matteo Giusti
19.10.2024 06:00

Michael Spence è un economista statunitense che ha ricevuto il premio Nobel per l’Economia nel 2001 insieme ai colleghi Joseph Stiglitz e George Akerlof. Negli anni ha diretto di Dipartimento di economia dell’Università di Stanford e dell’Università di Harvard e dal 2011 insegna anche all’Università Bocconi di Milano. I suoi studi si concentrano sulle economie dei Paesi emergenti e sul ruolo dei leader nella crescita economica dello Stato.

Professor Spence, in vista del vertice di Kazan in molti si chiedono quale sia il reale peso del gruppo BRICS «allargato».
«Si tratta di un peso in grande crescita, basta guardare le economie emergenti che in questi anni sono cresciute continuamente. Il caso di studio è la Cina naturalmente, ma l’India alla fine del decennio sarà la terza economia mondiale, a seconda di come si consideri l’Unione europea, che se non diventerà gli Stati Uniti d’Europa sarà solo un gruppo di piccoli Paesi. La nascita di queste realtà dipende dalla mancata riforma delle istituzioni multilaterali che sono ferme alla Seconda guerra mondiale. Molti Paesi stanno pensando di creare le loro istituzioni per facilitare l’interdipendenza economica. E non dimentichiamo che in un mondo così frammentato sono tante le nazioni che non vogliono essere costrette a scegliere fra due giganti, come era una volta, e che preferiscono creare nuovi luoghi di incontro». 

Il sogno di Russia e Cina è la de-dollarizzazione del mercato. I BRICS possono essere lo strumento per mettere in discussione il dominio degli USA?
«Il gruppo nasce proprio come una reazione al dominio statunitense, un dominio economico e politico. Però oggi nessuno può ancora permettersi l’abbandono dei vecchi sistemi, anche se molti di questi Paesi guardano già a un domani dove la valuta di riserva dominante non sarà più il dollaro. Dobbiamo comprendere che parliamo di un progetto a medio e lungo termine perché ora non esistono alternative. Servono grandi mercati e soprattutto aperti, la Cina è grande, ma non è aperta. La vera occasione potrebbe averla l’Europa, trasformando l’euro nella valuta di riferimento, ma nel continente europeo resta purtroppo tutto piccolo e frammentato. Basta vedere che il mercato azionario di Milano ha una capitalizzazione che è un quinto di quella di Apple».

Un’economia emergente con un potenziale ancora da esprimere come l’India può essere una forza trainante?
«L’India è già molto influente e se riesce a sostenere la sua crescita, la sua influenza crescerà ancora. Le economie sviluppate non crescono più e la Cina ha già un reddito medio-alto che la frena. L’India ha invece ancora un potenziale difficilmente calcolabile. L’unica domanda è su quale tipo di crescita avrà Nuova Delhi, che a differenza di Pechino non si basa sulla manifattura, ma sui servizi. L’India dovrà essere brava ad assorbire le persone nei settori rurali tradizionali per continuare con una crescita costante». 

L’espulsione degli europei dall’Africa è il sintomo che i Paesi africani vogliono avvicinarsi ai BRICS?
«I Paesi africani stanno adottando un approccio pragmatico: tratteranno con chi porterà benefici. Per questo motivo la Cina ha scalzato gli occidentali, non si tratta di una scelta politica». 

A Kazan per la prima volta ci sarà anche la Turchia, cosa significa?
«La Turchia occupa una posizione unica nell’economia globale per la sua presenza sia nella NATO sia nei BRICS, senza dimenticare la vicinanza geografica con l’Unione europea. Gli stakeholder internazionali hanno già accettato questa sua presenza in organizzazioni diverse e non sarei stupito se un giorno Ankara adottasse l’euro come moneta. L’Occidente deve lavorare con Erdoğan, non ci sono alternative perché la Turchia ha un potenziale di crescita economica davvero molto alto ed è strategica anche a livello geopolitico».