Ecco chi è Marwan Barghouti, il detenuto numero 1 in Israele

Il nome di Marwan Barghouti è onnipresente nelle trattative tra Israele e Hamas per lo scambio di prigionieri (ne abbiamo parlato qui, qui e qui). Prima Ismail Haniyeh – ex leader di Hamas dal 2006, ucciso il 31 luglio scorso in Iran – e ora il suo successore Yahya Sinwar, ne hanno chiesto più volte la scarcerazione. Nessuno sa con precisione quando Barghouti sia nato, si pensa tra il 1958 e il 1962; non sono invece messe in discussione le gesta che l’hanno reso uno dei leader palestinesi più popolari. Nel 1987, Barghouti partecipa alla prima Intifada – sollevamento popolare palestinese nei territori occupati – nelle file di Fatah, movimento politico fondato da Yasser Arafat. Quell’anno viene espulso dallo Stato ebraico e si stabilisce in Giordania. Grazie a una apparente distensione, Barghouti può tornare nei territori amministrati dai palestinesi qualche anno più tardi, e forte delle sue credenziali come dedito combattente per Fatah, comincia la scalata al potere.
La debole diplomazia di Oslo
Nel 1993, infatti, si firmano gli Accordi di Oslo tra palestinesi e israeliani, che sanciscono la nascita dell’Autorità Nazionale Palestinese guidata da Arafat e l’inizio di un processo di pace. L’ANP ottiene così il governo di parte della Cisgiordania – in inglese West Bank - e della Striscia di Gaza. Gli Accordi di Oslo 2 (1995) meglio definiscono l’autogoverno dell’ANP in alcune città del West Bank, interne a Israele, ad esempio l’enclave di Ramallah, l’attuale capitale palestinese. Il territorio del West Bank comprende anche Gerusalemme Est; un parere legale del 19 luglio 2024 della Corte Internazionale di Giustizia sollecitato dall’Assemblea Generale Onu, sancisce che questa città è occupata illegalmente dai coloni israeliani. La zona ospita luoghi sacri sia per i musulmani sia per i cristiani ed ebrei, come la Moschea di al-Aqsa, la Chiesa del Santo Sepolcro e il Muro del pianto. Pochi mesi dopo Oslo 2, il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin è ucciso da un giovane ultraortodosso di estrema destra, a un comizio per la pace. Il 1996 vede Barghouti eletto come deputato alla prima legislatura democratica del Parlamento palestinese, allora dominato da Fatah. Il ruolo di Barghouti è di ponte tra i giovani palestinesi nei territori occupati e le sue eccellenti conoscenze dell’anziana leadership in esilio. Un susseguirsi di provocazioni tra autoctoni e abitanti dello Stato ebraico, che si manifestano con il mancato rispetto di numerosi impegni attribuiti dagli Accordi di Oslo, sfociano nella seconda Intifada alla fine del 2000.
In questo periodo, Barghouti perde fiducia nel processo di pace e, probabilmente, si radicalizza; secondo Israele, fonda il braccio armato di al-Aqsa, che risponde sempre a Fatah, e da quel momento in poi la sua figura guadagna popolarità. Questa entità militare si distingue nel tempo per diversi attentati terroristici. Le forze israeliane arrestano Marwan Barghouti nel 2002. E due anni dopo è condannato a scontare cinque ergastoli. In prigione comincia a criticare la staticità di Arafat e sostiene inoltre la creazione di uno Stato di Palestina con confini ben definiti. Si professa innocente in quanto il suo obiettivo non è uccidere i civili, ma la resistenza alle istituzioni israeliane. Arafat muore nel 2004 e gli succede Abu Mazen; il nuovo capo dell’ANP teme di perdere la sua leadership, anch’essa moderata e funzionale a Israele, e di conseguenza negli anni successivi non si interessa al rilascio di Barghouti. La prigionia di quest’ultimo non fa che aumentare la sua popolarità tra i combattenti sul campo e i cittadini. Molti lo vedono come un’icona che si è sacrificata per la causa e lo paragonano al rivoluzionario Nelson Mandela, mentre per Tel Aviv non è altro che un pericoloso terrorista. Nuove elezioni del Parlamento palestinese si tengono nel 2006, e Hamas ottiene la maggioranza, con Fatah che passa all’opposizione. I primi ottengono il controllo sulla Striscia di Gaza, mentre il gruppo condotto da Abu Mazen mantiene il governo nelle enclavi del West Bank. Barghouti esercita ancora influenza dal carcere, è infatti eletto per la seconda volta nel Parlamento ANP, nonostante sia in prigione. Un sondaggio condotto a fine settembre 2023 da Arab Barometer, centro di ricerca indipendente, mostra come Barghouti, sia nel West Bank sia nella Striscia di Gaza, otterrebbe più voti dell’ormai deceduto Haniyeh e di Abu Mazen messi assieme.
La strategia di Hamas
Perché Hamas vuole quindi far liberare una figura di spicco che appartiene al partito di opposizione? Domina la razionalità: Barghouti è molto popolare, ottenere il suo rilascio darebbe immenso credito al gruppo di Yahya Sinwar. Un’eventuale presidenza in seno all’ANP, e quindi nel West Bank, di un leader di Fatah, molto più dinamica di quella di Abu Mazen, non potrebbe che giovare ad Hamas.
Inchiesta sulla violazione dei diritti di Barghouti
A distanza di 20 anni dall’incarcerazione di Barghouti, l’Unione Inter-Parlamentare – organizzazione internazionale composta da membri di 180 Parlamenti nazionali, tra cui quelli di Israele, Palestina e Stati Uniti – ha concluso un’inchiesta sulle condizioni di detenzione del dirigente palestinese nello Stato ebraico, e ha adottato una decisione ufficiale il 27 marzo 2024. Emerge che Israele ha violato più volte il diritto internazionale; la giustizia non avrebbe garantito un processo equo a Barghouti, e gli agenti di polizia carceraria lo sottoporrebbero frequentemente a torture di vario tipo. Inoltre, lo stesso arresto di Barghouti portato a termine dalle forze israeliane a Ramallah, territorio autonomo palestinese, viola i due Accordi di Oslo e la Quarta Convenzione di Ginevra per la protezione dei civili in tempo di guerra. La questione rimane aperta. Il rilascio del prigioniero numero uno in Israele potrebbe portare a una tregua, che però non cancella i rischi per la stabilità futura nella regione.