Asia

Ecco come il Giappone è diventato il Paese più preparato alle catastrofi

La forte attività sismica, da sempre, caratterizza il Paese del Sol Levante – Ma le numerose norme di sicurezza, diramate già cent'anni fa, hanno aiutato la Nazione a difendersi
© Kyodo News via AP
Federica Serrao
13.01.2024 12:30

Sono stati giorni particolarmente burrascosi per il Giappone. Il nuovo anno si è aperto con il devastante terremoto di magnitudo 7.6 al largo della penisola di Noto. Sisma che ha portato alla morte di più di 200 persone e al ferimento di poco meno di 600 persone. Altre risultano ancora disperse, a distanza di dieci giorni. E circa 24 ore dopo la catastrofe, eccone un'altra. Il 2 gennaio un aereo della Japan Airlines è stato immortalato in fiamme su una pista dell'aeroporto Haneda, a Tokyo, dopo essersi scontrato con un aeromobile della Guardia costiera. Ironia della sorte, quest'ultimo era diretto alla base dello scalo di Niigata per assistere nei soccorsi per il terremoto. Le cinque persone a bordo del mezzo sono morte nell'impatto. Dopo pochi giorni, una nuova scossa di magnitudo 6 ha fatto tremare la costa centro-occidentale del Paese. Vicino, insomma, alla stessa zona dove si era verificata quella precedente, il giorno di Capodanno. 

L'anno appena iniziato, insomma, per il Giappone non si è aperto nel migliore dei modi. Tutt'altro, verrebbe da dire, alla luce delle catastrofi che si sono verificate sul suo territorio. Ma se quello dei due aerei può essere classificato "solamente" come un incidente, il terremoto del 1. di gennaio e le scosse dei giorni seguenti riaccendono i riflettori sui rischi sismici che da sempre caratterizzano il Paese del Sol Levante. E con essi, anche sulle misure che la Nazione ha iniziato ad adottare, per limitare i devastanti effetti di questi disastri naturali. Misure grazie alle quali, tragedie come quella degli scorsi giorni portino a danni nettamente inferiori a quelli che altrimenti si verificherebbero. 

Ed è proprio a tal proposito che il National Geographic ha dedicato un lungo articolo alle strategie messe in atto dal Giappone per evitare il peggio in situazioni così tragiche. 

Nel Paese, secondo i dati del Consorzio EarthScope, si registrano circa 1.500 terremoti degni di nota all'anno. Numeri che non sorprendono e che anzi, confermano l'elevata attività sismica che da sempre contraddistingue il Giappone. Ma partiamo dal principio. Ossia, dalle prime norme antisismiche, entrate in vigore nel 1923. Cent'anni fa, dopo un terremoto di magnitudo 7,9 che uccise più di 140.000 persone e ridusse in macerie centinaia di miglia di strutture, il governo giapponese capì, per la prima volta, che era necessario un intervento per scongiurare il ripetersi di catastrofi simili. Le prime norme, dunque, si concentrarono sul rafforzamento delle nuove strutture costruite nelle aree urbane. Non solo. In quell'occasione, vennero implementate delle misure di supervisione anche per la costruzione di edifici in legno e cemento. 

Con il passare del tempo e con l'avanzare delle nuove tecniche di costruzione, il codice sismico è stato modificato, e a più riprese. Prima con la Legge sugli standard edilizi del 1950, poi con l'Emendamento sui nuovi standard edilizi antisismici del 1981. Con questi atti legislativi, da un lato si diramavano le nuove regole da adottare durante la costruzione degli edifici. E dall'altra, si stabilivano anche le aspettative delle nuove strutture, o per meglio dire, il loro grado di resistenza durante i terremoti. Ecco perché, in men che non si dica, ovunque nel mondo si diffuse la notizia delle «case giapponesi costruite per resistere ai terremoti».

Entrando nello specifico nella questione, con la legge del 1950 si puntava alla costruzione di edifici che avrebbero dovuto resistere a terremoti fino a magnitudo 7 senza riscontrare danni. Con l'emendamento successivo, invece, si precisò la tipologia di «danni minori» che le strutture avrebbero potuto subire. La regola più importante, però, stabiliva che anche nel caso di terremoti forti, l'edificio non sarebbe dovuto crollare. Ancora oggi, infatti, quando in Giappone la terra trema come negli scorsi giorni, l'aspetto più importante è il mancato crollo delle strutture. Se non crolla, l'edificio è un edificio «di successo», costruito bene secondo le norme. Anche qualora riportasse danni ingenti. 

Diversi standard

Ma parlando più concretamente, quali sono i materiali e le tecniche che consentono alle case di «restare in piedi»? A quanto pare, la strategia può cambiare a seconda del tipo di struttura e del budget. Gli standard per la costruzione dei grattacieli, per esempio, sono differenti da quelli a cui ci si deve attenere per realizzare una casa unifamiliare. Tendenzialmente, gli edifici che si trovano al pianterreno vengono rinforzati con travi, pilastri e muri più resistente alle scosse. 

Altre tecniche, invece, puntano sulla separazione della struttura dal terreno. Una strategia possibile installando dei cuscinetti di materiale assorbente, come la gomma, alla base delle fondamenta dell'edificio. Ma non è tutto. Un altro metodo di costruzione efficace è quello dell'isolamento della base. Oltre ai cuscinetti, le strutture di questo tipo vengono realizzate inserendo una spessa imbottitura tra il terreno e il resto della casa. 

Preparati alle catastrofi

Una cosa, però, va precisata. Anche attenendosi a tutte le norme del caso, non è detto che una struttura riesca a resistere a una sisma molto potente. Le immagini diffuse in questi giorni, dove si vedono interi edifici crollati, ce lo confermano. A influenzare molto la buona resistenza è, soprattutto, il terreno della posizione in cui si costruisce. Senza contare disastri naturali gravi, come incendi o tsunami, che spesso si verificano dopo un sisma, i quali possono intaccare la sicurezza delle strutture, facendole crollare nonostante avessero resistito al terremoto. 

Tuttavia, nonostante il rischio, il Giappone, a detta degli esperti, rimane il Paese «più preparato alle catastrofi». «Probabilmente non c'è nessun popolo sulla Terra ad essere pronto per le catastrofi tanto quanto lo sono i giapponesi», rivela il professor Toshitaka Katada all'AP. Oltre alle misure di sicurezza per la realizzazione degli edifici, il Paese del Sol Levante svolge evacuazioni ed esercitazioni di prova molto frequentemente, per allenare i suoi cittadini e prepararli «al peggio». Ed è proprio per questo motivo che, anche quando arriva, il peggio è sempre «meno peggio» di quello che potrebbe accadere in un altro Paese.

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