Ecco come Yandex, il «Google russo», è stato nazionalizzato
E così, dopo mesi e mesi di trattative, oggi è stato annunciato un accordo da 5,2 miliardi di dollari in contanti e azioni per la vendita delle attività del colosso tecnologico Yandex, spesso etichettato come il Google russo. A beneficiare di questa operazione, leggiamo su Reuters, è stato un consorzio di investitori locali. L'affare, evidentemente, ha significati e connotati economici ma anche politici. E questo perché, ne avevamo parlato qui e qui, il Cremlino ha cercato a lungo di controllare o, nella migliore delle ipotesi, esercitare pressione e influenza su Yandex, creato durante il cosiddetto boom delle DotCom alla fine degli anni Novanta e diventato un vero e proprio leader nel campo dei servizi online: dalla ricerca simil-Google, appunto, alla pubblicità, passando per e-mail, e-commerce, cloud e streaming ma anche taxi alla Uber. Ora, beh, per la prima volta il colosso verrà controllato da sole entità russe. Fra queste, anche un fondo legato a Lukoil, la più grande compagnia petrolifera russa.
Una novità, già. Soprattutto considerando che Yandex, tramite la sua holding registrata nei Paesi Bassi, ha beneficiato pure di una quotazione in Borsa. Al Nasdaq, per la precisione, nel 2011. Non solo, fra i suoi azionisti si sono alternati non pochi investitori occidentali. E adesso? Banalmente, la russificazione delle aziende russe – che ha subito una vera e propria accelerazione dopo l'invasione su larga scala dell'Ucraina decisa da Vladimir Putin – ha abbracciato anche il Google della Federazione. «Questo è esattamente ciò che volevamo ottenere qualche anno fa, quando Yandex rischiava di essere acquisito dai giganti occidentali dell'informatica» ha dichiarato Anton Gorelkin, vice capo della Commissione per la politica dell'informazione in seno al Parlamento russo. «Yandex è più di un'azienda, è un patrimonio dell'intera società russa». Un patrimonio che, adesso, come detto è diventato a tutti gli effetti nazionale.
Detto degli interessi occidentali, le cose per Yandex hanno iniziato (sensibilmente) a peggiorare dall'inizio dell'«operazione militare speciale» in Ucraina, nel 2022. Il conflitto, infatti, ha spinto il Cremlino a uniformare i contenuti online. O, meglio, a chiedere a colossi come Yandex di adeguarsi alle normative e in particolare alla censura di guerra. Non a caso, per alleggerire la pressione Yandex ha venduto il suo aggregatore di notizie e altre risorse al rivale VK, controllato dallo Stato, nella speranza di – citiamo – depoliticizzare le proprie attività. In un secondo momento, ha avviato una sorta di ristrutturazione aziendale. Non ha certo aiutato, a tal proposito, il fatto che lo scorso agosto il co-fondatore dell'azienda, Arkady Volozh, dal 2014 residente in Israele, abbia etichettato come «barbara» l'invasione russa dell'Ucraina. Si mormora che la spinta decisiva alla nazionalizzazione di Yandex sia arrivata proprio a margine di quell'esternazione.
La vendita di Yandex, a livello di cifre, non può certo ritenersi soddisfacente per l'oramai ex proprietà. I 5,2 miliardi di dollari pattuiti, ad esempio, sono di gran lunga inferiori rispetto alla capitalizzazione di mercato sfiorata nel 2021: 30 miliardi di dollari. Eppure, se paragonata alle vendite di marchi stranieri, quella del colosso tecnologico rimane una delle più succose dal febbraio 2022 a oggi. Tradotto: se pensiamo alle cifre simboliche accettate da alcuni attori occidentali o dal sequestro temporaneo ordinato da Vladimir Putin di beni appartenenti a Danone o Carlsberg, indubbiamente a Yandex è andata meglio.
Tramite una lettera, è stato sottolineato (immaginiamo con una certa retorica mista a narrazione) che Yandex rimarrà una società indipendente. Nonostante, come detto, la nuova proprietà sia legata a doppio filo al Cremlino. All'interno della neonata Consortium.First, infatti, confluiranno alcuni vertici attuali del colosso, un fondo controllato da Lukoil e tre società riconducibili ad Alexander Chachava, Pavel Prass e Alexander Ryazanov. La holding olandese di Yandex, Yandex NV, ha specificato a Reuters che il corrispettivo in contanti dell'operazione, circa 2,52 miliardi di dollari, verrà versato in yuan al di fuori della Russia. Quella cinese era la sola valuta che andasse bene a tutte le parti, ha raccontato una persona vicina al dossier, complice il fatto che la maggior parte delle banche russe dopo l'invasione dell'Ucraina sia stata scollegata dal sistema di pagamenti globali SWIFT e che le transazioni in euro e dollari, di conseguenza, siano diventate sempre più complicate se non impossibili in Russia.