Elon Musk «figlio del nuovo capitalismo» tra ideologia e obiettivi economici
Il più importante filosofo americano vivente, Michael Walzer, lo definisce leader della «Tech Right», la tecnodestra. «Elon Musk vuole ammantarsi di ideologia, darsi una parvenza di intellettualismo, perché è una persona brillante e non intende presentarsi come mero difensore dei propri interessi - dice Walzer - Ha rispolverato teorie filosofiche come il managerialismo, di cui parlava James Burnham negli anni ’40 del secolo scorso, per giustificare la sua fame di potere in un momento in cui i progressi dell’intelligenza artificiale accelerano e la competitività cinese si fa sempre più bellicosa. Se di nuovo soggetto politico si tratta è, al meglio, ancora allo stato di chimera; e, al peggio, una sorta di Frankenstein ideologico».
Evgenij Morozov, bielorusso, sociologo delle comunicazioni e docente a Stanford, considerato tra i più grandi esperti di nuovi media, pensa invece che sia «un personaggio controverso, discutibile, che utilizza le sue aziende per guadagni politici e viceversa». Musk, dice Morozov, è un uomo che «con i suoi legami espliciti con l’estrema destra» rende il quadro politico europeo più «vulnerabile e meno autonomo». Allo stesso modo, e con toni se vogliamo ancora più duri, giudizi taglienti sono stati espressi contro il patron di Tesla, negli ultimi giorni, da almeno quattro leader europei: il premier tedesco Olaf Scholz, il premier norvegese Jonas Gahr Støre, il presidente francese Emmanuel Macron e il primo ministro britannico Keir Starmer.
L’obiettivo dei progressisti
Elon Musk è ormai l’obiettivo numero uno dell’Europa progressista. E, di converso, il paladino della destra, non soltanto quella continentale. Ogni sua iniziativa divide. Le sue prese di posizione, le sue iniziative, alimentano un’infinità di polemiche. Ma chi è, veramente, Elon Musk? Che cosa vuole? Quali sono i suoi obiettivi? Il CdT lo ha chiesto a Vittorio Emanuele Parsi, ordinario di Relazioni internazionali alla Cattolica di Milano, già direttore del Master in Economia e Politiche internazionali dell’USI a Lugano.
«Il punto di partenza è un fenomeno strutturale di cui anche Musk è figlio, ovvero la trasformazione del capitalismo a livello mondiale in forme di oligopolio, quando non addirittura di monopolio - dice Parsi - Assistiamo a una concentrazione delle capacità e delle innovazioni, che si somma alla tendenza alla concentrazione finanziaria dei decenni precedenti. Tutto ciò ha in parte trasformato l’economia di mercato. Un’economia oggi molto più orientata alla cartellizzazione, alla creazione di cartelli, che non alla libera competizione. Un’inversione, se si vuole, dello spirito del capitalismo, nel quale la forza del mercato è sempre stata maggiore rispetto alla volontà dei singoli operatori. In questa nostra epoca, la competitività è ridotta da barriere d’ingresso, che nei nuovi mercati sono molto forti e spesso anche tutelate legalmente. Pensiamo soltanto all’estensione della validità dei brevetti, trasformati da protezione degli investimenti iniziali e da remunerazione del rischio dei primi investitori a pura protezione di una rendita di posizione. In questo scenario di cambiamento si colloca anche Musk».
Il quale, spiega Parsi, «utilizza il proprio potere economico, la sua posizione di privilegio, a fini politici. Ed è questa la questione più controversa. Ora, nessuno nega il diritto di chiunque di esprimere un’opinione politica e di diffonderla. Ciò vale per chi non ha mezzi e per chi ha invece molti mezzi: la ricchezza non deve diventare una condanna all’irrilevanza politica. Il problema fondamentale, tuttavia, è che Musk esercita questa sua capacità all’interno di un sistema - la comunicazione social, ad esempio - in cui è quasi monopolista. Tutti usiamo il vecchio Twitter, che adesso si chiama X; e tutti ne abbiamo potuto constatare il cambiamento. Aprendo il nostro profilo ci accorgiamo di quanto siano mutate la qualità, la tipologia dei messaggi che troviamo. E in una direzione abbastanza ben riconoscibile, più conservatrice. Twitter era in origine una piattaforma tendenzialmente progressista, alcuni anni fa aveva escluso lo stesso Donald Trump per la diffusione di notizie giudicate in contrasto con i princìpi della Costituzione americana. Oggi, invece, X spalleggia l’ondata conservatrice che attraversa il mondo».
La preoccupazione rispetto a Musk, sottolinea Parsi, «è se e quanto la concentrazione dei suoi interessi in una serie di mercati, dallo spazio alla comunicazione, all’industria dell’auto elettrica, possa improntare il dibattito politico. È come se all’interno di un acquario ci fosse un pesce diventato talmente più grosso degli altri da spadroneggiare. Si tratta di una preoccupazione tradizionalmente liberale. Ricordo sempre che Alexis de Tocqueville, un politico che possiamo definire un liberale moderato, se non addirittura un conservatore illuminato, negli anni ’20 dell’800 metteva in evidenza proprio come bisognasse guardarsi dal fatto che le legittime concentrazioni di ricchezza non finissero col divenire illegittime concentrazioni di potere».
Il politologo della Cattolica individua poi «un altro elemento da tenere presente», ovvero «le difficoltà in cui si muovono le democrazie contemporanee. Prendiamo, ad esempio, la variabile demografica: nelle democrazie occidentali, negli Stati Uniti molto meno che nell’Europa continentale, la popolazione invecchia - dice Parsi - Questo, di per sé, può produrre un atteggiamento tendenzialmente più conservativo: le persone che hanno qualcosa da perdere da un cambiamento, infatti, sono più di quelle che avrebbero invece potenzialmente qualcosa da guadagnare. Le persone più mature, mi ci metto tranquillamente anche io, preferiscono in qualche modo bloccare le cose. Le persone giovani, no. Ora, nulla c’è di male in tutto questo. Se non per un piccolo dettaglio. Quando si afferma, la democrazia dei moderni lo fa su un punto: la forza del maggior numero, la forza del numero più grande. E il numero più grande, nelle società europee, fino all’altro giorno era costituito da giovani. Prevaleva, quindi, un atteggiamento più propositivo rispetto al cambiamento, meno impaurito. C’erano atteggiamenti che potevano essere anche di rottura rispetto al sistema esistente. Oggi siamo esattamente in una situazione opposta: il maggior numero è fatto di anziani, tendenzialmente con posizioni più conservatrici. Questo è un problema grosso, perché, quando compare, la democrazia dei moderni sfida il potere consolidato e lo può fare perché grazie alla sponda con i più giovani, coloro che vogliono innovazione e più hanno da guadagnare dal cambiamento. Oggi, invece, la democrazia dei moderni si appoggia sul maggior numero fatto di anziani. Non ha più quella capacità di innovare e di adattarsi o di produrre il cambiamento. E questo è un problema secondo me strutturale, ancora poco studiato».
Destra e sinistra
Nel gioco politico tra destra e sinistra, prosegue l’analisi di Vittorio Emanuele Parsi, «la sinistra radicale è in difficoltà perché è stato l’universo liberal a costruire, dal punto di vista culturale, il mondo in cui viviamo dalla fine della Seconda guerra mondiale in poi. Questo ha fatto sì che lo stesso universo liberal si venisse a trovare in un rapporto di forte vicinanza rispetto alle spinte della globalizzazione. Nessuno pensa a Bill Clinton come a un nemico del capitalismo o a un nemico della globalizzazione. Tutt’altro. E però - insiste Parsi - a mano a mano che questo processo è andato avanti, sono emersi alcuni problemi. E la contestazione di questo processo non è avvenuta nel nome, lo dico con uno slogan, della lotta di classe, ma delle sovranità nazionali. Ciò ha portato il sovranismo di destra a essere uno dei critici della globalizzazione, o meglio, di alcuni aspetti della globalizzazione. Chi contesta la globalizzazione nel nome della sovranità nazionale, del nazionalismo, non vede alcun problema sul fatto che Musk, o chi per lui, operi a livello a livello transnazionale».
Una contraddizione che il patron di Tesla tenta di sfruttare a proprio vantaggio. Ponendosi come ideale leader della destra mondiale, in qualche modo prepara il terreno a gruppi politici che, una volta al potere, non lo contrastino, stabilendo ad esempio, regole e limiti. «È proprio così - dice Parsi - Non sappiamo quali siano le intime convinzioni politiche di Musk, è difficile capirlo da quello che dice: sembra sempre di più profilarsi come un critico dell’organizzazione dello spazio internazionale ma non con un obiettivo prettamente politico, quanto piuttosto economico, affaristico. Ed è questo l’elemento, a mio avviso, molto pericoloso. Perché nel momento in cui il proprio unico parametro di riferimento sono gli affari, le regole diventano un intralcio. E non ci si preoccupa di minare le istituzioni».
Il caso del possibile accordo con il Governo italiano per l’utilizzo della rete satellitare Starlink è, in proposito, paradigmatico. «In questo momento, Starlink è sostanzialmente monopolistica - dice Parsi - Guardiamo a quanto accaduto in Ucraina: nella fase iniziale dell’invasione russa, Musk ha garantito a Kiev una rete di comunicazione protetta. Ma, a un certo punto, l’ha staccata per esercitare pressione sugli stessi ucraini, creando loro enormi problemi. È chiaro che nelle guerre moderne l’informazione sta assumendo una rilevanza sempre più importante. Non che in passato non lo fosse, ma oggi sembra un fattore cruciale, che può fare la differenza in maniera significativa, anche nella competizione politica. Ora, qual è il problema? Semplice: se noi mettiamo la nostra sicurezza nelle mani di un privato che ha già dimostrato di essere tranquillamente disponibile a fare affari con la Russia di Vladimir Putin, con la Cina di Xi Jinping o con chiunque altro, quali garanzie abbiamo che nel momento in cui a questo signore convenga mollarci per fare affari, non lo faccia davvero?». Purtroppo, conclude Parsi, «è proprio questo è il punto di contatto tra gli interessi economici di Musk e gli interessi ideologici della nuova destra critica verso le istituzioni europee, una destra che vede di buon grado l’idea di indebolire l’Unione europea nell’illusione di avere mano libera all’interno della sua angusta dimensione nazionale e non capisce che, invece, sarà semplicemente preda più facile di un attore poderoso come Elon Musk».