«Erdogan è in serie difficoltà a causa della crisi economica»

Lunedì scorso la Banca centrale turca è intervenuta per la quarta volta nelle ultime due settimane per tentare di arginare la crisi della lira che dall’inizio dell’anno ha perso circa la metà del proprio valore rispetto al dollaro. Quali le conseguenze politiche della grave crisi economica in cui si dibatte da tempo il Paese? Abbiamo intervistato Jean Marcou, esperto in materia.
Il Presidente turco Erdogan ha recentemente nominato un nuovo ministro delle Finanze per contrastare la debolezza dell’economia turca e un’inflazione galoppante. Ciononostante la lira turca continua a perdere valore, con gravi conseguenze per la popolazione. Quali sono le ripercussioni sulla popolarità del presidente?
«Il crollo della moneta prosegue da tempo e ha raggiunto livelli di guardia, occorrono più di 16 lire turche per un euro, mentre l’inflazione ha superato il 20%. Dati che hanno un impatto diretto sulla popolazione e che fanno sorgere grossi interrogativi sul futuro del regime di Recep Tayyip Erdogan. Lutfi Elvan, il ministro delle Finanze da poco silurato da Erdogan, aveva assunto le sue funzioni nel 2020, rimpiazzando il genero del capo di Stato turco, Berat Albayrak. Elvan, il ministro silurato, aveva cercato di unire dietro a sé gli imprenditori, spiegando che il mantenimento di tassi d’interesse bassi e il valore della lira debole avrebbero permesso il rilancio dell’economia attraverso le esportazioni. Ma a subire gli effetti di tale politica è stata soprattutto la popolazione, confrontata con l’ascesa dei prezzi, mentre i salari non sono aumentati».
Qual è stata la reazione della popolazione a tale situazione?
«C’è un forte risentimento della popolazione nei confronti del Governo. Non va dimenticato che l’AKP, il partito di Erdogan, ha costruito le sue passate vittorie elettorali più sui risultati in ambito economico che sulla sua identità religiosa. Ora da tempo tali risultati economici non si vedono più e il Governo dovrebbe interrogarsi sulle ragioni della crisi. Ma le ricette che Erdogan porta avanti da oltre un anno sono sempre le stesse, come il mantenimento di tassi d’interesse bassi. Il ministro dell’Economia continua a ripetere che le cose miglioreranno. Va riconosciuto che l’economia turca ha conosciuto una crescita durante la pandemia, ma questa politica a favore della crescita economica sta producendo dei costi sociali notevoli. Ciò potrebbe causare grossi problemi a Erdogan nelle prossime elezioni. L’opposizione turca è sempre più all’offensiva e vi è già chi parla di elezioni anticipate. Per contro nell’AKP, il partito del presidente, non vi è più nessun dibattito interno e non si registrano reazioni dissonanti rispetto alla politica economica dettata dal ‘sultano’ di Ankara».
L’indebolimento dell’economia turca ha conseguenze negative sulla strategia di Erdogan di estendere l’influenza turca in Africa e in Medio Oriente?
«Abbiamo visto che ci sono delle conseguenze, perché la politica offensiva che Erdogan aveva messo in atto in passato su diversi fronti, dalla Libia alla Siria, quest’anno è stata ridimensionata. Ankara, nella sua politica estera ha operato sia militarmente, aiutando ad esempio l’Azerbaigian nel Nagorno-Karabakh, che nell’ambito della cooperazione, in Africa. Ora che la Turchia dispone di meno mezzi finanziari, la sua politica estera è meno aggressiva. Ankara ha infatti avviato dei tentativi di riavvicinamento con l’Egitto ma soprattutto con i Paesi del Golfo. In passato Erdogan era legato soprattutto al Qatar, ma ora ha avuto degli incontri con i rappresentanti degli Emirati e dell’Arabia Saudita, che sono dei rivali del Qatar e fino a poco fa anche del presidente turco. Questa iniziativa diplomatica dei vertici turchi con Paesi che fino a poco tempo fa erano ritenuti nemici di Ankara, ha delle ragioni politiche ma soprattutto economiche. Erdogan spera infatti di riuscire ad attirare in Turchia investimenti dei Paesi del Golfo, considerato che in questo momento Ankara sta vivendo una difficile situazione congiunturale».