Fango, nebbia e gelide trincee: l’inferno di Buhas

Mentre sul Donbass cade un fitto nevischio le truppe filorusse avanzano nella steppa verso Ovest. Partite una settimana fa da Donetsk, la capitale dell’omonima autoproclamata repubblica separatista, le milizie controllate da Mosca sono avanzate di diversi chilometri, combattendo di villaggio in villaggio contro l’esercito ucraino che oppone resistenza. Le battaglie sono feroci. Le steppe in cui si combatte sono piatte e nebbiose, la neve che cade rende difficile guardare lontano. Un territorio, dunque, in cui i due eserciti si scontrano frontalmente, nessuno parte da una posizione di vantaggio. Per sferrare gli attacchi, ma anche per difendersi, russi e ucraini scavano delle trincee nei prati fangosi. La fanteria del Cremlino avanza scontrandosi corpo a corpo con i militari ucraini mentre dalle retrovie i carri armati sparano per costringere il nemico ad arretrare. Si tratta di una vera e propria guerra di posizione, come nella Prima guerra mondiale. Anche se gli attaché stampa dei militari non forniscono numeri affidabili sui propri caduti, fonti non ufficiali confermano che le vittime sono numerose da entrambe le parti. Gli ucraini non mollano ma arretrano lentamente.
La tenaglia
Le battaglie più feroci si stanno combattendo a Sud-Est di Donetsk, a una sessantina di chilometri dalla città. Nei giorni scorsi i filorussi hanno strappato al nemico i villaggi di Nikolaevka e Buhas e ora si stanno contendendo il controllo di Valnavakha. Puntano verso Sud per ricollegarsi con le truppe che hanno accerchiato Mariupol, così da chiudere la resistenza ucraina in una tenaglia. Percorrendo la strada che parte da Donetsk e porta verso i campi di battaglia non si distingue più dove finisca l’asfalto e inizi il fango della steppa che la circonda. Qui si combatteva fino a poche ore fa e il percorso è continuamente interrotto dalle grosse buche causate dai missili. Lungo i cigli ci sono gli scheletri delle armi usate in battaglia: mortai, bazooka, missili Rpg. Ai lati si incontrano ripetutamente delle trincee, alcune abitate dai soldati russi, altre abbandonate. Sono quelle degli ucraini in ritirata, che hanno lasciato i loro morti sul terreno. Mentre i cadaveri dei vincitori sono stati portati via, quelli degli ucraini sono ancora lì, irrigiditi dal freddo glaciale fino a sembrare dei manichini. I russi lasciano i nemici a terra, coprendoli con un lenzuolo.
Botti, fischi e urla
Man mano che si avanza verso il campo di battaglia si incontrano sempre più mezzi militari russi: camion che trainano l’artiglieria pesante e carri armati. Alcuni sono parcheggiati nei prati ai lati della strada ed hanno i cannoni puntati verso Ovest. Quando ricevono l’ordine iniziano a sparare incessantemente, il rumore dei colpi in uscita è assordante. I villaggi che si attraversano sono tutti simili. Case diroccate con i tetti a punta, strade distrutte, in giro non si vede quasi nessuno. Superata Nikolaevka si arriva a Buhas, l’ultimo paese che i filorussi hanno strappato agli ucraini due giorni fa. Abitato da popolazione di etnia greca, una delle minoranze che compongono la società ucraina, si trova ad appena un chilometro da Valnavakha, dove la battaglia sta impazzando. Gli incursori russi sono riusciti a penetrare in una parte villaggio e gli ucraini cercano di respingerli. I rumori della guerra sono incessanti. Buhas è diventata la retrovia del combattimento. Mentre da qui i carri armati russi sparano verso Ovest, da Est piovono i missili sparati dall’esercito di Kiev. Botti, fischi e urla sono costanti.
Bloccati in un bunker
Fino a pochi mesi fa Buhas era abitato da circa 120 famiglie. Con l’inasprirsi dei combattimenti quasi tutti se ne sono andati ma alcuni sono rimasti. I morti civili sono stati parecchi. Anche se non si hanno numeri ufficiali, sabato scorso Atene ha annunciato che almeno 10 civili ucraini di etnia greca sono stati uccisi. Una famiglia allargata si nasconde oggi in un bunker nel centro del paese. Sette persone, tra cui i nonni e i nipoti, tra cui una bambina che ha meno di 10 anni. «Siamo rimasti bloccati qui», dice dalla bocca dell’uscio il nonno Alexander, 82 anni, senza riuscire a trattenere le lacrime. «Inizialmente volevano rimanere ma con i missili che provenivano da entrambe le parti abbiamo deciso di fuggire. Ma ormai era troppo tardi. Le strade erano inagibili a causa dei combattimenti e allora ci siamo rifugiati qui sotto. Non abbiamo riscaldamento e non riusciamo a rifornirci di cibo». Mentre parla si sente l’intenso rumore del fischio di un missile che precipita di fianco al villaggio con un grande botto, costringendo tutti a correre nel bunker per ripararsi. Nelle strade di Buhas non si vede nessuno, nonostante le luci alle finestre di alcune case testimoniano che qualcuno è rimasto. I miliziani filorussi hanno preso possesso di un edificio nel centro che utilizzano come quartier generale. Non nascondono che si sarebbero aspettati che l’avanzata fosse più rapida e non così estenuante. La steppa è un terreno duro in cui combattere. Lasciando Buhas per tornare verso Donetsk i rumori degli spari sono assordanti. Per strada si incrociano le carcasse dei carri armati, impossibile dire se russi o ucraini. Spostandosi più a Sud, verso Mariupol, si incontrano degli altri militari russi. Questi espongono in segno di trofeo delle bandiere che hanno strappato agli ucraini in battaglia. Tra queste ce n’è una con la metà superiore rossa e quella inferiore nera, con un simbolo runico dorato in evidenza. È il vessillo di Pravy Sektor, il partito di estrema destra ucraino che affianca l’esercito regolare. «Terroristi», dice uno dei due soldati che lo sventolano.