Il reportage

Giochi mondiali delle popolazioni nomadi: tradizioni culturali nel cuore di Astana

Accanto alle competizioni sportive si svolgono pure manifestazioni culturali e scientifiche al fine di promuovere la conoscenza delle culture nomadi
Donato Sani
08.09.2024 22:51

Oggigiorno le popolazioni che praticano uno stile di vita nomadico tradizionale assommano a qualche decina di milioni di persone. Una minoranza assoluta tra 8 miliardi di sedentari. Tuttavia ci sono diversi popoli per cui la sedentarizzazione è un fatto relativamente recente, degli ultimi secoli, e non ha cancellato del tutto le tradizioni culturali del nomadismo. Ma come tenere vive queste tradizioni culturali? Se lo saranno chiesti in Kirghizistan una decina di anni fa, quando l’allora presidente kirghizo – Almazbek Atambayev – dopo anni di discussioni sul tema, ha avanzato la proposta ufficiale di introdurre una competizione internazionale con numerose discipline in stile olimpiadi: i Giochi mondiali delle popolazioni nomade. Consuetudini delle culture nomadiche inserite in un contesto di competizioni internazionali nel solco della tradizione dello sport moderno, con la sua capacità di catalizzare l’attenzione di milioni di persone e di creare comunità come pochi altri fenomeni globali riescono a fare.

I Giochi mondiali delle popolazioni nomadi si svolgono a cadenza biennale e quest’anno sono giunti alla quinta edizione. Che si svolge ad Astana, in Kazakistan, da oggi a venerdì 13 settembre. Dal 2021 si fregiano del titolo di bene immateriale del patrimonio mondiale dell’Unesco. Accanto alle competizioni sportive si svolgono pure manifestazioni culturali e scientifiche al fine di promuovere la conoscenza delle culture nomadi. Con il passare del tempo l’evento è cresciuto ed ora partecipano più di 2000 atleti da 89 Paesi. Le discipline sono tra le più disparate, da varie competizioni di cavalieri a giochi da tavola intellettuali dell’Asia centrale o dell’Africa occidentale, passando per delle competizioni con aquile addestrate. C’è pure un atleta svizzero, l’engadinese Marugg Andri, che concorrerà nel tiro con l’arco a cavallo secondo lo stile ungherese.

Delle cinque edizioni, le prime tre si sono svolte in Kirghizistan, la quarta in Turchia, la quinta si è aperta oggi nella capitale del Kazakistan, Astana. La competizione è nata, come anzidetto, in Kirghizistan. In Kirghizistan, in Kazakistan ed in altri Paesi o regioni dell’Asia Centrali la maggior parte della popolazione era nomade fino alla sedentarizzazione forzata da parte dell’Unione Sovietica. Un patrimonio storico legato al nomadismo che si è voluto recuperare dopo l’indipendenza nel 1991. Per questo per Kirghisi e Kazaki il recupero delle tradizioni nomadi, abbandonate progressivamente a partire dagli anni ’20, costituisce una riaffermazione della propria identità nazionale.

C’è un altro aspetto significativo dello sviluppo della competizione internazionale in questione. I principali stati promotori dell’evento fanno parte in un’organizzazione politica che porta la denominazione di Organizzazione degli Stati Turchi, che comprende Azerbaigian, Kazakistan, Kirghizistan, Turchia e Uzbekistan. La competizione ha un discreto potenziale di crescita. Da un lato le popolazioni nomadi che potrebbero essere ancora coinvolte con le loro discipline tradizionali sono ancora molte – basti pensare alle etnie di molti Stati post-coloniali. Da un altro le discipline già presenti sono accessibili ad atleti di qualunque provenienza. Visto il potenziale di crescita la competizione può diventare un crescente strumento di soft power per l’Organizzazione degli Stati Turchi e per i singoli Paesi che vi sono rappresentati.

Stasera ad Astana si è svolta la cerimonia di apertura dei giochi. Una cerimonia fatta di colori sgargianti, di simboli e di arabeschi: la lavorazione di tessuti e pietre preziose è sempre stata tra le attività artigianali preferite dei popoli che hanno vissuto nelle steppe kazake nel corso dei secoli. Una cerimonia che ha celebrato il ruolo degli antenati dei kazaki come tramite per i commerci sulla via della seta, oppure le tradizioni artistiche dei popoli della steppa fin dall’antichità: ad esempio l’eccellenza nell’oreficeria spesso identificata con gli Sciti, che ha tracce archeologiche anche in Kazakistan. Non sono mancate le scene inneggianti ad un futuro ecologico della terra. Sono risuonate canzoni tradizionali simili a quelle delle danze afghane o iraniane, melodie orchestrali o rock con l’aggiunta di strumenti tradizionali kazaki. Su tutta l’imagerie della cerimonia e della competizione troneggia la figura del cavallo, compagno inseparabile degli uomini delle steppe: ogni delegazione era preceduta, in maniera molto scenica, da un cavaliere vestito con abiti tradizionali kazaki. In una scena della cerimonia i guerrieri a cavallo si sono trasformati nelle forze armate kazake in una celebrazione singolare dell’esercito di uno Stato, che ha sempre condotto una politica estera improntata alla distensione ed è stato il primo ad aver rinunciato volontariamente all’arsenale nucleare (per dimensioni all’epoca della rinuncia era il quarto a livello mondiale).