Gli incendi di Los Angeles? Colpa, anche, dell'eccessiva urbanizzazione
Venti impetuosi. Quelli di Santa Ana, nello specifico. E mesi di siccità, a conferma del ruolo giocato dal cambiamento climatico. Sono le condizioni che, purtroppo, hanno scatenato gli incendi catastrofici di Los Angeles. Anche la crescita delle abitazioni nelle zone collinari e limitrofe della città, a rischio incendio, ha tuttavia avuto un ruolo, scrive fra gli altri il New York Times. La maggior parte delle case danneggiate o distrutte, infatti, si trovava all'interno di (o vicino a) colline ricoperte di vegetazione altamente infiammabile. Altadena, un quartiere altamente popolato, ha pagato proprio la sua vicinanza a queste colline.
In California, ma il discorso vale per gli Stati Uniti nell'insieme, milioni di persone si sono trasferite in luoghi considerati a rischio incendi. Parliamo, in particolare, dei quartieri periferici delle città. Quartieri che si scontrano, appunto, con la vegetazione. La rapida crescita di queste aree, nota come interfaccia tra centro urbano e natura selvaggia, ha aumentato a dismisura la probabilità di incendi devastanti. Proprio perché, come detto, il cambiamento climatico alimenta oramai incendi di vaste, vastissime proporzioni e decisamente più intensi rispetto al passato. Fra il 1990 e il 2020, dati alla mano, il numero di abitazioni nelle zone a rischio incendio, in California, è cresciuto del 40% secondo una ricerca a guida Volker Radeloff, professore di ecologia forestale presso l'Università del Wisconsin-Madison. Al contrario, il numero di case in aree meno a rischio, come i centri storici, è cresciuto solo del 23%. Nell'intero Occidente, oggi, oltre 16 milioni di case si trovano nella citata interfaccia tra città e territorio selvaggio.
Quando scoppiano i cosiddetti wildfires, i danni maggiori si registrano, puntualmente, in queste zone. Ovvero, dove lo sviluppo urbano ha invaso la natura selvaggia. Ne sono un esempio l'incendio di Palisades della scorsa settimana, dove un rogo di sterpaglie si è rapidamente propagato fino a toccare mille case ed edifici in un quartiere di lusso. Oppure il Camp Fire del 2018, che aveva incenerito Paradise, in California, una città circondata dalla natura. Se qualcuno avesse attraversato queste comunità una settimana prima degli incendi, beh, non avrebbe mai pensato che fossero a rischio, per dirla con Radeloff. «La distanza dalla vegetazione naturale sembra elevata, ma non è così. Gli scienziati del fuoco sanno che non è così».
Una domanda, a questo punto, si impone: perché mai così tanti americani si sono trasferiti nelle cosiddette wildland–urban interfaces (WUI)? Da un lato, per essere più vicini alla natura. Dall'altro, perché le case in queste zone sono più economiche. In California, ad esempio, molte città hanno limitato lo sviluppo nelle aree centrali, spingendo così le persone ai margini dei confini cittadini. Nelle aree a rischio incendio, di riflesso, sono presenti molte case «mobili» o prefabbricate e diverse abitazioni a basso reddito. Dal 2020, quando cioè la pandemia ha accelerato l'allontanamento dai centri urbani, la contea di Los Angeles nell'insieme ha perso abitanti. Tuttavia, sia Palisades sia Altadena hanno registrato sensibili aumenti.
La situazione, insomma, è delicata. E complicata. Corelogic, una società di analisi delle proprietà e dei rischi, ritiene che circa una proprietà su otto in California sia attualmente soggetta a un rischio «molto elevato» di incendio. Nella contea di Los Angeles, ribadisce il New York Times, il rapporto è di circa uno a dieci. «La quantità di esposizione agli incendi è sempre più alta» ha sintetizzato Andrew Rumbach dell'Urban Institute, un'organizzazione no-profit. L'aumento di abitazioni nelle aree WUI, dunque, spiega – fra le varie cause – il perché i wildfires californiani siano diventati così distruttivi. Non soltanto ci sono più case sulla traiettoria degli incendi, ma avendo un maggior numero di persone che vivono a contatto (quasi) con la natura c'è una maggiore possibilità che questi incendi si scatenino. Detto dei venti e della siccità, una conseguenza diretta del cambiamento climatico, a provocare gli incendi nella stragrande maggioranza dei casi è sempre e comunque l'uomo: è sufficiente, spesso, una sigaretta gettata dal finestrino dell'automobile. Parallelamente, una maggiore presenza di abitazioni in territori a rischio incendio ha ridotto e non poco le risorse a disposizione dei vigili del fuoco, costretti a soddisfare richieste di spegnimento in territori (anche) impervi.
L'espansione urbana, dicevamo, è una parte dell'equazione o, meglio, della spiegazione. Molto, in termini di «benzina», hanno fatto i venti di Santa Ana e gli otto mesi senza pioggia vissuti da Los Angeles. In futuro, pensando a quartieri come Palisades, occorrerà indubbiamente costruire meglio. Fare in modo, cioè, che le abitazioni possano coesistere con gli incendi. «Dobbiamo iniziare a considerare questi incendi come inevitabili e imparare a coesistere con essi» ha dichiarato Max Moritz, esperto di incendi boschivi dell'Università della California, Santa Barbara. Dal 2008, invero, la California ha adottato alcune delle norme più severe del Paese per le nuove abitazioni in aree ad alto rischio incendio, imponendo ai costruttori di utilizzare materiali resistenti al fuoco e di fornire accesso all'acqua ai vigili del fuoco. Un'altra norma, adottata nel 2023 ma non ancora in vigore, richiede invece ai proprietari di case in aree a rischio incendio di rimuovere qualsiasi elemento infiammabile – come cespugli o recinzioni in legno – nel raggio di un metro e mezzo dalla propria abitazione. Alcune comunità utilizzano frutteti, terreni agricoli o altre misure di protezione contro il fuoco, ha aggiunto il dottor Moritz.
Azioni, queste, che possono fare la differenza. Dopo l'incendio di Camp Fire, un'analisi ha rilevato che circa il 51% delle 350 case unifamiliari di Paradise costruite secondo i nuovi codici è scampato ai danni, rispetto ad appena il 18% delle 12.100 case costruite prima dell'introduzione degli ultimi standard di sicurezza. Le nuove regole, sia quel che sia, hanno bisogno di tempo per avere effetto mentre le attuali norme edilizie non si applicano alle case più vecchie, che possono essere costose da adeguare. Al di fuori della California, molti Stati non hanno codici precisi e puntuali, lasciando ai governi locali il compito di far rispettare gli standard.
Secondo gli esperti, i proprietari di case, le agenzie statali e il governo federale dovranno fare di più per prevenire l'accumulo di vegetazione intorno alle aree ad alto rischio. Più facile a dirsi che a farsi: in luoghi come le Santa Monica Mountains, vicino a Pacific Palisades, l'uso del fuoco prescritto per contenere la vegetazione non sarebbe efficace, secondo il National Park Service. Altrove, la carenza di lavoratori e le normative ambientali hanno ostacolato gli sforzi di sfoltimento delle foreste. I singoli Stati potrebbero anche imporre restrizioni più severe allo sviluppo in alcune delle aree a più alto rischio, anche se la California – su questo fronte – difficilmente può fare qualcosa dal momento che lo Stato sta affrontando una grave carenza di alloggi. «Incoraggiare lo sviluppo di nuovi insediamenti nelle città per ridurre la pressione sulle aree WUI è una parte importante dell'equazione» ha spiegato C.J. Gabbe, scienziato ambientale dell'Università di Santa Clara.
Quando i quartieri bruciano, spesso, i residenti vogliono ricostruire il più in fretta possibile. Con poca burocrazia e, al contempo, poche restrizioni. Nel 2022, riferisce il New York Times, dopo un incendio vicino a Boulder, in Colorado, alcune comunità avevano acconsentito a norme edilizie più severe mentre altre si erano opposte all'obbligo di utilizzare materiali resistenti al fuoco o di aggiungere sprinkler all'interno delle case ricostruite. E questo perché i costi sarebbero aumentati. L'impennata dei costi delle assicurazioni, per contro, potrebbe fungere da effetto leva per veri (e concreti) cambiamenti. Con i premi in ascesa e, addirittura, alcune aziende che rinunciano del tutto a offrire assicurazioni nelle zone ad alto rischio in California, molte comunità potrebbero imitare il «modello Montecito». Nel 1990, dopo che un incendio a Santa Barbara distrusse 427 case, la vicina Montecito adottò misure importanti. Il risultato, oggi, è che il distretto antincendio locale collabora con gli stessi residenti per rendere le case più resistenti al fuoco. L'ultimo grande incendio che ha colpito Montecito, nel 2017, grazie a questi accorgimenti aveva distrutto solo sette case.