Rapporti internazionali

«Goodbye dollar»: la strategia di Pechino per rendersi immune a future sanzioni

La Cina cerca di promuovere l'utilizzo dello yuan nel commercio internazionale — In caso di invasione di Taiwan, azioni economiche contro il Dragone potrebbero rivelarsi meno efficaci
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Giacomo Butti
08.05.2023 11:24

Da mesi — anni — a questa parte, la pressione di Pechino su Taiwan si è fatta sempre più pesante. Come uno squalo con la preda, navi e aerei militari cinesi si aggirano attorno all'isola, sempre più vicini e minacciosi. Lo scorso mercoledì, l'esempio più recente, il ministero della Difesa di Taiwan ha rilevato ben 27 jet e 7 navi da guerra intorno a Formosa: uno schieramento «doppio» rispetto a quanto osservato nelle 24 ore precedenti. Xi Jinping, ne avevamo parlato in febbraio, avrebbe ordinato al suo esercito — secondo dati raccolti dalla CIA — di prepararsi all'invasione dell'isola entro il 2027. Un'operazione che, valutano diversi analisti, potrebbe includere un attacco preventivo contro le basi statunitensi della regione. Ma la preparazione militare non è l'unico aspetto già messo in conto da Pechino. Informazioni raccolte da Swift — società di telecomunicazione finanziaria interbancaria — mostrano come il Dragone si stia rendendo sempre più indipendente dalle transazioni in dollari. Tradotto: sanzionare economicamente la Cina, se dovesse decidere di intraprendere a Taiwan un'azione come quella voluta in Ucraina da Mosca, potrebbe rivelarsi inutile. 

Il peso dello yuan

Da tempo — almeno un decennio — la Cina ha moltiplicato i propri sforzi per ridurre la propria dipendenza dal dollaro, un'esigenza inizialmente motivata da ragioni, soprattutto, economiche: molti i timori riguardanti la possibilità di trovarsi invischiati in un nuovo crollo finanziario statunitense come quello avvenuto nel 2008. Ma, recentemente, l'idea di ampliare la sfera di influenza dello yuan a discapito della moneta di Washington è stata sostenuta anche dalle mire militari di Pechino. La guerra in Ucraina, del resto, ha fatto scuola: l'immediata reazione occidentale all'invasione russa è stata l'imposizione di pesanti sanzioni, in particolare l'esclusione di Mosca dalle transazioni in dollari. Un'operazione, questa, che ha immediatamente limitato le capacità del Cremlino di commerciare con altri Paesi. È vero: in questo anno di guerra, la Russia è stata in grado di reggere l'urto, in parte grazie a tecniche di aggiramento delle sanzioni messe in atto con il sostegno di Paesi non allineati. Ma le maglie della rete — gli analisti ne sono sicuri — sono destinate a stringersi: quanto a lungo la Russia riuscirà a dribblare?

Torniamo alla Cina. Pechino, dicevamo, ha imparato: se vorrà invadere Taiwan, dovrà rendersi immune a simili sanzioni. Ecco perché, nell'ultimo anno, le manovre commerciali volte ad abbandonare l'utilizzo del dollaro hanno subito un'impennata, in parte proprio approfittando del conflitto in corso in Ucraina. Nel 2022, rivela un articolo del Guardian, la quota delle importazioni russe pagate in yuan è passata dal 4% al 23%. Una tendenza confermata nel 2023: a febbraio, lo yuan cinese ha superato il dollaro come valuta più scambiata alla borsa di Mosca per la prima volta nella sua storia. Di più: fra febbraio 2022 e marzo 2023, rivelano dati raccolti da Swift, in termini di attività globale sul mercato finanziario lo yuan ha più che raddoppiato la propria quota, passando dal 2% al 4,5%. Nel commercio, il dollaro gioca ancora la parte del leone, con l'84,3% (in calo dall'86,8% del 2022), ma la tendenza — sottolineano gli analisti — non è da sottovalutare.

Gli esempi

Imporre sanzioni alla Cina, va detto, non sarebbe semplice nemmeno per gli Stati Uniti e l'Europa. Se confrontata a quella russa, l'economia cinese è molto più intrecciata con quella dei Paesi occidentali: punire economicamente Pechino in caso di azioni contro Taiwan, insomma, potrebbe essere un'arma a doppio taglio. Al di là del conflitto fra Cina e Taipei, Bruxelles avrebbe già proposto di sanzionare le società cinesi per il sostegno accordato alla macchina da guerra russa, ha fatto sapere proprio oggi il Financial Times: sette aziende di Pechino, in particolare, si troverebbero sotto la lente UE per la vendita di attrezzature utilizzabili negli armamenti. Il pacchetto di sanzioni sarà discusso in settimana. Misure blande, se confrontate a quanto messo in campo contro Mosca. Ma la Cina non vuole correre rischi e per questo sta già correndo ai ripari proprio puntando sull'internazionalizzazione dello yuan. Che il renminbi (come è anche conosciuta la valuta cinese) stia guadagnando sostenitori politici è, ormai, innegabile. Recentemente, Argentina e Brasile hanno raggiunto accordi per il pagamento delle — importanti — importazioni cinesi in yuan anziché in dollari. E la moneta di Pechino diventa sempre più centrale anche per transazioni che non riguardano direttamente il Dragone. Un esempio? Lo scorso mese, il Bangladesh ha annunciato che salderà in yuan un debito da 318 milioni di dollari contratto con Mosca. Non solo: in marzo, una società cinese ha utilizzato lo yuan per acquistare 65.000 tonnellate di gas naturale liquefatto (GNL) dalla multinazionale francese TotalEnergies, la prima volta che la valuta cinese è stata utilizzata in una transazione internazionale di GNL.

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