Il punto

Grecia ma non solo, l'impatto economico dei roghi

L'Unione Europea da tempo spinge affinché vengano aumentati i finanziamenti per prevenire gli incendi, considerando anche le ripercussioni su settori quali l'agricoltura e il turismo – Un euro investito in questo senso potrebbe permettere di risparmiarne dieci
© Lefteris Damianidis
Marcello Pelizzari
24.07.2023 10:45

La stima, lo scorso gennaio, l'aveva data Janez Lenarcic, Commissario europeo per la gestione delle crisi. Nel 2022, i danni provocati dai roghi che avevano devastato ampie porzioni dell'Europa erano stimati in «almeno 2 miliardi di euro». Lenarcic, all'epoca, aveva espressamente chiesto un aumento dei finanziamenti per la prevenzione degli incendi. Sostenendo che ogni euro investito a tale scopo ne avrebbe salvati almeno due. In realtà, secondo uno studio della Banca Mondiale, condotto in collaborazione con la Commissione Europea, un euro investito nella prevenzione degli incendi permetterebbe di risparmiarne dieci di danni. Un altro studio, a tal proposito, ha rilevato che Grecia, Spagna, Portogallo, Italia e Francia spendono fino all'80% dei fondi disponibili per la soppressione dei roghi e soltanto il 20% per la prevenzione. Un disequilibrio evidente.

Se la stagione si allunga

Ieri come oggi, leggiamo, l'Unione Europea è confrontata con una stagione, quella degli incendi, che a causa del cambiamento climatico si sta allungando ed estendendo geograficamente. In attesa di capire come sarà, in questo senso, il 2023, il 2022 si è rivelato il secondo peggiore in termini di aree bruciate dall'inizio delle registrazioni nel 2006. Almeno 800 mila gli ettari andati in fumo nel blocco UE. Gli incendi, in particolare, erano stati provocati e alimentati da ondate di calore più lunghe e ripetute e, ancora, da una gravissima siccità che aveva colpito la maggior parte dell'Europa. 

Mesi fa, a Lisbona, i ministri dei 27 Stati membri si erano riuniti proprio per discutere la precedente stagione degli incendi e, parallelamente, come resistere a quella in arrivo, l'attuale. Lenarcic, al riguardo, aveva affermato che, nel 2022, a chiedere aiuto erano stati «anche gli Stati membri meglio equipaggiati e meglio preparati». Un aiuto possibile, ne avevamo parlato, attraverso il Centro di coordinamento della risposta alle emergenze (ERCC) e grazie al Meccanismo di Protezione civile dell'UE, attivabile dalle autorità nazionali quando le proprie risorse di emergenza non sono sufficienti a contrastare un disastro. Peccato che, parola di Lenarcic, l'estate scorsa questa riserva europea si fosse esaurita: «A un certo punto e più di una volta, non avevamo più capacità di riserva a livello europeo per aiutare i Paesi colpiti».

Un problema, appunto, legato al fatto che le stagioni degli incendi boschivi, in questi ultimi anni, inizino prima e finiscano più tardi. E che colpiscano sempre più Paesi, anche quelli meno preparati a eventi del genere. A gennaio, la Commissione Europea per fronteggiare il problema aveva annunciato diverse nuove misure, fra cui il raddoppio della capacità RescEU – la flotta condivisa di mezzi come i Canadair – già nel 2023 e, ovviamente, un piano d'azione per la prevenzione che punta ad aumentare i finanziamenti per anticipare scene come quelle viste a Rodi e, ora, a Corfu.

Ma l'Europa è pronta?

Detto dei danni diretti, secondo un rapporto della Banca Centrale europea del 2021 il cambiamento climatico potrebbe cancellare oltre il 4% del PIL europeo entro il 2030. Paesi come la Grecia, soprattutto, rischiano seriamente di pagare a caro prezzo un aumento della frequenza e della gravità degli incendi. Se, finora, Atene è stata in grado di coprire la maggior parte dei costi a breve termine grazie ai cosiddetti finanziamenti d'emergenza all'interno dell'Unione Europea, l'industria del turismo – fra le principali voci a livello di entrate per il Paese – potrebbe risentirne nel lungo periodo. «I costi a lungo termine, non solo a causa degli incendi, ma più in generale del cambiamento climatico, stanno aumentando» ha dichiarato non a caso Steffen Dyck, vicepresidente senior di Moody's Investor Service. «È già una preoccupazione economica e molto probabilmente aumenterà ulteriormente. La domanda da porsi è quindi: in che posizione si trova l'Europa rispetto ad altre regioni per affrontare questo problema?».

Gli incendi boschivi, oltre a essere dirompenti e distruttivi, colpiscono svariati settori dell'economia, come la silvicoltura, l'agricoltura, l'industria e l'edilizia o, dicevamo, il turismo. Secondo diverse fonti, le implicazioni dei roghi si rispecchiano nell'occupazione e nella crescita del PIL in nazioni come Grecia, Italia, Portogallo e Spagna. Un rapporto, in questo senso, ha incrociato i dati annuali su occupazione e crescita dal 2010 e 2018 con quelli climatici e, riguardo agli incendi, dei dati satellitari sulle aree bruciate. Nei Paesi considerati, nel periodo esaminato sono andati in fumo 2,4 milioni di ettari. Di qui la riduzione del tasso di crescita annuale del PIL, in media, dello 0,11-0,18%. Una sciocchezza, sembrerebbe, eppure parliamo di una perdita di produzione annuale fra i 13 e i 21 miliardi di euro per l'Europa meridionale. A causa degli incendi, già. 

Nel periodo 2010-2018, sempre stando al rapporto, gli incendi hanno ridotto la crescita media annua dell'occupazione nel commercio al dettaglio e nel turismo dello 0,09-0,15%. Al contrario, è cresciuta l'occupazione (fra lo 0,13 e lo 0,22%) nel settore assicurativo e immobiliare. Segno che gli incendi, oltre a modificare il territorio, stanno cambiando anche la struttura della società. Almeno finché non ci sarà uno sforzo maggiore in termini di prevenzione.