Guai per Netanyahu: «Si assuma le sue responsabilità, a fine guerra le dimissioni»
Sono passate più di due settimane da quel 7 ottobre destinato a rimanere nella storia di Israele. Da quando i miliziani di Hamas, partendo indisturbati da Gaza, hanno portato morte e distruzione nei kibbutz israeliani vicini alla Striscia. Indisturbati, già. Dal minuto uno, la popolazione israeliana e il mondo intero si chiedono come sia potuto succedere. Davvero si può parlare, semplicemente, di flop per l'intelligence israeliana? Ne avevamo discusso con Paolo Capitini, generale dell'Esercito italiano ed esperto di scienze strategiche e storia militare: «Credo sia una scorciatoia intellettuale pensare che i tre servizi segreti israeliani (Mossad, Aman, Shin Bet) non si siano accorti di nulla. Sta in piedi con più facilità l'ipotesi che a eventuali avvertimenti il governo abbia dato poco credito», ci aveva detto.
Nei primi giorni di conflitto, quando Israele aveva bisogno di una risposta forte, popolo, esercito e politica hanno cercato di rimanere uniti. Senza guardare alle colpe individuali. Ma non tutto può essere rimandato a fine guerra, e mentre le Forze di difesa israeliane (IDF) sono pronte, da giorni, ai confini di Gaza per la sbandierata operazione "boots on the ground", qualcuno si chiede se – a livello politico – sia giusto lasciare la nave nelle mani dello stesso timoniere. È giusto che Benjamin Netanyahu continui a guidare Israele? La maggioranza della popolazione crede di no.
«È colpa di Netanyahu»
A infastidire in modo evidente la popolazione è il fatto che, sin qui, il governo di Bibi non abbia, in alcun modo, accennato a un'ammissione di colpa per la situazione in cui versa Israele. Secondo un articolo pubblicato da Ynet, sito del quotidiano israeliano Yediot Ahronot, uno studio condotto da uno psicologo politico dell'Università ebraica di Gerusalemme dimostrerebbe l'insofferenza della popolazione nei confronti di Netanyahu. L'indagine ha esaminato l'umore pubblico dallo scoppio della guerra in tre momenti diversi tra i 1.442 israeliani dai 18 anni in su. Il primo test è stato condotto il 9 ottobre, il secondo il 15 ottobre e l'ultimo fra il 19 e il 20 ottobre. I risultati? La popolazione è sempre più unita nell'incolpare il premier del fallimento – militare e d'intelligence – del 7 ottobre. Per essere precisi: ben il 75% degli intervistati ritiene che la principale colpa debba essere attribuita a Benjamin Netanyahu. Il 66% ha inoltre risposto che Netanyahu dovrebbe dimettersi alla fine del conflitto, contro il 18% che si oppone all'idea. Una mazzata, soprattutto considerato che simili percentuali siano riscontrabili anche all'interno dello stesso Likud (il partito di Netanyahu), dove oltre la metà degli elettori ritiene che il premier debba dimettersi a fine guerra.
Questione di responsabilità, insomma. «Tutti i capi della sicurezza hanno ammesso in un modo o nell'altro la responsabilità del fallimento, perché Netanyahu non lo ha fatto?», scrive il quotidiano israeliano. La situazione starebbe infastidendo anche l'establishment. Tanto che, afferma il giornale, «almeno tre ministri» israeliani starebbero considerando la possibilità di rassegnare le dimissioni per forzare la mano a Netanyahu, per spingerlo ad assumersi pubblicamente le proprie responsabilità. «Intende restare, e anche se pochi credono che sarà in grado di mantenere la carica – a causa dell'ondata di indignazione pubblica intrisa di dolore e trauma che si riverserà il giorno dopo la fine della guerra – i funzionari stimano che non si dichiarerà colpevole perché semplicemente non fa parte della sua personalità. In tutti gli anni del suo mandato non si è mai scusato per nulla ed è improbabile che inizi adesso».
Crisi con l'esercito
La crisi sarebbe profonda, anche fra esercito e governo. Al più recente incontro del gabinetto, afferma Ynet, sarebbe emersa una grave «crisi di fiducia fra Netanyahu e l'IDF, l'esercito. Un altro danno subito da Israele il 7 ottobre che rende molto difficile concentrarsi sulla guerra e prendere decisioni, anche dolorose. Israele ora ha bisogno di una leadership efficace, focalizzata sulla missione», si legge sul giornale israeliano, che definisce il governo «l'anello debole» di Israele. «L'amministrazione Netanyahu ha difficoltà a raggiungere decisioni concordate su questioni chiave all'ordine del giorno». Contro il consiglio dell'IDF e del ministro della Difesa Galant, Netanyahu avrebbe deliberatamente ritardato una «azione preventiva» in Libano e l'ingresso delle truppe a Gaza. Perché? «Netanyahu è furioso con gli alti funzionari dell’IDF, responsabili della sua percezione di tutto quello che è successo. Reagisce con impazienza alle opinioni e alle valutazioni espresse dai generali».
D'altra parte, c'è preoccupazione: «Il governo ha annunciato un obiettivo di guerra che l'IDF dubita sia raggiungibile. In varie dichiarazioni, Netanyahu e Galant hanno promesso di spazzare via Hamas dalla faccia di Gaza, senza spiegare quale fosse il significato pratico di tale impegno. Come sarà raggiunto questo obiettivo? E quando l’IDF e il governo sapranno che Israele ha effettivamente vinto? Non vi è alcuna discussione su quale sarà la realtà a Gaza dopo che Hamas sarà eliminato, se verrà eliminato, né nell'esercito né nel governo. Israele vuole entrare a Gaza senza una definizione chiara di quando e come lascerà e cosa lascerà dietro di sé».