Stati Uniti

Haley perde le primarie in Nevada senza Trump

Il tycoon ha infatti preferito correre da solo nei caucus organizzati dal partito l'8 febbraio in alternativa alle primarie introdotte per la prima volta nel Silver State dopo il caos dei risultati del 2020
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Ats
07.02.2024 20:09

Joe Biden stravince le primarie democratiche in Nevada con un plebiscitario 90% circa mentre Nikki Haley perde quelle repubblicane con un risultato imbarazzante: intorno al 30%, più che doppiata da quanti hanno scelto l'opzione «nessun candidato» (63%) in una gara senza Donald Trump.

Il tycoon ha infatti preferito correre da solo nei caucus organizzati dal partito l'8 febbraio in alternativa alle primarie introdotte per la prima volta nel Silver State dopo il caos dei risultati del 2020. Con la garanzia di prendersi tutti i 26 delegati in palio.

«Anche Donald Trump sa che quando giochi alle slot machine il banco vince sempre. Non ci siamo presi la briga di giocare a un gioco truccato per Trump. Stiamo andando a tutto vapore nel South Carolina e oltre», ha spiegato un portavoce della Haley, alludendo al fatto che il format dei caucus scelto dal partito favorisce il tycoon e che il suo rivale ha fatto campagna perchè gli elettori votassero contro di lei. Ma l'esito del voto è un brutto colpo d'immagine per l'ex ambasciatrice all'Onu e il suo tentativo di cavalcare il 'momentum', anche nella raccolta fondi record, per una rimonta da suggellare il 24 febbraio nella sua South Carolina. Quel 30% in uno stato dove ci sono anche significative minoranze, a partire da quella ispanica, significa che la figlia di immigrati indiani non sfonda nella base del partito.

E conferma la presa di the Donald sul Grand Old Party. Come dimostrano le annunciate dimissioni della presidente della Republican National Committee Ronna McDaniel dopo le critiche del tycoon, che punta a sostituirla con Michael Whatley, il presidente del partito repubblicano della North Carolina che è un convinto sostenitore della tesi delle «elezioni rubate» del 2020. E come conferma la linea estremista al Congresso, dove però i repubblicani hanno offerto l'ennesimo spettacolo di caos e subito due clamorose sconfitte alla Camera, nonostante la loro (risicata) maggioranza. La prima quando è fallito (216 a 214) il voto sull'impeachment del ministro dell'interno Alejandro Mayorkas, accusato per la crisi dei migranti al confine col Messico. Lo speaker Mike Johnson ha promesso che ci riproverà un'altra volta ma l'imbarazzo resta. La seconda, pochi minuti dopo, è quando è naufragata (250 no e 180 sì, con 13 repubblicani contro) la legge che prevedeva 17 miliardi di aiuti solo per Israele, senza altre misure. Scene da dilettanti allo sbaraglio, mai viste quando lo speaker era la democratica Nancy Pelosi.

Ora tocca al Senato votare la legge da 120 miliardi di dollari (appoggiata da Biden) che tiene insieme la sicurezza del confine con gli aiuti per Kiev (60 miliardi) e Israele (12 miliardi). I repubblicani vogliono affondarla, spinti o minacciati da Trump. Ma i democratici hanno in serbo l'opzione di una legge ad hoc solo per Kiev e Tel Aviv.

Giovedì intanto la corte suprema esaminerà il ricorso dell'ex presidente contro l'esclusione dalla candidatura in Colorado in base al 14/mo emendamento, che vieta le cariche pubbliche a funzionari coinvolti in insurrezioni o rivolte contro la costituzione su cui hanno giurato: la decisione sulla sua eleggibilità farà da precedente anche per tutte le altre cause pendenti in vari Stati.

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