Hamas boccia la tregua breve a Gaza, progressi in Libano
Se cresce una flebile speranza di raggiungere una tregua tra Israele e Libano, è Hamas a dare l'ennesima spallata alle prospettive di un cessate il fuoco a Gaza.
«L'idea di una pausa temporanea solo per riprendere l'aggressione in seguito è qualcosa su cui abbiamo già espresso la nostra posizione. Hamas sostiene una fine permanente della guerra, non una temporanea», ha detto all'AFP Taher al-Nunu, leader senior del movimento, bocciando il lavoro dei mediatori per una sospensione breve dei combattimenti ed evidenziando ancora una volta uno stallo nei negoziati che invece sembrano fare timidi passi avanti sul fronte nord, tema affrontato in un incontro tra inviati americani e il premier Benyamin Netanyahu a Gerusalemme.
Un incontro definito «costruttivo» da un funzionario americano al «Times of Israel», mentre il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha confermato che i negoziatori hanno fatto «buoni progressi» verso un'intesa con Hezbollah.
Questo nonostante la guerra continui a macinare vittime in Libano, mentre nel nord di Israele i razzi dei miliziani sciiti hanno ucciso sette persone in due attacchi a Metula e vicino a Haifa, tra i bilanci più gravi per Israele dall'inizio della guerra.
Di fronte all'ennesima battuta d'arresto sui negoziati per Gaza, è opinione di media e analisti che si arriverà prima a un accordo per stabilizzare il fronte di Israele con il Libano. Nell'incontro tra gli inviati di Washington Amos Hochstein e Brett McGurk, Netanyahu ha sottolineato in ogni caso che qualsiasi intesa dovrà garantire la sicurezza di Israele.
«Il primo ministro ha precisato che la questione principale non sono le pratiche per questo o quell'accordo, ma la determinazione e la capacità di Israele di garantire l'applicazione dell'accordo e di prevenire qualsiasi minaccia alla sua sicurezza da parte del Libano», ha dichiarato l'ufficio di Netanyahu dopo la riunione a Gerusalemme.
Una visita, quella dei funzionari americani, che giunge a pochi giorni dalle elezioni presidenziali del 5 novembre e che mostra la determinazione dell'amministrazione americana di raggiungere un accordo, perlomeno in Libano.
Secondo i media israeliani che citano fonti governative, il piano dei mediatori statunitensi prevede il ritiro degli Hezbollah dal Libano meridionale a nord del fiume Litani, a oltre 30 km dal confine, e il ritiro dell'esercito israeliano dalla stessa regione, il cui controllo tornerebbe all'esercito libanese e alle forze di pace dell'ONU.
In questo quadro, lo Stato ebraico vuole garanzie di conservare la propria libertà d'azione in caso di minacce. Funzionari israeliani hanno infatti sottolineato che i soldati impegnati nell'offensiva di terra nel sud del Libano non si ritireranno fino a quando non sarà raggiunto un accordo che soddisfi i requisiti di sicurezza di Israele, consentendo il ritorno di circa 60'000 residenti del nord sfollato a causa dei continui attacchi di Hezbollah.
Nell'ultima giornata, i razzi del movimento sciita hanno ucciso cinque persone - un contadino israeliano e quattro braccianti thailandesi - nelle campagne di Metula. In un altro attacco, due persone sono state uccise dalle schegge di un razzo cadute in un uliveto nei pressi di Kiryat Ata, fuori da Haifa.
Nel frattempo, i raid di Israele sono proseguiti provocando decine di morti nell'est e nel sud del Libano, dove una base delle truppe irlandesi dell'Unifil ha subito «danni minori» per la caduta di un razzo lanciato da Hezbollah senza provocare feriti.
Gli attacchi israeliani hanno preso di mira anche la Siria, dove l'Osservatorio nazionale per i diritti umani (Ondus) ha denunciato cinque civili uccisi nei bombardamenti sulla città e la campagna di Al-Qusayr, nel governatorato di Homs.
E a contribuire alle tensioni, l'Iran torna ad alzare i toni promettendo una risposta «brutale» agli attacchi israeliani della scorsa settimana: «Una risposta che farà pentire» lo Stato ebraico, ha affermato Mohammad Mohammadi Golpayegani, il capo dell'ufficio dell'ayatollah Ali Khamenei. «Israele oggi ha più libertà d'azione che mai in Iran», ha minacciato Netanyahu.