Il punto

Hamas, Israele e gli altri: quanto sono complicate le trattative per gli ostaggi?

Nella Striscia di Gaza si trovano oltre 200 persone, non solo ebrei e israeliani ma anche, fra gli altri, argentini, francesi, russi e statunitensi – Il ricordo del 1976 e il doppio ruolo del Qatar
©NEIL HALL
Red. Online
11.11.2023 23:15

Nella Striscia di Gaza, a oggi, si trovano ancora oltre 200 ostaggi. Trascinati con la forza oltre un mese fa, durante gli attacchi di Hamas del 7 ottobre, sono al centro di molti discorsi e analisi. Il futuro di queste persone, tuttavia, rimane poco chiaro. Israele ha sempre affermato che l'obiettivo dell'invasione di terra, nella Striscia, è duplice: distruggere Hamas e salvare gli ostaggi. Le Forze di difesa israeliane (IDF) finora hanno salvato un soldato mentre il gruppo militante palestinese ha rilasciato quattro persone. 

I governi di tutto il mondo stanno facendo pressione sul primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, affinché dichiari un cessate il fuoco. Netanyahu, tuttavia, finora ha respinto ogni appello in tal senso. Spiegando che considererà un cessate il fuoco solo e soltanto se gli ostaggi verranno liberati. Secondo alcune indiscrezioni, Israele nei giorni scorsi aveva addirittura (quasi) trovato un accordo con Hamas. I colloqui, però, si sono interrotti poiché lo Stato Ebraico ha continuato ad avanzare nella Striscia. Il New York Times ha riferito che i negoziati per liberare gli ostaggi sono ripresi. Ma non includono, al momento, i soldati israeliani prigionieri di Hamas. 

Che cosa vuole Hamas?

La vicenda, evidentemente, è molto complessa. In passato, i rapimenti operati da Hamas erano motivati da un obiettivo: far sì che Israele rilasciasse prigionieri palestinesi. Questa volta, per contro, il gruppo militante ha agito con nuove logiche e nuove strategie. Secondo gli esperti del Center for Strategic and International Studies, infatti, chi cerca uno scambio solitamente sceglie di rapire ostaggi in grado di sopportare lunghe e spesso brutali prigionie. Hamas, invece, ha rapito anche donne, anziani e bambini. Per tacere degli stranieri. La sopravvivenza degli ostaggi, insomma, potrebbe non essere il punto.

Israele, a Gaza, è confrontato a sfide senza precedenti e paragoni. Nonostante lo Stato Ebraico abbia una lunga esperienza alle spalle in termini di salvataggio di ostaggi. Il problema nel problema è dato dal fatto che anche altri gruppi, come la Jihad islamica palestinese, hanno catturato delle persone. I negoziati, di conseguenza, si sono complicati. E non poco. Non solo, Gaza è un ambiente urbano caratterizzato da un'alta, altissima densità. Sottoterra, poi, Hamas ha costruito e, negli anni, ampliato una fitta rete di tunnel. Tradotto: gli ostaggi probabilmente sono stati nascosti in posti differenti. Come la popolazione civile, pure loro sono a rischio considerando i continui bombardamenti di Israele. 

Gli ostaggi del 1976

Gli ostaggi, in linea di principio, sono sotto la responsabilità e il controllo dell'ala militare di Hamas. Che, per tradizione e scelta, parla soltanto con l'Egitto, mentre gli altri governi arabi hanno accesso all'ala politica del gruppo militante palestinese. I negoziati, dicevamo, si sono complicati. Anche perché Hamas e la Jihad islamica non stanno trattenendo unicamente cittadini israeliani ma anche diversi stranieri. Fra questi, cittadini americani, argentini, francesi e perfino russi, oltre a una cinquantina di thailandesi.

Israele teme che Hamas, presto o tardi, cerchi di dividere lo Stato Ebraico dai suoi alleati storici. Come? Offrendo di liberare gli stranieri a patto che Israele interrompa la sua campagna militare. È altresì vero che più passano i giorni e più la speranza di recuperare i propri cittadini, da parte dei governi coinvolti, diminuisce. La pratica di separare gli ostaggi ebrei e israeliani dagli altri prigionieri non sarebbe una novità. Nel 1976, dopo il dirottamento di un aereo di Air France partito da Tel Aviv e diretto a Parigi, con scalo ad Atene, i terroristi palestinesi e tedeschi – oltre a obbligare l'equipaggio a dirigersi dapprima in Libia e poi in Uganda – rilasciarono tutti i passeggeri tranne quelli israeliani ed ebrei. Minacciando di ucciderli se le autorità non avessero rilasciato i prigionieri palestinesi in Israele. La vicenda si risolse con un raid di salvataggio delle Forze israeliane di difesa, durante il quale morì il tenente colonnello Yonathan Netanyahu, fratello dell'attuale primo ministro. 

Il doppio ruolo del Qatar

Detto che l'ala militare di Hamas parla solo con l'Egitto, in queste settimane a emergere come attore centrale, se non fondamentale è stato il Qatar. L'Emirato ha agito come mediatore fra Hamas, Israele e gli Stati Uniti. Un mediatore, certo, tutto fuorché al di sopra delle parti e, di fatto, al limite del paradosso: Doha, infatti, ospita da tempo la leadership politica di Hamas ma mantiene forti relazioni con Washington tant'è che, in termini di politica estera, il Qatar è considerato filoamericano. Detto ciò, l'Emirato ora come ora appare quale unico, possibile canale per negoziare il rilascio degli ostaggi.

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