Harris contro Trump: ma che fine ha fatto il clima?
E il clima? Bella domanda. Con le elezioni oramai prossime, l'appuntamento è fissato per il 5 novembre, la domanda è tornata di stretta, strettissima attualità. E questo perché né Kamala Harris né tantomeno Donald Trump hanno affrontato il tema del cambiamento climatico durante la campagna. Per dire: di clima si è parlato, ma per cinque minuti appena, durante l'unico dibattito televisivo fra la candidata democratica e il rivale repubblicano. L'attuale vicepresidente degli Stati Uniti si è limitata a dire che avrebbe seguito la linea dettata da Joe Biden sull'Inflation Reduction Act o IRA, capace di generare numerosi posti di lavoro nella cosiddetta green economy americana. Da parte sua, l'ex presidente ha bollato come "false" le affermazioni di Harris.
Da quel confronto, l'argomento è rimasto generalmente sottotraccia. Eppure, secondo i dati dell'Agenzia internazionale dell'energia (AIE) gli Stati Uniti sono il secondo maggior emettitore di gas serra (parliamo dell'11% circa delle emissioni globali) dopo la Cina (29%). Possibile? Evidentemente sì. Il clima e il cambiamento climatico, d'altro canto, sono temi tanto divisivi quanto polarizzanti. Per questo, nessun candidato, in un certo senso, ha voluto forzare la mano. Harris, per dire, ha forte, fortissima necessità di attrarre voti al di fuori della sua base elettorale per conquistare la Casa Bianca. E i repubblicani moderati, di riflesso, percepiscono le politiche climatiche come una limitazione del loro potere d'acquisto o della loro attività economica. Detto in altri termini, secondo gli esperti Harris voleva e vuole evitare di essere vista e percepita come la portatrice di una forma di "ecologia punitiva". Introducendo, cioè, leggi e regolamenti che ostacolano lo stile di vita americano. La strategia di Harris è comprensibile, a maggior ragione se pensiamo che molti repubblicani moderati vivono negli Stati in bilico. Stati che, a oggi, offrono ancora molti posti di lavoro nel settore delle energie fossili. Parliamo di Arizona, Ohio e Pennsylvania. Va letta in questo senso l'apertura di Harris al fracking, una controversa pratica per estrarre gas di scisto dalla roccia che la stessa Harris era favorevole a vietare nel 2019.
E Trump? A suo tempo, durante la campagna che lo condusse alla Casa Bianca nel 2016, fece dell'anti-clima un cavallo di battaglia e un tema ricorrente. Stavolta, invece, pur consapevole che la sua base elettorale condivide un certo scetticismo di fronte al cambiamento climatico, il tycoon sta mantenendo un basso, bassissimo profilo. E questo perché Trump sa bene che molti elettori repubblicani beneficiano dei sussidi dell'IRA, il grande disegno di legge spinto da Biden fra i cui obiettivi c'è il sostegno ai produttori di energie rinnovabili e di batterie per auto elettriche. Detto in altri termini, l'IRA è una possibile manna per gli imprenditori repubblicani. Non solo, consente di lottare per la sovranità industriale di fronte all'incedere della Cina. Fra questi beneficiari, evidentemente, c'è anche un certo Elon Musk, il patron di Tesla.
Firmato da Biden nell'agosto del 2022, l'Inflation Reduction Act (IRA) come detto mira ad accelerare la diffusione dell'energia pulita negli Stati Uniti. Come? Fornendo generose sovvenzioni e crediti d'imposta alle aziende che investono nella produzione di batterie, pannelli solari e turbine eoliche. I primi risultati economici sono stati positivi. Secondo i dati del governo statunitense, le aziende hanno già annunciato oltre 265 miliardi di dollari di investimenti nell'energia pulita, creando più di 330 mila nuovi posti di lavoro nel settore. Di qui la scelta, di Trump, di abbracciare una visione legata agli investimenti, all'occupazione e alla competitività. La creazione di posti di lavoro, milioni di posti di lavoro come promesso dall'IRA, potrebbe per contro spingere i citati repubblicani moderati a votare Harris. O, quantomeno, a non mettere in discussione la spinta green dei democratici. Lo stesso Trump non ha mai parlato, in caso di elezione, di abolire del tutto l'IRA. Discostandosi, quindi, dai proclami legati a un'eventuale uscita dall'Accordo di Parigi.
Domanda, concludendo: ma Harris, così facendo, non rischia di alienarsi la sua base elettorale? In realtà no, secondo gli esperti, anche perché è ancora vivo il sostegno al Green New Deal americano durante il suo mandato come senatrice della California. Il Green New Deal, parentesi, era un importante piano sul clima, alla fine non adottato, avviato nel 2018 sotto la presidenza Trump da rappresentanti eletti del Partito Democratico. L'obiettivo? Garantire che il 100% dell'energia statunitense provenisse da fonti rinnovabili entro il 2035. Joe Biden non riprese il Green New Deal una volta eletto, ma il piano gli permise di avere un quadro politico per dare impulso all'IRA. E ancora: quando era procuratrice generale della California, Kamala Harris avviò una forza di polizia ambientale. Il cui scopo era quello di perseguire le aziende responsabili dell'inquinamento, come le compagnie petrolifere Exxon e Plains All American Pipeline e la casa automobilistica Volkswagen. Un risultato che gli valse il sostegno pubblico della Green New Deal Network, una coalizione molto influente di una ventina di ong americane.