Holodomor, la carestia che unisce l’Ucraina
Un fatto del Novecento coagula la memoria storica dell’Ucraina: la carestia degli anni Trenta nota come Holodomor, un neologismo nato dall’unione di holod (fame) e moryty (uccidere, sterminare). Tra il 1932 e il 1933 l’Holodomor uccide circa 4 milioni di ucraini: leggere i racconti di chi sopravvisse fa tornare alla mente le peggiori pestilenze del passato, come quella raccontata da Manzoni nei Promessi sposi. A decimare gli ucraini, però, non è un virus, è Stalin. Per questo motivo l’Holodomor unisce il popolo ucraino, che lo ricorda ogni anno il quarto sabato di novembre, contro tanti suoi nemici storici: il regime sovietico, la sottomissione alla Russia, la distruzione di un’economia e di una società che guardavano già allora più all’Europa che a Mosca, dopo aver creduto – illudendosi – a Lenin, che aveva convinto gli ucraini ad aderire all’Unione sovietica promettendo una fragile autonomia. L’Holodomor cancella anche la classe intellettuale che guidava l’identità ucraina contro le pretese egemoniche di Mosca.
La politica economica di Lenin
Per inquadrare l’Holodomor bisogna fare un passo indietro, al termine della Rivoluzione d’ottobre e della guerra civile russa. Prevalgono i Bolševiki, l’ala più intransigente, ma Lenin capisce che attuare alla lettera l’economia centralizzata non produce il benessere che la popolazione attende. I regimi marxisti-leninisti vengono definiti ora comunisti, ora socialisti: in questa indecisione fra due dottrine, in verità piuttosto differenti, vi è l’ipocrisia di un sistema che cerca un’impossibile quadratura del cerchio fra proprietà privata o collettiva dei mezzi di produzione, fra ridistribuzione delle risorse secondo i meriti o secondo i bisogni, fra maggiori o minori libertà individuali. Già nel 1921, prima ancora che l’Unione sovietica si costituisca il 30 dicembre 1922, Lenin, per scongiurare che la Russia precipiti nel baratro, compromette i dogmi dell’economia statalizzata e introduce elementi di libertà d’impresa, mutuati dall’odiato capitalismo occidentale. È la Nuova politica economica, passata alla storia con l’acronimo russo NEP (Novaja Ekonomičeskaja Politika). Una sorta di Perestrojka ante litteram che non allenta solo i lacci dell’economia: facilita anche gli scambi con l’estero e la circolazione delle idee. I benefici sono visibili. Dal 1925 in poi il violinista ucraino Mark Reznikov suona nell’Orchestra filarmonica di Leningrado (oggi San Pietroburgo). Nella sua preziosa autobiografia racconta così gli anni della Nuova politica economica: «Fu il ‘secolo d’oro’ della vita musicale dell’Unione sovietica […] Per un certo tempo, La Nuova politica economica attenuò la fame e le altre sofferenze fisiche e mentali. Si aprirono le ‘chiuse’ attraverso le quali si riversò [in Unione sovietica] tutto il meglio della vita musicale d’oltrefrontiera».
La falce di Stalin
Morto Lenin nel 1924, il suo rude successore Stalin lascia agire ancora qualche anno la Nuova politica economica, sotto la guida di Nikolaj Bucharin. Nel 1928, però, liquida Bucharin e imprime all’Unione sovietica una «grande svolta» (Velikij perelom) che restaura l’ortodossia del Partito, in economia e non solo. I contadini avevano conservato le loro proprietà e una certa libertà di commerci. Stalin impone la collettivizzazione delle terre: i celebri kolchoz, le fattorie collettive russe esistenti già in precedenza, vengono inquadrate come cooperative obbligatorie, a fianco dei sovchoz, le aziende agricole di Stato.
La collettivizzazione delle terre suscita fiere opposizioni presso i contadini e i proprietari. Una ribellione che mette in forse il controllo di Mosca sui territori sovietici nei quali la lotta per la liberazione dall’egemonia russa era stata più forte, sin dalla fine della Prima guerra mondiale. Tra questi vi è l’Ucraina, dove sorgono aspre resistenze persino all’interno del Partito comunista. Gli agricoltori ucraini non sono più in grado di produrre in autonomia; i kolchoz funzionano male, i trattori promessi da Mosca non arrivano; i proprietari che si erano opposti alla requisizione delle terre vengono deportati. Nel 1928 esce il primo Piano quinquennale: la Nuova politica economica, con le sue embrionali libertà, muore lì. I raccolti devono essere conferiti allo Stato sotto la direzione del Gosplan, il comitato pianificatore centrale. I beni alimentari e di consumo dipendono ormai dalla distribuzione statale. Stalin, dal Cremlino, ha in mano il rubinetto per affamare le province ribelli.
Stalin: «Potremmo perdere l’Ucraina»
In una lettera a Lazar' Kaganovič, nativo dell’Ucraina e influente membro del Partito comunista sovietico, l’undici agosto 1932 Stalin scrive: «Il problema peggiore, adesso, è l’Ucraina. Le cose, in Ucraina, stanno andando molto male. Male dal punto di vista della linea del Partito: anziché dirigere i comitati distrettuali, [Stanislav] Kosior [allora segretario generale del Partito comunista ucraino] non fa altro che cianciare, tra le direttive del Partito e le richieste dei comitati. Finirà sepolto dalle sue chiacchiere. Lenin aveva ragione, quando diceva che una persona senza il coraggio di andare controcorrente al momento giusto non può essere un vero leader bolscevico. Le cose vanno male anche dal punto di vista della politica sovietica: [Vlas] Chubar [funzionario del governo ucraino] non è un leader. Va male anche il GPU [la polizia segreta di allora]. Stanislav Redens [capo del GPU] non è in grado di contrastare la controrivoluzione, in una Repubblica così grande e particolare come l’Ucraina. Se non cambiamo qualcosa in Ucraina subito, la perderemo».
Da queste poche righe emerge tutta la resistenza degli ucraini contro Mosca, persino tra i dirigenti comunisti. Kosior deve affabulare con le sue «chiacchiere» i comitati distrettuali perché rifiutano le direttive imposte dal Cremlino sulle cessioni di grano allo Stato. Stalin lamenta che a Kyiv ci sono ancora troppe memorie della breve indipendenza goduta dall’Ucraina tra 1918 e 1919. Basta una scintilla, dice Stalin, e l’Ucraina sfuggirà al controllo di Mosca. Siamo negli anni in cui Stepan Bandera organizza attentati contro la Polonia per cacciarla dalla Galizia: l’Ucraina è una polveriera. «Il peggio – continua Stalin – è che i dirigenti ucraini non vedono questi pericoli». In realtà, i dirigenti ucraini stanno faticando per mediare tra le pretese di Mosca e una popolazione ostile e affamata, nella quale brilla ancora il sogno dell’indipendenza. A Stalin non importa nulla delle condizioni di vita in Ucraina. Il controllo sui mezzi di produzione è lo strumento per obbligare gli ucraini a sottomettersi, riducendoli alla fame.
Una pagina di storia che non smette di interrogarci
L’Holomodor è una delle poche pagine di storia sovietica sulle quali la ricerca in lingua italiana ha saputo dire una parola decisiva: gli accurati lavori di Andrea Graziosi (1991) ed Ettore Cinnella (2015) si sono distinti dalla storiografia italiana più comune, appiattita sulla narrativa sovietica e generalmente di scarso interesse scientifico. La lettera citata sopra è solo il più noto dei tanti documenti che permettono di classificare l’Holodomor come genocidio contro il popolo ucraino. La parola genocidio non si usa a caso: designa un istituto del diritto internazionale, la volontà di distruggere un gruppo etnico, nazionale o religioso. In epoca sovietica la carestia del 1932/33 viene a lungo sminuita come evento naturale, dalle tragiche conseguenze non solo per l’Ucraina. È vero che eventi simili sono accaduti anche in regioni della stessa Russia. I documenti, però, mettono in chiaro la responsabilità della collettivizzazione forzata, nella colpevole malagestione dei raccolti, e l’accanimento di Stalin nel fiaccare la resistenza dell’Ucraina con tutti gli strumenti a disposizione di un regime che controlla dal centro produzioni e forniture. Mosca organizza così un assedio sui generis che priva l’Ucraina di milioni di vite, ma non basta. Della «grande svolta» voluta da Stalin fa parte anche la progressiva sostituzione degli intellettuali più anziani, formatisi ancora in epoca zarista, con i giovani fedeli alla scuola del Partito comunista. Gli intellettuali ucraini non vengono risparmiati dalle epurazioni, anzi: la politica di rivalutazione della lingua e cultura ucraina, voluta da Lenin nel 1922 per convincere gli ucraini ad aderire all’Unione sovietica, viene da Stalin drasticamente interrotta. In quegli anni, Mykola Skrypnyk è dirigente comunista e commissario del popolo (ministro) dell’istruzione ucraino: è un fedele bolscevico, ma anche un acceso sostenitore della specificità linguistica e culturale dell’Ucraina. Di fronte al pugno duro di Stalin, nel 1933 si toglie la vita.
Cosa significa l’Holodomor oggi
L’Holodomor non è solo un tragico evento politico, economico e sociale. È un campionario di tutte le avversioni che oppongono l’Ucraina alle mire egemoniche della Russia, prima con gli zar e poi sotto il regime sovietico. Le stesse tensioni esplodono nella guerra cominciata nel 2014 in Crimea e ripresa su larga scala il 24 febbraio 2022. Per questo, oggi, i milioni di morti lasciati sui campi ucraini dall’Holodomor tra 1932 e 1933 sono, nella memoria dell’Ucraina, più vivi che mai.
Questo approfondimento fa parte di una seria curata dal ricercatore indipendente Luca Lovisolo in esclusiva per CdT.ch. Per leggere la prima puntata clicca qui. Per la seconda clicca qui. Per la terza clicca qui. Per la quarta clicca qui. Per la quinta clicca qui. Per la sesta clicca qui. Per la settima clicca qui. Per l'ottava clicca qui. Per la nona clicca qui. Per la decima clicca qui.