West Kowloon

Hong Kong, 14 mesi di carcere per una t-shirt sovversiva

Il 27.enne Chu Kai-pong era stato arrestato il 12 giugno perché indossava una maglietta con lo slogan delle proteste di massa del 2019, «Liberate Hong Kong, rivoluzione dei nostri tempi»
© Amnesty International
Ats
19.09.2024 18:31

La Corte distrettuale di West Kowloon a Hong Kong ha condannato a 14 mesi di carcere Chu Kai-pong, la prima persona a cadere nelle maglie della nuova legge sulla sicurezza della città approvata a inizio anno. È stato riconosciuto colpevole di sedizione per aver indossato, il 12 giugno scorso, una maglietta con lo slogan delle proteste di massa del 2019, 'Liberate Hong Kong, rivoluzione dei nostri tempi'. Chu, 27 anni, aveva anche una mascherina gialla con stampate le lettere 'Fdnol', acronimo di un altro slogan messo ufficialmente al bando: 'cinque richieste, non una di meno'.

Il giudice Victor So, uno dei magistrati specializzati della sicurezza nazionale designati dal governatore John Lee, ha stabilito che l'atto di Chu, malgrado si fosse dichiarato colpevole nell'udienza di lunedì, «non era davvero leggero» poiché le parole stampate sui suoi vestiti equivalevano a sostenere che «Hong Kong si dovesse staccare dall'amministrazione legale delle autorità centrali» cinesi.

La corte ha ritenuto che lo avesse fatto con «intenzioni sediziose» in violazione dell'Ordinanza sulla salvaguardia della sicurezza nazionale, la legislazione ex Articolo 23 della Costituzione locale, e il giudice So ha ritenuto che la condanna di Chu dovesse essere più severa dei tre mesi che gli erano stati dati per un caso simile prima che l'ordinanza fosse approvata, punendo così la recidiva.

La condanna è l'ultimo segnale della drammatica riduzione delle libertà di Hong Kong, iniziata quando Pechino ha imposto a giugno 2020 la legge sulla sicurezza nazionale che punisce secessione, sovversione, attività terroristiche e collusione con forze straniere con pene fino al carcere a vita.

L'ordinanza, approvata con voto unanime a marzo dalla legislatura locale piena di 'patrioti' (i deputati fedeli a Pechino), è un atto legislativo più completo che copre tradimento, insurrezione, furto di segreti di stato, sabotaggio di infrastrutture pubbliche e interferenza esterna negli affari interni.

L'intento sedizioso applicato nel caso di Chu è uno degli aspetti più controversi della norma formulata in modo vago e che prevede la pena massima detentiva di 10 anni. Subito dopo la sua condanna, la stessa corte e lo stesso giudice hanno aperto un altro procedimento ex Articolo 23 con tre capi d'imputazione per «intenzione sediziosa».

Alla sbarra il 29.enne Chung Man-kit, accusato di essere l'autore di graffiti sui sedili di diversi autobus pubblici. Il giudice So ha emesso la pena a 10 mesi di carcere con la motivazione che la corte dovesse essere «preventiva» e considerare la punizione su base «deterrente» al fine di «frenare la proliferazione e la permeazione nella società dei pensieri che questi atti sediziosi propagano».

Un totale di 213 persone sono state arrestate per gli scontri più violenti tra manifestanti e polizia durante il movimento pro-democrazia del 2019, di cui 200 condannate quasi tutte alla reclusione fino a 64 mesi, frutto di 17 processi che hanno coperto più di due anni. Un'azione giudiziaria meticolosa e aggressiva per normalizzare l'ex colonia britannica.