«I bambini in Libano temono che le bombe possano seguirli dappertutto»
UNICEF in settimana ha consegnato in Libano 167 tonnellate di forniture mediche per le persone colpite dalla guerra o sfollate dalle loro case. Da qui si è aggiunto l’appello a un cessate il fuoco urgente e, a tutte le parti, a proteggere bambini e infrastrutture civili in tutta la regione. Ne parliamo con Tess Ingram, portavoce di UNICEF in Libano.
Signora Ingram, qual è attualmente la situazione in Libano?
«Il Libano sta passando dalla crisi alla catastrofe. Secondo il Governo, più di 1,2 milioni di persone sono state sfollate, e si stima che circa 400 mila di queste siano bambini. Le persone sono state sfollate senza quasi nulla. Negli ultimi giorni sono stata nei rifugi. Parlando con le famiglie per strada, quelle che non hanno trovato un riparo. Le persone sono partite spaventate, spesso nel cuore della notte, senza avere il tempo di portare con sé i propri beni, quegli effetti personali da cui altrimenti non si sarebbero mai staccate. Ho incontrato famiglie che avevano solo i vestiti che indossavano. Necessitano quindi di tutto, dai materassi alle coperte, e poi acqua, prodotti per l’igiene personale, provviste e altri beni essenziali per superare l’emergenza. Sempre secondo il Governo libanese, il numero di bambini uccisi o feriti è aumentato rapidamente nelle ultime due settimane. Sappiamo che più di 890 bambini sono stati feriti nell’ultimo anno, e circa 690 di questi incidenti si sono verificati nelle ultime sei settimane. Sui 127 bambini uccisi nell’ultimo anno, cento sono stati ammazzati tra il 23 settembre e il 3 ottobre. Quindi sì, il numero delle vittime è in rapido aumento».
Persino ben prima dell’attacco subìto, Unifil parlava, in questi giorni, di un «impatto umanitario catastrofico» sul Libano.
«L’impatto umanitario in Libano è davvero catastrofico, persino al di là del numero di bambini uccisi, feriti e sfollati. I genitori incontrati qui in questi giorni mi parlano del trauma subito dai loro figli. Basti pensare alle famiglie che hanno subito bombardamenti molto vicini alle loro case. Alcuni persino sulle loro case. Diverse famiglie hanno perso tutto, e i bambini ne soffrono. I bambini hanno paura. Hanno paura che i bombardamenti possano continuare a inseguirli. E ogni volta che sentono un rumore forte, notiamo che hanno una risposta traumatica a quel rumore».
Quali sono le aree più in difficoltà e che, per questo, necessitano dei maggiori aiuti?
«Se si guarda alla mappa del Libano, la popolazione è stata sfollata principalmente dal sud del Paese, ma anche dai sobborghi meridionali di Beirut. La popolazione, comunque, è stata sfollata in tutto il Paese. Le persone vivono in molte comunità di accoglienza in tutto il Libano, in rifugi sparsi per tutto il Libano. E quindi i bisogni, così come le richieste d’aiuto, sono davvero distribuiti in tutto il Paese. Le aree più difficili da raggiungere sono quelle del sud, a causa dell’intensità dei combattimenti».
Attualmente i bambini hanno accesso all’istruzione, perlomeno in alcune aree del Paese, quelle meno toccate dagli scontri?
«La scuola sarebbe dovuta ripartire all’inizio di ottobre, ma questa partenza è stata rimandata. Alcune scuole private hanno ripreso le attività, ma tutte le scuole pubbliche del Paese restano chiuse fino a nuovo ordine. Questa chiusura delle scuole è davvero un problema nel problema per i bambini. La scuola non è solo un luogo di apprendimento e di sviluppo per i bambini, ma anche un luogo sicuro. Ai bambini piace la routine della scuola, vedere i loro amici e i loro insegnanti. Stiamo lavorando con il Ministero dell’Istruzione per elaborare un piano che permetta a quanti più bambini di tornare a studiare il prima possibile».
Quali sono le reazioni registrate in Libano dalla popolazione locale? Si accusa Israele o anche Hezbollah?
«Le persone con cui ho parlato in Libano parlano soprattutto dell’impatto di questo conflitto sulle loro vite, sulla loro salute mentale, sulle loro case, sui loro amici e sulla loro famiglia. Le persone sono spaventate. Non sanno cosa succederà dopo. Se la situazione finirà presto o se peggiorerà. L’unica costante è che vogliono solo tornare a casa. Che si tratti di tornare nel sud del Libano, nella periferia meridionale di Beirut o in qualsiasi altro luogo, la gente dice di sperare di poter tornare presto a casa, in sicurezza».
Qual è stata sin qui la risposta di UNICEF?
«L’UNICEF ha consegnato forniture e servizi alle persone sfollate nei rifugi. Abbiamo fornito migliaia di litri d’acqua, coperte, materassi, kit igienici e l’essenziale di cui le persone hanno bisogno per superare questo immediato periodo di crisi. Molti di questi rifugi sono scuole e non sono quindi attrezzati per diventare un luogo in cui vivono tante persone. Stiamo quindi cercando di aiutarli a sistemare rapidamente le cose di cui le persone hanno bisogno. Forniamo anche servizi come assistenza medica, salute mentale e supporto psicosociale alle persone. E anche attività ricreative per i bambini, in modo che abbiano la possibilità di rilassarsi, giocare ed essere semplicemente bambini, anche se per poco tempo. Abbiamo molte forniture mediche per gli ospedali, per i primi soccorsi e per i centri di assistenza sanitaria primaria. Queste forniture aiuteranno il Ministero della Sanità libanese a potenziare la risposta e ad assicurarsi che i sistemi possano essere sostenuti, ma anche che il sistema sanitario possa rispondere all’aumento del numero di feriti che si presentano negli ospedali».
UNICEF ha già fatto appello (ancora mercoledì) per un cessate il fuoco. Concretamente, però, quali soluzioni vedete all’orizzonte? Vedete qualcos’altro oltre questa guerra?
«Abbiamo lanciato un appello per un cessate il fuoco perché questo è l’unico modo per garantire la protezione dei bambini. L’unico modo è una soluzione politica che ponga fine ai combattimenti sia in Libano sia a Gaza. Non possiamo permetterci un’ulteriore escalation del conflitto in Libano o in altri territori nella regione. Tutto questo deve finire ora, per il bene dei bambini di tutto il mondo».