I contagi aumentano e Pechino ricorre al Paxlovid di Pfizer
Sì, nei prossimi giorni Pechino distribuirà il farmaco anti-COVID di Pfizer, Paxlovid, presso i centri sanitari cittadini. È quanto hanno riferito i media statali cinesi, lunedì.
Si tratta indubbiamente di una notizia, a maggior ragione se consideriamo che la capitale del Paese è alle prese con un’ondata di infezioni senza precedenti. Un’ondata che, da un lato, ha messo a dura prova gli ospedali e, dall’altro, svuotato gli scaffali delle farmacie.
Il China News Service, gestito dallo Stato, ha spiegato che i medici, previa formazione, inizieranno a somministrare il farmaco ai pazienti affetti da COVID-19. «Abbiamo ricevuto l’avviso dai funzionari – ha spiegato un dipendente di un centro sanitario nel distretto di Xicheng, a Pechino – ma non è chiaro quando arriveranno i farmaci».
L'unico medicinale straniero
Paxlovid, ad oggi, è il solo medicinale straniero per trattare la COVID-19 approvato dall’autorità di regolamentazione cinese per l’uso a livello nazionale. L’accesso al farmaco, tuttavia, rimane difficile da ottenere. Per dire: quando è stato offerto su una piattaforma online, all’inizio di questo mese, il Paxlovid è andato esaurito in poche ore.
Detto del farmaco targato Pfizer, Pechino ha pure approvato l’Azvudina, un medicinale orale sviluppato da China’s Genuine Biotech.
Dai lockdown al liberi tutti
Dopo quasi tre anni di lockdown, restrizioni e misure draconiane, questo mese la Cina ha improvvisamente deviato dalla sua politica zero-COVID. Complici le proteste a livello nazionale e il pesante, pesantissimo contraccolpo a livello economico e sociale.
L’improvvisa revoca delle restrizioni ha scatenato un vero e proprio panico da medicinali, con acquisti record di farmaci contro la febbre e il raffreddore. Un panico generale che ha provocato carenze diffuse, tanto nelle farmacie fisiche quanto online.
Ovviamente, l’abbandono della politica zero-COVID ha fatto schizzare verso l’alto la curva dei contagi. I reparti ospedalieri, in questi giorni, sono traboccanti di pazienti. A Pechino come in altre parti del Paese. Giovedì, un medico di un pronto soccorso di Pechino ha affermato al quotidiano statale People’s Daily che lui e i colleghi, oramai, non avevano nemmeno più il tempo per bere o mangiare: «Abbiamo visto pazienti senza sosta». Un altro medico, invece, ha spiegato di aver lavorato nonostante alcuni sintomi. «Il numero di pazienti è alto e con meno personale medico la pressione si moltiplica».
Il capodanno cinese
Pechino, vista l’emergenza, ha ricevuto sostegno da altre parti della Cina. Sostegno e, soprattutto, personale sanitario. La domanda sorge spontanea: possibile che la capitale non fosse pronta all’inversione a U in merito alla politica zero-COVID? Evidentemente sì.
L’impressione, fra l’altro, è che le autorità non abbiano pienamente coscienza e consapevolezza della situazione. Dopo aver annullato i test di massa e consentito ai cittadini di ricorrere agli auto-test e all’isolamento volontario a casa, il conteggio ufficiale dei casi ha perso ogni significato o valenza. La Cina, soprattutto, ha smesso di segnalare i casi asintomatici, anche perché non era più possibile tenere traccia del numero effettivo di infezioni.
Secondo una stima della National Health Commission, quasi 250 milioni di persone hanno contratto il coronavirus nei primi venti giorni di dicembre, pari a circa il 18% della popolazione totale.
Gli esperti hanno pure affermato che le cose potrebbero peggiorare il prossimo mese, quando le persone delle grandi metropoli faranno rientro nelle città di origine per il Capodanno lunare. Il virus potrebbe espandersi nelle aree rurali della Cina, dove i tassi di vaccinazione sono molto più bassi e le risorse mediche carenti.