«I cristiani hanno sostenuto la mentalità colonizzatrice: chiedo perdono»
Dapprima il Papa che, disdegnando la prevista 'golf car' elettrica, percorre sulla sedia a rotelle la strada verso il cimitero dell'ex scuola residenziale Ermineskin e si raccoglie in preghiera davanti alle tombe dei nativi, rendendo così ancora più dolorosa l'immagine di questo «pellegrinaggio penitenziale» in Canada.
Alla fine, poi, il dono al Pontefice da parte del capo indigeno Wilton Littlechild, sopravvissuto proprio alla scuola Ermineskin, di un cappello piumato da capo indiano, a simboleggiare il valore di questo abbraccio di Francesco con le popolazioni autoctone e della sua richiesta di perdono per gli orrori e i soprusi degli istituti residenziali, in gran parte perpetrati dalla Chiesa cattolica.
«Attendevo di giungere tra voi. È da qui, da questo luogo tristemente evocativo, che vorrei iniziare quanto ho nell'animo: un pellegrinaggio penitenziale. Giungo nelle vostre terre natie per dirvi di persona che sono addolorato, per implorare da Dio perdono, guarigione e riconciliazione, per manifestarvi la mia vicinanza, per pregare con voi e per voi», dice il Papa nell'incontro con le popolazioni indigene First Nation, Metis e Inuit a Maskwacis - le «colline dell'orso» in lingua cree - a 70 km da Edmonton.
«Ricordo gli incontri avuti a Roma quattro mesi fa - rievoca -. Allora mi erano state consegnate due paia di mocassini, segno della sofferenza patita dai bambini indigeni, in particolare da quanti purtroppo non fecero più ritorno a casa dalle scuole residenziali. Mi era stato chiesto di restituire i mocassini una volta arrivato in Canada». E il Pontefice lo fa, al termine del suo discorso, alla mamma indigena che glieli aveva consegnati, Marie-Anne Day Walker-Pelletier.
Ed è quel simbolo, spiega, che «ha ravvivato in me nei mesi passati il dolore, l'indignazione e la vergogna. Il ricordo di quei bambini infonde afflizione ed esorta ad agire affinché ogni bambino sia trattato con amore, onore e rispetto». Ma quei mocassini «ci parlano anche di un cammino, di un percorso che desideriamo fare insieme. Camminare insieme, pregare insieme, lavorare insieme, perché le sofferenze del passato lascino il posto a un futuro di giustizia, guarigione e riconciliazione».
Francesco pone l'accento sull'importanza di «fare memoria» e sugli «insegnamenti» che ancora si possono trarre dalle usanze e i valori dei nativi, come il rispetto della natura, della famiglia, della comunità, i legami saldi tra le generazioni, la cura degli anziani e dei bambini. Ma «fare memoria» significa anche ripensare «al dramma subito da tanti di voi, dalle vostre famiglie, dalle vostre comunità; a ciò che avete condiviso con me sulle sofferenze patite nelle scuole residenziali».
«È necessario ricordare come le politiche di assimilazione e di affrancamento, che comprendevano anche il sistema delle scuole residenziali, siano state devastanti per la gente di queste terre», avverte Francesco, e ricorda i racconti dei sopravvissuti di «come le politiche di assimilazione hanno finito per emarginare sistematicamente i popoli indigeni; di come, anche attraverso il sistema delle scuole residenziali, le vostre lingue e culture sono state denigrate e soppresse; di come i bambini hanno subito abusi fisici e verbali, psicologici e spirituali; di come sono stati portati via dalle loro case quando erano piccini e di come ciò abbia segnato in modo indelebile il rapporto tra i genitori e i figli, i nonni e i nipoti».
E quello di Bergoglio diventa un vero 'mea culpa'. «Il primo passo di questo pellegrinaggio penitenziale in mezzo a voi - afferma tra gli applausi dei presenti - è quello di rinnovarvi la richiesta di perdono e di dirvi, di tutto cuore, che sono profondamente addolorato: chiedo perdono per i modi in cui, purtroppo, molti cristiani hanno sostenuto la mentalità colonizzatrice delle potenze che hanno oppresso i popoli indigeni. Sono addolorato».
«Chiedo perdono, in particolare - aggiunge -, per i modi in cui molti membri della Chiesa e delle comunità religiose hanno cooperato, anche attraverso l'indifferenza, a quei progetti di distruzione culturale e assimilazione forzata dei governi dell'epoca, culminati nel sistema delle scuole residenziali».
Per il Papa «si è trattato di un errore devastante, incompatibile con il Vangelo di Gesù Cristo», e ribadisce «con vergogna e chiarezza»: «chiedo umilmente perdono per il male commesso da tanti cristiani contro le popolazioni indigene».
Alla presenza anche della governatrice generale del Canada, Mary Simon - lei stessa di madre Inuit -, e del primo ministro Justin Trudeau, Francesco riconosce che le sue scuse «non sono un punto di arrivo», ma «solo il primo passo, un punto di partenza».
E conclude che «una parte importante di questo processo è condurre una seria ricerca della verità sul passato e aiutare i sopravvissuti delle scuole residenziali a intraprendere percorsi di guarigione dai traumi subiti». Traumi in qualche modo riassunti dal lungo striscione rosso fatto sfilare nel luogo della cerimonia con i nomi degli oltre quattromila bambini morti di stenti e di sevizie nelle 139 scuole residenziali operanti in Canada tra '800 e seconda metà del '900.