«I massacri, casa per casa, di Hamas? Da bimbo era il mio incubo, ora è realtà»
Neta ci parla in italiano. Lo parla bene, senza particolari accenti. Capita non ricordi un vocabolo e allora, in quei rari casi, passa all’inglese. «Sono venuto in Ticino con la mia famiglia, quando avevo 12 anni», ricorda il 30.enne israeliano. «Mio padre aveva trovato lavoro a Mendrisio. È qui che ho imparato l’italiano: siamo rimasti in Svizzera cinque anni, prima di tornare in Israele». Abbiamo contattato Neta per farci raccontare come vivono, oggi, i suoi connazionali. Come vive lui. Prima del 7 ottobre, Neta aveva trovato una sua dimensione: «Sei anni fa, insieme ai miei due fratelli, ho iniziato a filmare video di escursionismo, pubblicandoli sui social. Da subito, il nostro canale ha ottenuto molta popolarità. In pochi mesi, l’hobby è diventato il nostro lavoro. A poco a poco abbiamo allargato i nostri orizzonti, arrivando a parlare di tutto ciò che ci piace, dagli sport estremi all’ecologia, passando per cibo e animali».
Poi, il 7 ottobre. Una data che rimarrà nella storia di Israele. Hamas è arrivato, a sorpresa, da Gaza, portando morte e distruzione. Sulle strade, nei kibbutz, al Nova music festival. Almeno 1.400 le vittime, la maggior parte delle quali civili, 220 le persone prese in ostaggio. Quindi la reazione israeliana: l’assedio totale di Gaza, i bombardamenti continui della Striscia, i morti . Neta si è reinventato e utilizza la propria piattaforma per promuovere, fra le decine di migliaia di follower, una raccolta fondi con la quale portare al fronte materiale utile per le truppe delle Forze di difesa israeliane (IDF). Da vestiti ad attrezzatura sanitaria, «tutto ciò che serve», ci dice.
Un incubo realtà
Passiamo a quel 7 ottobre. «Ho sognato che sarebbe avvenuto. Tutti i bambini israeliani lo sognano, prima o poi. È un incubo ricorrente, quello dei terroristi che arrivano casa per casa e uccidono tutti. Ora è avvenuto davvero». Ma chi ha vissuto l’orrore dei kibbutz, di incubi ne avrà ancora e ancora. «Mio fratello, riservista, è stato chiamato in una di queste comunità colpite da Hamas. Ciò che ha visto è apocalittico. Il senso di sicurezza non esiste più. Tutti i civili stanno cercando di mettere le mani su pistole, fucili, per essere pronti a difendersi in caso di necessità».
Famigliari, amici, conoscenti. Tutti, secondo Neta, sono convinti di una cosa: «Se non poniamo fine ad Hamas, non potremo più vivere qui. Questa è la sensazione generale, per questo anche chi non imbracciava il fucile da anni è al fronte, pronto a combattere. “Abbiamo un’arma segreta: non abbiamo un altro posto dove andare”, aveva detto la premier Golda Meir a Joe Biden durante la sua prima visita in Israele, cinquant’anni fa (allora, erano gli anni ’70, Biden era senatore, ndr). Penso sia questo che provano oggi tutti gli israeliani».
«Senza scelta»
Ma l’operazione che Israele sta conducendo sulla Striscia sta avendo un costo terribile per i civili di Gaza. Migliaia i morti, fra i quali tanti giovani e giovanissimi. Decine di migliaia i feriti, un numero ancora più alto di sfollati. Come vedono gli israeliani questo lato della medaglia? «Mentre Israele ha chiesto più volte l’evacuazione del Nord di Gaza, Hamas fa di tutto per tenere i civili dove sono, si nasconde dietro di loro, impedendo l'evacuazione delle zone a rischio. Il risultato è che la situazione nella Striscia è terribile, non ci sono parole per descrivere cosa sta vivendo chi ci abita. Ma Israele non ha più scelta. Immaginate, in Ticino, di essere costretti a difendervi ogni giorno, per decenni, da una pioggia di razzi proveniente da Campione d’Italia. Che scelta avreste? Certo, il governo israeliano può essere criticato, e tanto, per come ha affrontato nel corso degli anni la questione di Gaza. Ma dopo il 7 ottobre la situazione è cambiata e Israele non può permettersi di non fare nulla. Vorrei che fosse possibile trovare una soluzione diplomatica, ma com’è possibile immaginarla, se l’altra parte è un’organizzazione che si prefissa apertamente l’uccisione degli israeliani? Non c’è un partner con cui parlare».
Fra gli israeliani serpeggia anche la preoccupazione per il possibile allargarsi del conflitto: «Al confine con il Libano, dove agisce Hezbollah, la situazione è tesa. All'inizio pensavamo che i terroristi si sarebbero uniti subito alla guerra, ma ora non ne siamo più sicuri». Allora, a fare davvero paura è l'Iran. «Se si può imparare qualcosa da questa guerra con Hamas è che nessuna minaccia va presa con leggerezza. L'Iran è vicino ad essere una potenza nucleare. E allora, con i miei conoscenti, ci ritroviamo a soppesare le possibilità: "Teheran avrà mai il coraggio di usare una bomba atomica contro di noi?"».
Critiche a Netanyahu
Intanto, sondaggi dell'Università ebraica di Gerusalemme evidenziano la rabbia degli israeliani nei confronti del governo e di Netanyahu in particolare. Secondo i dati raccolti la scorsa settimana, ben il 75% della popolazione incolpa il premier per l'attacco a sorpresa di Hamas. «Rabbia non è la parola giusta. Quella c'è da anni. Ora è più frustrazione. Com'è possibile che Hamas abbia passato otto ore nei kibbutz, uccidendo così tanta gente, senza l'intervento dell'esercito? Dove erano i soldati? Perché sono intervenuti in piccoli numeri?». La popolazione, ci racconta Neta, ha una spiegazione: «Invece di garantire la sicurezza al confine con Gaza, gran parte dell'esercito si trovava in Cisgiordania a tenere sotto controllo la situazione a Huwara». Violenze sono state registrate nella zona a inizio ottobre e nei mesi precedenti. Coloni palestinesi hanno dato fuoco a diverse abitazioni e auto nel mese di febbraio e le tensioni sono continuate fino al giorno dell'attacco di Hamas. Proprio il 6 ottobre, riporta BBC, un 19.enne palestinese accusato di aver sparato verso una famiglia israeliana è stato ucciso. «La riforma giudiziaria di Netanyahu ha indebolito l'esercito. Gli ufficiali che non la sostenevano se ne sono andati o sono stati cacciati. E chi ora è nell'esercito si sente meno sicuro di agire nella legalità. Prima, se il governo lanciava un'operazione militare contro un obiettivo, i soldati potevano essere certi che l'operazione fosse legittima». L'indebolimento dei tribunali dovuto alla riforma ha cambiato le carte in tavola «E i soldati ora hanno paura che il governo di estrema destra chieda loro di fare qualcosa di illegale». In questo contesto di fragilità hanno avuto luogo i drammatici eventi del 7 ottobre. «C'è la sensazione che il momento di debolezza sia uno dei motivi per cui Hamas abbia deciso di colpire ora. Forse Hamas non si aspettava che gli israeliani riuscissero a mettere da parte le divergenze politiche per rispondere alla minaccia».
Una cosa, però, è chiara. «È chiaro che la fiducia in questo governo non esiste più». Neta si corregge: «No, a dire il vero è da anni che non c'è più fiducia. Ma ora abbiamo raggiunto livelli estremi. È chiaro che non si può mandare avanti un governo in queste condizioni. Ora Netanyahu chiede di aspettare la fine della guerra per parlare di dimissioni. C'è una logica in questa richiesta, ma la gente non vuole più aspettare, non può più aspettare. Perché chissà quando finirà la guerra e soprattutto come: Netanyahu potrebbe provare a cambiare la narrativa, a uscirne da vincitore. No. Non si può aspettare: deve dimettersi ora».