Crisi

«I migranti arrivano in massa, ma anche con Biden gli USA restano chiusi»

Con il giornalista Federico Rampini parliamo dell’emergenza umanitaria «senza precedenti» al confine col Messico: «Con il nuovo presidente si aspettavano un ingresso facile, questo ha ingrossato i flussi di richiedenti asilo» - Sulle frustate da parte della polizia: «Se fosse successo sotto Trump gli avrebbero dato del criminale»
©AP Photo/Fernando Llano
Michele Montanari
23.09.2021 17:09

Oltre diecimila migranti ammassati sotto un ponte che collega la città di Del Rio, in Texas, a quella di Ciudad Acuna, in Messico. In maggioranza sono originari di Haiti, un Paese che oltre ad affrontare la pandemia in un contesto di estrema povertà, ha assistito all’omicidio del suo presidente, Jovenel Moïse, lo scorso 7 luglio, ed è stato devastato, il 14 agosto, da un terremoto di magnitudo 7.2. Migliaia di vite ora sfidano la sorte lungo il fiume Rio Grande, in precarie condizioni igienico-sanitarie e con temperature vicine ai 40 gradi. Tra Stati Uniti e Messico sta bruciando uno dei tanti inferni sulla terra. E le immagini dei migranti presi a frustate dalla polizia di frontiera, che tanto hanno fatto indignare la Casa Bianca e le organizzazioni umanitarie, sono solo la punta dell’iceberg di quella che viene definita un’emergenza umanitaria senza precedenti. L’amministrazione del presidente Joe Biden, alle prese pure con la sistemazione e il trasferimento di sessantamila afghani evacuati da Kabul, è travolta dalle critiche e sta accelerando le procedure di rimpatrio degli haitiani. Con il giornalista Federico Rampini, corrispondente di «Repubblica» a New York e autore del nuovo libro Fermare Pechino. Capire la Cina per salvare l’Occidente, abbiamo parlato della crisi esplosa al confine Tex-Mex.

La copertina del nuovo libro di Federico Rampini.
La copertina del nuovo libro di Federico Rampini.

Come si è arrivati a questa emergenza «senza precedenti» nella «terra di nessuno» tra Stati Uniti e Messico? Quanto incidono la pandemia e la grande destabilizzazione di Haiti?
«Il caos di Haiti e la pandemia sono tutti fattori aggravanti, però un’emergenza migranti era già in atto dall’inizio dell’anno e in provenienza da altri Paesi del Centroamerica. Vi ha contribuito l’idea che l’arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca avrebbe inaugurato una politica di maggiore apertura. Si sono diffuse aspettative di un ingresso facile, che hanno contribuito a ingrossare i flussi dei richiedenti asilo».

L’amministrazione Biden come sta gestendo la crisi? Il governatore del Texas ha mosso dure critiche al presidente statunitense, dicendo che la sta gestendo «tanto male quanto l’evacuazione delle truppe americane dall’Afghanistan»...
«L’America è sempre in preda a una larvata guerra civile, ogni pretesto viene raccolto dall’opposizione per attaccare chi sta al governo. La dinamica federalista accentua le lacerazioni, con i governatori repubblicani sempre pronti ad attaccare il presidente democratico. A maggior ragione se il governatore repubblicano si trova proprio a ridosso della frontiera messicana e riceve l’onda d’urto dei migranti. Comunque il paragone con l’Afghanistan è una evidente forzatura».

Le immagini della polizia di frontiera americana che frusta i profughi hanno fatto il giro del mondo. Qualcuno sostiene che se avessimo assistito alle stesse scene con Donald Trump alla Casa Bianca l’eco sui media (e i social) sarebbe stata più forte. È d’accordo?
«Questo è vero. La maggior parte dei media è progressista. Le stesse immagini durante la presidenza Trump avrebbero scatenato boati di condanne, e quel presidente sarebbe stato descritto come un criminale. Biden viene criticato ma i toni dei media di sinistra, dalla CNN al New York Times, fino al Washington Post, sono più moderati. Da tempo i media americani hanno perso ogni parvenza di equilibrio».

Biden evita gesti plateali e provocatori come la costruzione del muro al confine. Per il resto mantiene le frontiere sostanzialmente chiuse e scoraggia gli arrivi

Quali sono le principali differenze tra la politica di Joe Biden e quella di Donald Trump sul tema migranti?
«Non molte. Biden evita gesti plateali e provocatori come la costruzione del muro al confine. Per il resto mantiene le frontiere sostanzialmente chiuse e scoraggia gli arrivi. Il coronavirus è un ottimo pretesto per farlo, e non lo dico per alludere a qualche presunta ipocrisia. Un’alta percentuale di migranti, profughi e richiedenti asilo non è vaccinata. Sarebbe grave se Biden aprisse le frontiere esponendo i suoi cittadini a un nuovo rischio sanitario, proprio mentre a casa sua adotta un tono duro contro i no-vax e introduce l’obbligo di vaccinazione per i dipendenti federali».

Kamala Harris, mesi fa, aveva lanciato un appello ai profughi sintetizzabile in: «Non venite negli USA, sarete respinti». La reazione di Alexandria Ocasio-Cortez è stata immediata: «Gli USA hanno speso decenni contribuendo a cambiare regimi e a destabilizzare l'America latina. Non possiamo incendiare la casa di qualcuno e poi incolparlo perché fugge». Alla luce dei recenti fatti, come commenta il monito della vice-presidente e l’indignazione della deputata dem?
«Kamala Harris agisce nel solco della migliore tradizione democratica americana. L’emigrazione impoverisce i Paesi di partenza, è un dato di fatto: sono i migliori che se ne vanno. Sul piano interno la sinistra americana sa per esperienza che le frontiere aperte hanno indebolito il potere contrattuale dei lavoratori. Da Roosevelt a Kennedy l’America seppe costruire un modello socialdemocratico (Welfare, redistribuzione, riduzione delle diseguaglianze, più diritti ai lavoratori) perché teneva sotto rigido controllo i flussi migratori. Quando aprì le frontiere, dalla seconda metà degli anni ’60 in poi, cominciò lo smantellamento del Welfare e il liberismo selvaggio. Alexandria Ocasio-Cortez rappresenta un’ala estremista che incolpa l’America di tutti i mali del mondo, la descrive come un inferno per i diritti umani, una Nazione segnata geneticamente da razzismo, sessismo e xenofobia, poi però pretende che tutti debbano poter entrare in questo inferno».

Nel suo nuovo libro Fermare Pechino. Capire la Cina per salvare l’Occidente racconta una «faccia della Cina troppo nascosta e inquietante, che l'élite occidentale ha deciso di non vedere», ma anche i rapporti, gli scontri e le contaminazioni tra il Dragone e gli Stati Uniti: in tema di immigrazione è possibile fare un paragone tra le due superpotenze?
«La Cina su questo terreno è l’anti-America. La Cina sì, ha una cultura profondamente razzista, un complesso di superiorità molto esplicito, un etnocentrismo che vede gli Han (cioè i “veri” cinesi) come un’etnia migliore. Il Dragone non vuole immigrati stranieri e non ne avrà. In compenso ha un’enorme immigrazione interna, che tratta come una massa di cittadini di serie B a cui nega diritti elementari, come sanità e istruzione. Ma quando gli americani osano criticare Pechino sui diritti umani, Xi Jinping reagisce citando Alexandia Ocasio-Cotrez e Black Lives Matter, secondo cui l’Impero del Male è l’America».

Federico Rampini.
Federico Rampini.