Germania

I sondaggisti: «CDU-CSU ed SPD condannate a restare insieme»

Il dibattito televisivo di domenica non sembra aver prodotto cambi di orientamento nell'elettorato tedesco – Un terzo almeno degli aventi diritto non ha ancora deciso per chi voterà – Il condirettore della Frankfurter Allgemeine Zeitung: «Il 23 febbraio nessuno otterrà ciò che vuole»
©MICHAEL KAPPELER / POOL
Dario Campione
10.02.2025 20:15

«La prossima grande coalizione si profila all’orizzonte, a scapito della Germania». Christian Geinitz, corrispondente economico da Berlino della Frankfurter Allgemeine Zeitung (FAZ) ha sintetizzato così l’esito del dibattito televisivo che, domenica sera, ha messo di fronte il cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz e il leader dell’Unione centrista CDU-CSU Friedrich Merz.

Un confronto vivace, a tratti molto aspro, ma nel quale nessuno dei due contendenti ha mai affondato il colpo in maniera definitiva. Ben sapendo che, con ogni probabilità, dopo il 23 febbraio, sarà costretto a governare, ancora una volta, con l’attuale avversario.

Da settimane, le rilevazioni demoscopiche sono più o meno stabili. L’Unione CDU-CSU si attesta sempre attorno al 30% delle intenzioni di voto, seguita a distanza di circa 10 punti percentuali da Alternative für Deutschland (AfD), il partito di estrema destra ,guidato, com’è noto, da Alice Weidel. L’SPD di Scholz è ferma al 16%, mentre i Verdi conquisterebbero al momento il 14%.

A sorpresa, l’unico altro partito in grado di superare la soglia di sbarramento del 5% sarebbe, per ora, la Linke, il movimento erede dei post-comunisti della Germania Est.

Sia i liberali dell’FDP sia il partito scissionista della Linke, la Bündnis Sahra Wagenknecht (BSW), superano invece di poco il 4%.

Situazione incerta

Tutti i sondaggisti stimano tuttavia che almeno un quarto degli elettori tedeschi non sa ancora, a meno di due settimane dall’apertura dei seggi, quale partito scegliere o se andare addirittura a votare.

La situazione è talmente incerta che alcune grandi imprese, con un’iniziativa che non ha precedenti nella storia della Germania, hanno lanciato sui social media una campagna a favore della partecipazione. La casa automobilistica Mercedes-Benz, il gruppo farmaceutico e agricolo Bayer e altri notissimi marchi di beni di consumo quali Iglo, Katjes o Nestlé, ma anche il fornitore di telefonia mobile Congstar sono tra la dozzina di aziende che stanno invitando gli elettori ad andare a votare con l’hashtag #ZusammenFürDemokratie (Insieme per la democrazia), nella convinzione che una bassa affluenza alle urne potrebbe avvantaggiare le «forze estremiste».

Persino il Deutsches Institut für Wirtschaftsforschung (Istituto tedesco per la ricerca economica, comunemente conosciuto come DIW Berlin), uno dei primi 10 centri studi di ricerca economica del mondo, ha rotto il suo sostanziale moderatismo nei giudizi politici, schierandosi contro il programma elettorale dell’AfD in maniera molto netta. E lo stesso hanno deciso di fare l’Istituto IFO dell’Università di Monaco di Baviera e l’Institut der deutschen Wirtschaft (IW) di Colonia.

«La politica economica dell’AfD distruggerebbe il modello economico tedesco», ha detto in un’intervista a der Spiegel Marcel Fratzscher, professore di Macroeconomia all’Università von Humboldt di Berlino e presidente del DIW. A detta di Fratzscher, il programma proposto da Alice Weidel costerebbe «milioni di posti di lavoro». Il presidente del DIW ha pure criticato in modo pesante «l’inversione della transizione energetica che l’AfD sta pianificando. L’energia nucleare e i combustibili fossili sono già significativamente più costosi delle energie rinnovabili. Non solo: molte delle promesse dell’AfD, come i tagli alle tasse, non sono realistiche. E  un’uscita dall’Unione europea sarebbe estremamente dannosa per la Germania dal punto di vista economico».

Accuse e difese

Una levata di scudi che, in ogni caso, non sembra avere presa eccessiva sull’elettorato, soprattutto quello dei Länder dell’Est, dove il partito di Weidel potrebbe diventare quasi ovunque la prima forza politica, ripetendo e ampliando il successo ottenuto alle recenti consultazioni locali.

Anche per questo, nel dibattito di domenica - curiosamente registrato negli studi televisivi della ex DDR - Friedrich Merz e Olaf Scholz sono stati molto attenti a misurare gli attacchi personali, perfettamente consapevoli che le formazioni da loro guidate saranno condannate a governare in coalizione anche dopo il 23 febbraio.

In realtà, Scholz ha accusato Merz di aver «infranto un tabù» e di essere «venuto meno alla parola data» accettando il sostegno dell’estrema destra di AfD in alcune votazioni parlamentari sull’immigrazione. «Purtroppo, non posso essere sicuro che non lo ripeterete», ha detto il cancelliere al suo avversario, lasciando intendere che la CDU ha rotto il cordone sanitario steso sin qui attorno alla Weidel.

Ma il leader cristiano-democratico si è difeso promettendo, come peraltro aveva fatto gié più volte in altre occasioni, che non firmerà mai un patto di governo con l’AfD, né accetterà mai i voti della destra per governare.

«Nessun elettore otterrà ciò che vuole - ha scritto ieri in un breve commento online Jürgen Kaube, uno dei quattro condirettori della FAZ - Nelle redazioni e nei partiti c’è un’eccitazione tremenda, ma nei sondaggi degli elettori quasi nulla si muove. Al di fuori dell’AfD e dei suoi sostenitori arrabbiati, nessuno si sente a proprio agio con i partiti, nemmeno con quelli cui dovrebbe essere più affine. La sensazione di poter votare per la cosa giusta è difficile da trovare, e nessuna emozione suscitata in campagna elettorale può aiutare a superare questo dubbio. Tuttavia, tutti gli elettori sanno che certamente otterranno qualcosa che non vogliono. La situazione attuale fornisce così lezioni di democrazia anche prima della notte delle elezioni».

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