I turisti occidentali sono, ufficialmente, tornati in Corea del Nord

Dopo anni di attesa e settimane di notizie confuse, ora è ufficiale. La Corea del Nord ha riaperto i confini ai primi turisti occidentali. Dopo cinque, lunghissimi, anni. I primi a varcare la frontiera, tra la Cina e la Corea del Nord, sono stati, a metà febbraio, i membri dello staff di Koryo Tours. Agenzia viaggi britannica, con sede a Pechino, che anche prima della pandemia organizzava viaggi verso quello che è considerato – ancora e soprattutto oggi – uno dei posti più misteriosi al mondo.
Proprio Koryo Tours, tra la fine di gennaio e l'inizio di febbraio, era finita sotto i riflettori. Complici i post pubblicati dall'agenzia sui suoi social media, in cui dichiarava che, di lì a pochi giorni, avrebbe accompagnato un gruppo di venti fortunati turisti verso Rason, una zona economica speciale della Corea del Nord. Le cose, però, erano andate diversamente e al viaggio avevano partecipato solo membri dello staff dell'agenzia. «Il Paese non è ancora completamente aperto al turismo e questo è un viaggio speciale riservato al personale», aveva sottolineato, a tal proposito, Koryo Tours nel suo blog, poco più di due settimane fa. Il tutto promettendo di portare con sé, nei viaggi successivi, anche visitatori dal resto del mondo.
E così è stato. Nelle scorse ore, infatti, è già partito, alla volta della Corea del Nord, il secondo gruppo di Koryo Tours composto da visitatori occidentali. Il secondo, sì, perché nel frattempo un gruppo è già addirittura tornato dalla sua esperienza a Rason. E ha già raccontato ciò che ha visto, lì, in uno degli angoli più remoti di uno dei Paesi più inaccessibili del globo.
È il caso di Joe Smith, un cittadino britannico che, pur essendo già stato in Corea del Nord in passato, ha deciso di sfruttare la riapertura dei confini per catapultarsi, nuovamente, nella terra di Kim Jong-un. Trovando, tuttavia, un Paese molto diverso da quello che aveva visitato in passato. Come ha raccontato al Telegraph, Joe Smith ha trovato differenze sostanziali tra la capitale (ancora chiusa ai visitatori occidentali) e la zona economica speciale su cui si concentrano questi primi tour. «Rispetto a Pyongyang, Rason è più desolata, più povera, più dispersiva», ha confessato il viaggiatore, lamentando persino la mancanza di ristoranti.
Joe Smith, quindi, ha raccontato per filo e per segno quanto vissuto in quella manciata di assurdi giorni nordcoreani. Per cominciare, il gruppo è stato portato in un mercato internazionale di merci. Un modo per mostrare loro «l'imprenditoria nordcoreana in azione». In quella zona, infatti, gli imprenditori locali guadagnavano qualche won commerciando spesso cinture Gucci false (di produzione cinese), borse simili alle Louis Vuitton – anche in questo caso contraffatte –, ma anche orsacchiotti, chitarre e batterie.
Secondo Joe Smith, il gruppo non è passato inosservato. Anzi, la gente del posto sembrava «sinceramente scioccata» nel vedere «un gruppo di una dozzina di persone bianche, che si aggiravano per il mercato con addosso strani vestiti». L'uomo, che vive a Seul e parla coreano, ha anche provato – invano – a fare due chiacchiere con i commercianti, che tuttavia lo hanno sempre respinto con un sorriso.
Ma quello di Joe Smith non è stata l'unico racconto. Kyle Grau, un giovane sviluppatore di videogiochi australiano, ha raccontato di aver preso parte alla spedizione verso Rason proprio per vedere «come si sviluppa la tecnologia informatica nel Paese più isolato del mondo». Il 21.enne ha detto di essere rimasto «stupito» nel vedere che i nordcoreani hanno – apparentemente – creato le loro versioni dei giochi popolari sugli smartphone in Occidente. Per fare un esempio, hanno un clone di Clash of Clans. Ma non solo. La Corea del Nord, negli anni, ha anche sviluppato una propria versione di Amazon, oltre a un sistema di pagamento simile al cinese WeChat. Parte di un boom tecnologico che città come Rason nascondono sotto la loro «superficie malandata», e che interessa, più in generale, tutta la Corea del Nord.
Sempre Grau, parlando del suo viaggio, ha descritto la gente del posto come «relativamente aperta». In particolare, ha raccontato di una donna che ha confessato di «aver pianto di felicità per la generosità dello Stato» quando le sono state consegnate provviste durante il lockdown.
Nonostante i nordcoreani si siano mostrati schivi nel rispondere alle domande dirette, i locali hanno fatto «di tutto» per accogliere i primi ospiti occidentali dopo cinque anni. Al punto tale da offrire loro, per lo più, hamburger e patatine fritte, al posto dell'autentico cibo locale che i visitatori avrebbero assaggiato volentieri.
Ma non è tutto. Sì, perché Riza Rasco, un'imprenditrice filippina, ha svelato un altro lato ancora di Rason. La donna, che grazie a questo viaggio ha completato l'impresa di visitare tutti i Paesi del mondo, ha detto di aver vissuto «un'esperienza incredibile». In particolare, grazie alla visita a un palazzo dove bambini e ragazzi svolgono attività extrascolastiche, come musica o taekwondo. Qui, una decina di giovani ha cantato un jingle per i visitatori occidentali, mentre sullo schermo dietro di loro veniva proiettato un video di missili balistici. «È stato controverso», ha commentato Riza Rasco.
«I bambini, però, sembravano molto appassionati. È stata una cosa incredibile», ha raccontato la donna. Di più, durante la visita, una ragazza di 15 anni le ha detto, con orgoglio, che lei e la sua classe «sono gli studenti più felici del mondo». «Perché nostro padre (Kim Jong-un) provvede a noi. Ci fornisce l'uniforme, le scarpe, le borse e non dobbiamo preoccuparci dei soldi». Per Nicolas Pasquali, visitatore italo-argentino, ancor più scioccante è stato vedere «il lavaggio del cervello» a cui sembrano essere stati sottoposti i più piccoli, i quali, di fronte ai loro ospiti, hanno dichiarato di voler servire nell'esercito, in futuro, «per proteggere il loro Paese».
Una tendenza, questa, messa anche nero su bianco dai numerosi slogan propagandistici appesi sugli edifici della città. Dove su uno si poteva leggere «dobbiamo fare tutto su richiesta dei capi», e su un altro ancora la stessa frase pronunciata dalla ragazzina: «Siamo i più felici al mondo».