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Il Brasile e gli altri: quando gli Stati mostrano i muscoli a Elon Musk

Da una parte l'ideologia del patron di X e il mantra della «libertà d'espressione», dall'altra metodi sempre più rudi per far rispettare le leggi – Ecco la nuova battaglia per il controllo delle piattaforme
© Eraldo Peres
Marcello Pelizzari
03.09.2024 16:30

Il Brasile ha deciso: con (anzi, contro) Elon Musk e X servono le maniere forti. E così, ieri l’intera Corte Suprema ha confermato la decisione di bloccare la piattaforma nel Paese, presa lo scorso venerdì dal giudice Alexandre de Moraes. Il motivo? La riluttanza del social network a rispettare la legge brasiliana. Con Musk che, al riguardo, ha parlato di censura, mentre diversi utenti – nonostante le minacce di sanzioni pesantissime – hanno fatto largo, larghissimo uso di connessioni VPN per accedere comunque a X.

La diatriba, leggiamo, si trascina da tempo. Tanto, troppo tempo. Il giudice de Moraes, nello specifico, si è dato quale obiettivo la «pulizia» del web. A tale scopo, ha chiesto – invano – che X cancellasse un certo numero di account, molti dei quali definiti di «estrema destra». Account colpevoli di aver formato una «milizia digitale» e di aver diffuso disinformazione e fake news. Musk, come detto, si è rifiutato di collaborare. Da tempo sostenitore dell’ex presidente Jair Bolsonaro, il patron di X ha ribadito un suo mantra: quello della libertà di espressione.

Ma lo stesso Musk, in passato, ha ceduto

È interessante sottolineare come, in realtà, la libertà di espressione non sia un valore assoluto per Musk. In passato, infatti, il patron di X ha accettato alcune richieste formulate dai governi, su tutti quello indiano, di censurare contenuti sulla piattaforma. La Tribune, in questo senso, scrive che Musk appare molto più virulento e «cattivo» quando gli ordini sono diretti a gruppi cui è ideologicamente vicino o, addirittura, legato. Basti ricordare la serie di post rivolti al neo primo ministro britannico, Keir Starmer, che aveva accusato X di aver ispirato le rivolte di quest’estate nel Paese.

Alexandre de Moraes, negli ultimi mesi, è diventato il nemico pubblico numero uno di Musk. Un nemico, nel dettaglio, «della libertà di parola» volendo usare un post dello stesso miliardario. Il giudice si è visto affibbiare diverse etichette: Voldemort, dittatore, tiranno. E ancora: Musk ha chiesto ai brasiliani di scegliere fra la democrazia e de Moraes. Invitando più o meno velatamente il popolo a rovesciare la Corte Suprema. Parole ritenute pericolose, visto quanto successo a Brasilia nel gennaio del 2023. La goccia che ha fatto traboccare il vaso e spinto de Moraes a sospendere X, per contro, è stata la mancata nomina da parte di Musk di un rappresentante legale in Brasile. Di qui, appunto, la sospensione di X, con il blocco che rimarrà in vigore fintantoché la piattaforma non si adeguerà alla legge. Dopo l’annuncio del blocco, Musk come noto ha lanciato l’account Alexander Files nel quale vengono pubblicati documenti che, a suo dire, dimostrano l’illegalità delle richieste formulate dal giudice.

Che cosa vogliono i governi?

La decisione è stata, in parte, fraintesa e, di nuovo, impugnata dagli utenti. I quali hanno descritto il Brasile come un Paese autoritario ed estremo. Di certo, se pensiamo (anche) al caso Telegram in Francia appare evidente il crescente interesse dei governi verso le piattaforme. Un interesse che, nel peggiore dei casi, potrebbe far rima con controllo. A suo tempo, per dire, aveva fatto discutere il blocco di TikTok deciso dal governo francese nel tentativo di sedare le proteste in Nuova Caledonia. Il timore, diciamo pure fondato, è che anche le democrazie inizino a comportarsi o possano comportarsi come gli Stati autoritari o dittatoriali. Iran, Russia e Cina, ad esempio, hanno già varato blocchi temporanei o permanenti a più piattaforme.

All’equazione, tuttavia, bisogna aggiungere l’aspetto della disinformazione e delle fake news, sin qui più o meno ignorato dai governi democratici. Proprio per rispetto del principio della libertà di espressione. Il punto, però, è che le autorità dei Paesi cosiddetti democratici si stanno rendendo conto, sempre di più, dell’impatto che queste false notizie hanno sulla tenuta politica e sociale degli stessi Paesi. Di qui le sanzioni, i blocchi, finanche gli arresti se pensiamo a Pavel Durov.

L'ideologia vale la candela?

La Tribune, fra gli altri, si chiede – arrivati a questo punto – che cosa sceglierà Musk, se l’ideologia o il mercato. Una domanda tutto fuorché esagerata, considerando che il Brasile, con 22 milioni di utenti, è un mercato molto importante per X. La sospensione del social, come avevamo già scritto, ha portato a una crescita di download e utenti delle app rivali, Bluesky e Threads.

La vicenda, in Brasile, per certi versi è perfino più complicata: SpaceX, un’altra azienda di Elon Musk, si è vista congelare le finanze del suo servizio satellitare Starlink. Il motivo? In questo modo, le autorità brasiliane intendono recuperare i 3 milioni di dollari di multe che X dovrebbe versare.

L'UE alla finestra

Alla finestra, evidentemente, c’è l’Unione Europea. Che, a suo tempo, aveva elaborato il Digital Services Act per responsabilizzare social network e colossi tecnologici rispetto ai contenuti pubblicati. Una sorta di compromesso che, in teoria, dovrebbe impedire di arrivare allo scontro come in Brasile. E però, come noto, a breve la Commissione Europea pubblicherà le sue conclusioni sull’indagine su X, reo di aver violato proprio il Digital Services Act. Musk ha già promesso battaglia, sempre con in testa l’idea e il valore della libertà di espressione. Anche qui, la domanda è sacrosanta: il patron di X, alla fine, cederà alle pressioni e si adeguerà alle leggi in vigore o manterrà le sue posizioni ideologiche? Ogni violazione del Digital Services Act, di regola, viene punita con multe che possono arrivare fino al 6% della cifra d’affari globale dell'azienda coinvolta. In caso di recidiva, c’è il rischio della messa al bando. Elon Musk vorrà davvero giocare (anche) questa partita?