Ucraina

Il business della guerra: gli affari d’oro dei grandi produttori di armi

Da quando è iniziato il conflitto in crescita il valore delle azioni delle aziende che producono strumenti di difesa – Gli Stati Uniti, sotto l'Amministrazione Biden, hanno inviato a Kiev un arsenale da due miliardi di dollari
Michele Montanari
15.04.2022 16:00

Nuovi armamenti dagli Stati Uniti all’Ucraina. L’annuncio è arrivato nei giorni scorsi dal presidente USA Joe Biden, che ha promesso al leader ucraino Volodymyr Zelensky l'invio di altri 800 milioni di dollari di  armi. Già, «altri». Gli Stati Uniti, infatti, hanno spedito in Ucraina strumenti di difesa e garantito assistenza militare per un totale di 2 miliardi di dollari dall'inizio dell'Amministrazione Biden. Il nuovo pacchetto, parole del presidente USA, «conterrà molti dei sistemi altamente efficaci che abbiamo già fornito e altri nuovi studiati per rispondere al più ampio attacco che la Russia lancerà nell'Ucraina orientale. Questi nuovi sistemi includono artiglieria e mezzi corazzati per il trasporto di soldati». Gli USA forniranno anche nuovi elicotteri. Sul sito della Casa Bianca si trova la lista completa di tutto ciò che è già stato spedito a Kiev. Vediamo di che si tratta.

Javelin e Stinger i più richiesti

Il pacchetto da 800 milioni di dollari annunciato lo scorso 16 marzo includeva: 800 sistemi antiaerei Stinger; 2.000 Javelin, 1.000 armi leggere anticarro e 6.000 lanciarazzi anticarro AT-4; 100 sistemi aerei tattici senza pilota; 100 lanciagranate, 5.000 fucili, 1.000 pistole, 400 mitragliatrici e 400 fucili a pompa; 20 milioni di munizioni per armi leggere, lanciagranate e per mortaio; 25.000 giubbotti antiproiettile e 25.000 caschi. Gli USA prima del 16 marzo avevano già inviato in Ucraina oltre 600 Stinger; circa 2.600 Javelin; 5 elicotteri Mi-17; 3 pattugliatori; 4 radar di tracciamento anti-artiglieria e anti-aerei senza pilota; 4 sistemi radar anti-mortaio; 200 lanciagranate e relative munizioni; 200 fucili a pompa e 200 mitragliatrici; quasi 40 milioni di munizioni per armi leggere e oltre 1 milione di granate e colpi di artiglieria; 70 veicoli HMMWV e altri mezzi; sistemi di comunicazione, sistemi di rilevamento per la guerra elettronica, giubbotti antiproiettile, caschi e altri equipaggiamenti tattici; equipaggiamento medico militare; apparecchiature per smaltire gli esplosivi e per lo sminamento; supporto di analisi e immagini satellitari. Una lista impressionante di strumenti di morte, pardon, di difesa. E gli USA non sono mica i soli: tra i fornitori dell'Ucraina c’è mezza Europa e il Canada.

Affari d'oro per i grandi produttori di armi

Per i produttori di armi, la guerra si traduce in affari d’oro, basti pensare che un solo Javelin, tra gli strumenti più utilizzati in Ucraina, costa circa 180 mila dollari. Per quanto riguarda i sistemi anticarro e gli Stinger, ci troviamo di fronte al classico caso in cui la domanda supera l’offerta, tant'è che gli USA si sono attivati per aumentarne la produzione. Il Dipartimento della Difesa americano, citato dalla CNN, ha parlato di un'accelerazione nella produzione «per poter rifornire le proprie scorte esaurite e continuare a inviare i sistemi alle forze ucraine». La linea di fabbricazione degli Stinger era stata chiusa, ma è stata riavviata proprio per far fronte ai bisogni del Paese invaso dai russi. Il primo produttore di Stinger al mondo è la Raytheon Technologies, mentre la Lockheed Martin si occupa dei Javelin. Come stanno queste aziende oggi? Lo scorso 14 aprile una singola azione della Raytheon Technologies valeva 104,02 dollari (il suo valore massimo da inizio anno), cioè il 33%  in più rispetto alla stessa data del 2021. Medesimo discorso per la Lockheed Martin: il 14 aprile una singola azione della società valeva 469,60 dollari (ad oggi un record), ossia il 21% rispetto alla stessa data dell'anno precedente. E non sono le sole, basta fare una ricerca sui siti come allbrands.markets per scoprire che le azioni delle maggiori aziende che operano nell’ambito della difesa stanno registrando una crescita generale, non per forza legata all’invio di armi in Ucraina: il mondo sembra esser tornato ad interessarsi agli strumenti di difesa da quando è scoppiata la guerra. Un esempio? Un’azione della svizzera RUAG il 14 aprile valeva 128,5 dollari: valore più alto del 2022, dopo una crescita iniziata, guarda caso, il 24 febbraio, data dell'invasione russa. Il sito investors.com a metà marzo faceva notare: «I titoli della difesa sono aumentati nei giorni successivi all'invasione russa dell'Ucraina, anche se il resto del mercato è caduto. Mentre l'Ucraina continua a resistere, gli alleati stanno inviando armi di costruzione europea e statunitense a Kiev, inclusi i missili anticarro Javelin di Lockheed Martin (LMT) e i sistemi di difesa Stinger di Raytheon (RTN)». Le due aziende sono citate tra le migliori in cui investire in questo periodo, insieme alla Boeing, conosciuta per la produzione di aerei civili, ma anche per jet militari come l’F/A-18 e l’F-15, alla Northrop Grumman, nota per la produzione del drone da ricognizione Global Hawk e i bombardieri stealth B-21, e alla General Dynamics, tra le maggiori produttrici al mondo di carri armati e del jet F-16.

I più grandi esportatori

Gli Stati Uniti sono il più grande esportatore al mondo di armi: nel periodo 2017-2021 hanno coperto il 39% delle esportazioni totali. Dietro agli USA, la Russia (19%) e la Francia (11%). Seguono Cina, Germania, Italia, Regno Unito, Corea del Sud, Spagna e Israele. La Svizzera è al 15esimo posto. Nel 2021 le imprese elvetiche hanno esportato materiale bellico per un valore di 740 milioni di franchi in 67 Paesi. I principali clienti sono stati Germania (123 milioni), Danimarca (96 milioni), Stati Uniti (90 milioni), Romania (87 milioni) e Botswana (64 milioni).

E la Russia?

La Russia non ha certamente bisogno di forniture militari dall'estero come l’Ucraina, eppure, secondo il «Guardian» starebbe ricevendo munizioni e armi provenienti dall'Iraq con l'aiuto delle reti di contrabbando iraniane. I membri dell’UE, dopo l’invasione della Crimea del 2014, si sono accordati per un embargo di armi verso Mosca, ma tra il 2015 e il 2020 alcuni Paesi avrebbero comunque venduto attrezzatura militare alla Russia di Putin. È quanto emerge da un’inchiesta di «Investigate Europe» pubblicata lo scorso 17 marzo. L’articolo cita l’Italia, che, nel 2015, avrebbe venduto veicoli blindati Iveco a Mosca per 25 milioni di euro, la Francia e la Germania.

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