Il Calvario dei cristiani in Siria tra persecuzione e speranza
Nel complesso mosaico che va a comporre la Siria, un ruolo ce l’hanno sempre avuto anche le comunità cristiane che storicamente sono sempre state circa il 10% della popolazione siriana. Guerre, persecuzioni e conversioni forzate hanno ridotto i cristiani da oltre due milioni a meno di mezzo milione, ma il loro futuro appare ancora incerto sotto i nuovi padroni di Damasco. Abu Muhammad al-Jolani, che si è presentato alla popolazione della capitale con il suo vero nome Ahmad Sharaa, ha usato parole di moderazione e apertura verso tutte le etnie e religioni che convivono in Siria. Ma i componenti del suo gruppo Hayat Tahrir al Sham, che domina la coalizione che ha abbattuto il regime di Assad, hanno un passato come membri di al Nusra, il rappresentante di al Qaeda in Siria, e questo lascia molti dubbi su quanto potrà essere moderato il Governo che verrà instaurato nel Paese mediorientale.
Ad Aleppo regna la calma
Monsignor Joseph Tobji è l’arcivescovo maronita di Aleppo, la grande città settentrionale da cui è partita l’avanzata che ha fatto crollare il regime siriano. «Ad Aleppo ora regna una relativa calma dopo diversi giorni di festeggiamenti della popolazione che è scesa nelle strade, ma è molto prematuro parlare di una società pronta a vivere in pace», racconta. «Sappiamo che i combattimenti stanno continuando sia a est che a nord, ma non nella nostra città anche se alcuni episodi di violenza si sono già verificati ad Aleppo. I gruppi che hanno preso il potere sono più di uno e manca un’idea chiara di chi amministrerà realmente il potere in Siria. Ci sono milizie che hanno armato i bambini e li hanno mandati a combattere in prima linea, per noi è un tragedia vedere le nuove generazioni siriane distrutte dalla violenza della guerra. Siamo ancora molto lontani dal poter parlare di un paese sicuro e pacificato». Aleppo era già stata un campo di battaglia nella lunga guerra civile siriana ed aveva vissuto sul suo territorio anche il controllo da parte degli islamisti di al Qaeda e dello Stato Islamico. Ma è apparso subito chiaro che il crollo del regime assadiano fosse vicino quando è caduta Homs, terza città della Siria, che ha aperto la strada verso la capitale Damasco.
I profughi
Padre Jacques Murad è l’arcivescovo cattolico di Homs e ha vissuto le drammatiche ore della caduta della città. «Arrivavano centinaia di profughi cristiani dalla provincia di Aleppo utilizzando strade secondarie per evitare gli scontri e noi abbiamo subito organizzato dei punti di accoglienza», ricorda. «Mancava tutto e non eravamo preparati ad un collasso governativo di queste proporzioni, le autorità del regime sono scomparse così come tutto quello che rappresentava il Governo di Assad». All’inizio, prosegue padre Murad, «eravamo tutti molto spaventati perché non riuscivamo a capire cosa stesse accadendo e perché stesse accadendo così rapidamente. Conosciamo bene gli estremisti islamici, io stesso sono stato rapito nel 2015 da un gruppo di jihadisti insieme ad un centinaio di fedeli cristiani e so quanto sia difficile vivere sotto il loro dominio. Noi siamo stati portati all’interno delle aree sotto il controllo del Califfato dello Stato Islamico e ci siamo rimasti per mesi fino a quando anche la loro capitale Raqqa è stata riconquistata, ma era un posto davvero terribile. Il popolo siriano ha sofferto molto in tutti questi anni e non può sopportare altra sofferenza. Tutto quello che accade in Siria è responsabilità delle potenze straniere dagli Stati Uniti all’Europa e soprattutto della Russia che ha bombardato Aleppo anche nelle ultime settimane. La comunità internazionale si è dimenticata di noi e ci ha abbandonato, ma ora dobbiamo ricostruire la Siria e ci auguriamo che tutti gli sfollati possano tornare al più presto nelle loro case e riprendere la loro vita quotidiana». I racconti dei cattolici siriani sono accomunati da storie di sofferenza e persecuzione, ma lo spirito della speranza rimane. Sempre. Come spiega Samir Nassar, attuale arcieparca (l’equivalente dell’arcidiocesi della Chiesa Latina) cattolico-maronita di Damasco e guida la sua comunità dalla nomina da parte di Papa Benedetto XVI nel 2006. «Noi cristiani facciamo parte della storia della Siria, siamo arrivati qui secoli prima dell’islam e conviviamo da anni con i musulmani. Per noi durante la dittatura degli Assad è stato difficile e la lunghissima guerra civile ha colpito pesantemente i cristiani: in milioni sono stati costretti ad abbandonare il nostro Paese. Questi primi giorni ci fanno ben sperare, il Governo che si è insediato a Damasco ha fatto tante promesse parlando di tolleranza e di vivere tutti insieme, il loro leader ha chiamato fratelli i cristiani. I musulmani sunniti in Siria rappresentano il 75% della popolazione ed è giusto che il governo sia guidato da loro, l’anomalia era tutto il potere concentrato nelle mani degli alawiti che non superano il 10% dei siriani. È un momento molto delicato e dobbiamo restare uniti per affrontarlo, dobbiamo superare la paura che ci ha accompagnato per troppo tempo. Serve tempo per cancellare 54 anni di dittatura e dobbiamo lavorare insieme per costruire una società che rispetti tutte le minoranze. Vedo due atti che mi fanno ben sperare: la necessaria revoca delle sanzioni economiche che permetteranno di ripartire e l’abolizione del servizio militare obbligatorio che aveva fatto fuggire dalla Siria milioni di giovani terrorizzati da quell’esperienza». Concetti ribaditi da tutte le principali autorità ecclesiastiche della Siria, ma monsignor Joseph Tobji si spinge oltre. «Questo è un momento storico e noi cristiani dobbiamo fare la nostra parte per ricostruire la società siriana. Vogliamo essere considerati un partner attivo e propositivo per tutti, ma abbiamo bisogno di formare i nostri giovani perché per mezzo secolo non avevamo il permesso di partecipare alla vita politica della Siria. Gli altri hanno sempre parlato ed agito per noi, ma adesso i cristiani hanno voglia di essere protagonisti. Tanti fratelli in questi anni venivano da me dicendo che non capivano perché il popolo siriano dovesse subire così tante sofferenze, dobbiamo capire se quel capitolo è davvero chiuso e se adesso ci sarà spazio per noi che ci sentiamo parte di questa terra».