La testimonianza

Il cittadino svizzero tornato in Ucraina per combattere i russi

Jona Neidhart, dopo essere stato per quasi due anni al fronte, ha deciso di lasciare nuovamente la Svizzera – Al suo ritorno, potrebbe essere condannato a 4 anni e mezzo di carcere: «Sempre che non muoia in missione»
© AP/Evgeniy Maloletka
Red. Online
01.01.2025 12:30

Dopo due anni di guerra, lo scorso giugno Jona Neidhart è tornato in Svizzera. Ha combattuto per l'esercito ucraino e, una volta rientrato nella Confederazione, è stato arrestato. L'arruolamento in un esercito straniero, infatti, è proibito dalla legge. Teoricamente, è punibile addirittura con tre anni di reclusione. Il Blick, in esclusiva, riferisce che lunedì Neidhart, zurighese, è tornato nel Paese in guerra. «Voglio tornare al fronte» ha confidato al quotidiano. «Preferibilmente, con un'unità che combatta in prima linea, in modo da poter prendere a calci nel sedere i russi». Neidhart ha raggiunto l'Ucraina con un viaggio piuttosto lungo, due giorni in tutto, fra autobus e treno. «Ho viaggiato con gli stessi due zaini che ho portato nella mia prima missione».

L'obiettivo dell'elvetico è chiaro: registrarsi in un centro di reclutamento dell'esercito e, appunto, trovare un'unità che abbia bisogno di lui. Sin qui, ha servito Kiev come mitragliere, fuciliere e, infine, carrista. «Sono aperto a molte cose» ha spiegato. Se potesse scegliere, ha aggiunto, si aggregherebbe al Battaglione Azov o alla Terza Brigata d'Assalto. Entrambe le unità, in passato, sono state accusate di veicolare valori dell'estrema destra. «Per me è importante che le brigate combattano in modo efficace» ha spiegato il diretto interessato, prendendo le distanze da eventuali infiltrazioni filo-naziste. «Sono entrambe tra le migliori truppe dell'esercito. I russi le temono. E in linea di principio sono aperte ai legionari internazionali come me».

Aver fatto parte, per quasi due anni, di un esercito straniero, come detto, è un problema. Neidhart, infatti, rischia fino a tre anni di prigione in Svizzera. La scorsa estate, non a caso, la giustizia militare elvetica ha aperto un procedimento nei suoi confronti. Neidhart ha consegnato ai giudici istruttori le sue agende e i documenti di identità militari. «Mi consegno alla legge e mi assumo la piena responsabilità delle mie azioni» aveva dichiarato, lo scorso giugno appunto, prima di consegnarsi a una stazione di polizia di Berna. In linea di principio, Neidhart non potrebbe lasciare il Paese fino alla sentenza. Questo, almeno, è quanto era stato concordato con la giustizia militare. Ma dopo sei mesi di permanenza in Svizzera, ha spiegato Neidhart, non poteva più stare a guardare mentre le truppe di Vladimir Putin avanzano. «Le mie interviste, le conferenze e tutti gli eventi a cui ho partecipato hanno raggiunto soprattutto persone che sono già comunque pro-ucraine» ha detto lo zurighese. «Ma io voglio svegliare la Svizzera e contribuire a far sì che questa guerra non venga dimenticata».

D'altro canto, Neidhart ha sempre pensato che il suo ritorno in Svizzera, a giugno, fosse temporaneo. Il fatto che gli ingranaggi della giustizia militare stiano girando così lentamente non è un motivo per modificare i suoi piani, ha dichiarato: «L'Ucraina ha bisogno del mio e del nostro aiuto ora, non più tardi». Non è insolito che i procedimenti giudiziari richiedano molto tempo, scrive il Blick. Recandosi nuovamente in Ucraina, per contro, Neidhart corre il rischio di essere condannato a quattro anni e mezzo di carcere invece di tre. Parallelamente, è in esame un'iniziativa parlamentare del consigliere nazionale socialista grigionese Jon Pult. Iniziativa che chiede l'impunità per tutti i cittadini svizzeri che combattono in Ucraina.

Neidhart, dicevamo, è consapevole delle conseguenze del suo ritorno in Ucraina: «Comparirò di nuovo davanti ai tribunali svizzeri se sopravviverò alla mia missione. Ma non prima della fine della guerra». La situazione in Ucraina, intanto, si è deteriorata e pure parecchio dopo la sua partenza a giugno: «La città di Novoselivske, che avevamo difeso con la nostra unità per sette mesi, è caduta. Lo stesso dicasi per il villaggio di Kruhlyakivka, vicino alla città di Kupiansk, dove eravamo stati a lungo». Niedhart, in ogni caso, non demorde: «Combattere è nella natura dell'uomo. E naturalmente, in un certo senso, è stato anche un piacere fermare i russi insieme a buoni compagni». La sua motivazione, a questo giro, è la stessa che lo spinse ad arruolarsi una prima volta: «La posta in gioco in questa guerra è molto più alta dei territori ucraini. Si tratta di difendere i nostri valori e la nostra democrazia». Se la Russia riuscisse a mantenere anche solo una piccola parte dell'Ucraina, sarebbe una vittoria per Putin e un chiaro segnale per tutti gli altri leader del mondo: «L'Occidente può essere messo in ginocchio senza problemi se lo mettiamo sotto pressione abbastanza a lungo».

Niedhart, fervente cattolico, non ha paura della morte ha spiegato al Blick: «La mia volontà è scritta, le mie convinzioni sono incrollabili. Guardo il mio destino negli occhi, rilassato». Rilassato e pronto, se caso, a dare la vita per la causa ucraina.