L'intervista

«Il confine fra Italia e Svizzera? Raramente è stato una barriera culturale e sociale»

A tu per tu con Monika Schmutz Kirgöz, ambasciatrice svizzera a Roma, fresca di Premio Gazzetta Diplomatica quale «Ambasciatore dell’anno 2023»
© CdT/Gabriele Putzu
Stefania Briccola
07.11.2023 09:30

La stabilità politica e la crescita economica, il principio di neutralità e la tradizione umanitaria fanno della Svizzera un Paese affidabile e rispettato nel mondo. «La cassetta degli attrezzi di un diplomatico elvetico è meglio assortita e ordinata, ma soprattutto è complementare a quella di molti Paesi, Italia compresa, e istituzioni partner con i quali condividiamo gli obiettivi universalmente riconosciuti dall’Organizzazione delle Nazioni Unite». Lo dice Monika Schmutz Kirgöz, ambasciatrice svizzera in Italia, classe 1968, basilese d’origine ticinese, di stanza a Roma ma con trascorsi a Tel Aviv, Beirut e Istanbul nella sua lunga e brillante carriera. A lei va il Premio Gazzetta Diplomatica «Ambasciatore dell’anno 2023» conferito da una giuria internazionale per essersi distinta nella sua attività in Italia al fine di migliorare le relazioni bilaterali. La cerimonia di premiazione si è tenuta lunedì pomeriggio al Circolo degli Esteri di Roma dove sono stati assegnati i riconoscimenti intitolati alla memoria di Giovanni Jannuzzi, esponente di spicco della diplomazia italiana.

Ambasciatrice Schmutz Kirgöz, come ha accolto la notizia del premio «Ambasciatore dell’anno 2023» in Italia?
«Questo premio innanzitutto rappresenta un grande onore non solo per me, ma per tutto il mio team per il lavoro svolto dall’ambasciata e dalla Svizzera sul territorio italiano. Nel Belpaese c’è un Consolato generale di Svizzera a Milano e ci sono dieci Consolati onorari. Siamo una rete abbastanza presente e facciamo molto per esserlo. Alcuni miei colleghi di altri Paesi dicono che siamo quasi iperattivi. Nella nostra realtà quotidiana di diplomatici elvetici dobbiamo fare un po’ di più per avere contatti e per ricordare a tutti che la Svizzera c’è ed è importantissima. In Italia siamo molto presenti nelle Università e cerchiano un dialogo intenso con i giovani. Tutti questi fattori hanno probabilmente contribuito alla decisione di conferirci il premio».

Nel bilancio dell’attività svolta di recente nell’ambito dei rapporti tra Svizzera e Italia di quale risultato va più fiera?
«Grazie al lavoro individuale e congiunto svolto, perché bisogna ricordare che un’Ambasciata è composta da una squadra di molte persone, sono particolarmente fiera di aver organizzato a ottobre dell’anno scorso il forum italo-svizzero a Zurigo seguito in novembre dalla visita di Stato del presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, nella Confederazione, avvenuta proprio nell’anno di presidenza del consigliere federale Ignazio Cassis. Avere un presidente della Confederazione di madrelingua italiana ha reso l’occasione ufficiale ancora più speciale. In Ambasciata a Roma, da quando mi sono insediata due anni fa, abbiamo avuto quasi 20 visite di consiglieri federali e questo la dice lunga su quanto l’Italia sia importante per la Svizzera».

Quale è il supporto della Svizzera all’Italia nella gestione dei flussi migratori?
«La Svizzera sta facendo molto per sostenere l’Italia nel fronteggiare la migrazione. Finanziamo un progetto nel Belpaese, del valore di 727.000 franchi, che garantisce la presenza di specialisti dell’OIM (Organizzazione internazionale per le migrazioni) che assistono le autorità italiane nella prima accoglienza e nella registrazione dei migranti, contribuendo così ad accelerare le procedure di asilo. Oltre a questo progetto a breve termine, c’è l’obiettivo di intensificare la cooperazione in materia di migrazione nell’ambito del Contributo svizzero ad alcuni Stati membri dell’Unione Europea. La Svizzera ha destinato 20 milioni di franchi a un programma di sostegno alla gestione della migrazione con l’Italia che nello specifico si occupa delle strutture di accoglienza e dei servizi di assistenza per i minorenni stranieri non accompagnati. Se l’Italia rafforzerà la sua governance della migrazione, anche il nostro Paese ne trarrà beneficio. Inoltre, questa forma di collaborazione bilaterale offre una piattaforma per scambi più stretti e regolari nel campo della migrazione. I negoziati per un accordo bilaterale sono attualmente in corso. La Svizzera è consapevole del fatto che gli arrivi in Italia sono aumentati considerevolmente di recente e riconosce il sostegno dato dalla popolazione locale e dalle autorità italiane all’accoglienza e all’assistenza dei migranti».

Cosa ha comportato l’uscita della Svizzera dalla black list fiscale italiana del 1999?
«Per la Svizzera questo si traduce in un ulteriore importante passo in avanti nelle relazioni fiscali tra i due Paesi e costituisce un nuovo traguardo che si aggiunge a quelli ottenuti in questo ambito negli ultimi anni. La cancellazione dall’elenco del 1999 avrà effetto a partire dal 1° gennaio 2024 e la conseguenza di maggior impatto sarà l’eliminazione dell’onere amministrativo aggiuntivo per le persone residenti in Italia che desiderano trasferire il proprio domicilio in Svizzera. Tra le novità positive posso affermare che, dopo svariati anni, la Svizzera non figurerà più finalmente su alcuna lista nera di un Paese vicino».

Può dare un’idea dei rapporti tra Italia e Svizzera tradotta in numeri?
«Un dato che spicca su tutti è la frontiera condivisa di quasi 800 chilometri, la più lunga per entrambi i due Paesi. Più di 51.000 cittadini svizzeri risiedono attualmente in Italia, mentre gli italiani in Svizzera sono oltre 332.000 e rappresentano il maggior gruppo di popolazione straniera residente nella Confederazione Svizzera. A questi bisogna aggiungere altri 300.000 cittadini circa che possiedono la doppia cittadinanza italiana e svizzera. Le 3.000 imprese svizzere presenti nella Penisola impiegano quasi 120.000 persone in Italia contribuendo così in misura notevole al valore aggiunto delle imprese estere in Italia. La Svizzera è stabilmente il quarto Paese di destinazione per l’export italiano: conta come Cina, Brasile e India insieme. Inoltre, la Svizzera e l’Italia scambiano beni e servizi per un miliardo di euro a settimana. Come è comprensibile, circa il 40% degli scambi si concentra nelle regioni a cavallo del confine. In 10 anni, l’Italia ha totalizzato quasi 40 miliardi di euro di surplus negli scambi commerciali con la Svizzera e gli investimenti svizzeri in Italia ammontano a oltre 20 miliardi di euro. L’Italia è molto amata dai circa 3 milioni di turisti svizzeri che la visitano ogni anno, generando un indotto di circa 2,5 miliardi di euro nel Belpaese».

Il concetto di confine tra Italia e Svizzera ha da sempre avuto peculiarità specifiche che ne hanno connotato l’evoluzione nei secoli. Spesso, in particolare dall’inizio del XVI secolo, è stato una barriera più che altro politica, ma raramente culturale o sociale

Come è cambiato il senso della frontiera nel tempo?
«Il concetto di confine tra Italia e Svizzera ha da sempre avuto peculiarità specifiche che ne hanno connotato l’evoluzione nei secoli. Spesso, in particolare dall’inizio del XVI secolo, è stato una barriera più che altro politica, ma raramente culturale o sociale. La gente ha continuato a spostarsi tra le regioni di frontiera: la loro quotidianità ha sempre prevalso sulle contingenze storiche e sulle convenzioni. Vedo la linea di confine come un’opportunità: come dico spesso, è una linea che invece di dividerci ci unisce. Dal secondo dopoguerra, l’integrazione europea ha compiuto passi da gigante e la Svizzera ha saputo cogliere le circostanze favorevoli che ne sono derivate, senza tuttavia diventare Stato membro dell’UE a tutti gli effetti».

Quale immagine della Svizzera oltre gli stereotipi desidera portare nel mondo?
«Alcuni stereotipi tipici del nostro Paese riguardano la piazza finanziaria, il cioccolato e gli orologi, ma la Svizzera è molto più di questo. Si tratta di un Paese estremamente innovativo e multiculturale, che volge lo sguardo verso il futuro e collabora strettamente con i suoi partner, tra cui l’Italia. Quando si pensa alla Svizzera, intesa in senso politico, si fa riferimento anche alla sua neutralità e alla lunga tradizione umanitaria, rafforzata anche dalla presenza del Comitato internazionale della Croce Rossa a Ginevra, però la stessa è conosciuta anche come la patria di investimenti attrattivi, specialmente quelli ad alto valore aggiunto, tipici dei settori legati all’innovazione e alle nuove tecnologie. I nostri istituti di ricerca e di formazione accademica, come le scuole politecniche di Zurigo e Losanna e le università, godono di un’ottima reputazione in Italia e nel mondo».

Quale è il valore aggiunto della neutralità svizzera nella politica internazionale e nella vita diplomatica?
«La neutralità costituisce uno dei fondamenti della politica estera svizzera e oserei dire che fa parte dell’identità elvetica e viene sostenuta da larga parte della popolazione. In virtù di questo principio, il Paese non può partecipare a conflitti armati né stringere alleanze militari. La comunità internazionale ha formalmente riconosciuto la Svizzera come Stato neutrale nel 1815. Questo strumento che portiamo nel bagaglio della diplomazia svizzera ci permette virtualmente di avere un dialogo con tutte le parti e di poter quindi offrire una serie di garanzie a tutela di autorevolezza e di imparzialità nei confronti dei propri interlocutori: questo ha reso possibili le mediazioni di successo avute negli anni passati. Si pensi per esempio alla recentissima mediazione avvenuta nel quadro del processo di pace in Colombia: la Svizzera è diventata Stato garante nei negoziati tra il Governo e i ribelli dell’Estado Mayor Central de las FARC-EP».

Come ricorda la visita ufficiale in Libano nel 2018 di Alain Berset, allora Presidente della Confederazione, mentre lei era ambasciatrice della Svizzera a Beirut?
«C’era questo desiderio del presidente Alain Berset di incontrare tutti i capi religiosi del Libano e volevamo coinvolgere tutti gli interlocutori perché avevano tanto da dire. Un ambasciatore di un Paese europeo mi disse di scordarmi di fare una cosa simile perché sarebbe stata un’impresa impossibile. Invece ci siamo riusciti proprio per la credibilità che deriva dalla neutralità di una Svizzera che parla con tutti».

Come ha fronteggiato l’emergenza dell’esplosione di 3.000 tonnellate di nitrato d’ammonio a Beirut che travolse l’ambasciata svizzera e le provocò anche delle ferite? Nonostante tutto la Svizzera fu il primo Paese a mandare aiuti in Libano…
«In virtù della sua lunga tradizione umanitaria, la Svizzera, tramite il Dipartimento federale degli affari esteri, possiede un Corpo d’aiuto umanitario efficiente che si mobilita rapidamente al fine di condurre azioni preventive o di assistere le popolazioni bisognose durante e dopo conflitti e catastrofi all’estero. Vanta un’ampia tipologia di interventi, tra i quali proprio le azioni di ricerca e salvataggio intraprese in seguito all’esplosione nella capitale libanese o al terremoto avvenuto in Turchia all’inizio di quest’anno. Io stessa ho ricevuto aiuto costante durante quei difficili momenti in Libano. Non solo la Svizzera è stato il primo Paese a dare supporto a Beirut, ma siamo rimasti fino a quando due ospedali e due scuole sono state interamente ricostruite. Non dimentichiamo che eravamo nel periodo della pandemia da Covid. Questo mi rende molto fiera del nostro Paese».

Sono cresciuta con la mia famiglia nel Cantone di Basilea Campagna. Sono anche attinente di Chiasso e la mia casa in Svizzera si trova nella zona di Lugano, in cui ritorno spesso perché apprezzo il paesaggio naturale ricco di verde

C’è un luogo del cuore dove ritorna sempre?
«Sono cresciuta con la mia famiglia nel Cantone di Basilea Campagna. Sono anche attinente di Chiasso e la mia casa in Svizzera si trova nella zona di Lugano, in cui ritorno spesso perché apprezzo il paesaggio naturale ricco di verde. Con il Ticino ho un legame profondo. Un altro luogo dove torno volentieri è Istanbul».

Che cosa ha significato entrare in diplomazia quando ancora era una carriera quasi preclusa alle donne?
«Negli ultimi vent’anni il numero di donne nella diplomazia svizzera è aumentato costantemente perché rappresentano il 36% del corpo diplomatico e il 21% dei capi missione. Inoltre, dei 5 posti di Segretario di Stato della Confederazione, 4 sono ora occupati da donne. Oggi su 7 Consiglieri federali, 3 sono donne. La Svizzera è stato l’ultimo Paese europeo ad aprire il suo Dipartimento degli affari esteri alle donne, nel 1956, e da allora sono stati fatti molti progressi. Per molto tempo è stato raro trovare diplomatiche ai più alti livelli. Tuttavia la prima ambasciatrice svizzera donna è stata proprio la ticinese Francesca Pometta, negli anni Ottanta, che rappresentò la Svizzera in Italia. C’è anche una sala all’interno di Palazzo federale Ovest, la sede del DFAE svizzero a Berna, dedicata a lei. Inoltre, quando finalmente il servizio diplomatico è stato aperto alle donne, queste non avevano le stesse opportunità degli uomini. Fortunatamente, e grazie agli sforzi congiunti, questa tendenza si sta invertendo. Nella mia esperienza, mi sono capitate situazioni, talvolta divertenti, che riflettono una distanza da colmare ancora presente. Anni fa quando avevo mio figlio in fasce ero vista come una mamma che lavora anomala. Ho combattuto molte battaglie e sono felice di averle fatte quando penso che forse oggi sono fonte d’ispirazione per le nuove generazioni».

Come si concilia il ruolo di ambasciatrice, moglie e madre?
«Chi intraprende la carriera diplomatica sceglie una professione, ma anche uno stile di vita. Ci viene assegnato un nuovo incarico ogni tre o quattro anni. Il delicato equilibrio tra vita professionale e familiare viene stravolto: deve essere ricostruito in un altro Paese, spesso molto diverso dal nostro, e in una nuova casa. Questo richiede grande spirito di adattamento da parte dei nostri cari, che ci accompagnano ai quattro angoli del mondo. Inoltre, la linea che divide la sfera privata da quella pubblica e professionale è molto sottile: come ogni persona politicamente esposta, anche i diplomatici devono prestare cautela alle azioni prese a titolo privato. Penso all’esplosione a Beirut nell’agosto 2020 che per fortuna non ha coinvolto i miei famigliari che in quel momento erano assenti».

Come vive Roma, la città eterna dove anche il Borromini che giunse dal Ticino ha lasciato il segno?
«Di Roma amo i colori a partire dal cielo sotto il quale tutto appare più bello. Ogni volta che passo davanti alle chiese di San Carlo alle Quattro Fontane, nel rione di Monti, o alla Chiesa di Sant’Ivo alla Sapienza, in zona Sant’Eustachio, realizzate dal Borromini nell’attuale capitale italiana, rivivo la magia dell’architettura barocca. Roma offre una varietà incredibile di eventi culturali, di monumenti e opere d’arte, è una città dove nei secoli si è declinata la costruzione della bellezza sotto molteplici aspetti. Ho il privilegio di vivere a Roma e di rappresentare la Svizzera in una sede ricca di storia come villa Monticello».

Lei è una poliglotta. In quale lingua pensa e sogna?
«Parlo tedesco, francese, italiano, inglese e turco, posso capire lo spagnolo, un po’ meno l’arabo e l’ebraico e avevo – tanto tempo fa – imparato bene l’indonesiano, ma sogno ancora in basilese, in Schwyzerdütsch, la mia Muttersprache, pardon la mia lingua madre, quella della mia gioventù».

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