Il Cremlino ha ancora amici in Europa
Non ha diviso l’Europa. E, come detto, verosimilmente non se lo aspettava quando ha pianificato l’invasione dell’Ucraina. Eppure, Vladimir Putin ha ottenuto due piccole vittorie nel Vecchio Continente. Tanto in Ungheria quanto in Serbia, infatti, i partiti apertamente e dichiaratamente filo-russi hanno vinto le legislative. Come dire: nonostante il fronte, unito, dell’Occidente, il presidente russo ha ancora diversi amici.
Mosca, l'UE e la NATO
A colpire, in particolare, è stato il trionfo del primo ministro magiaro Viktor Orban e del suo partito nazionalista, Fidesz. La Russia, a chilometri di distanza, ha abbozzato un sorriso. L’Ungheria, infatti, è membro dell’Unione Europea e della NATO. Per osmosi, dunque, Mosca ha mantenuto un piede in entrambe le organizzazioni nemiche.
Domenica sera, Orban non è certo stato tenero nel suo discorso. La vittoria, la sua vittoria, non soltanto si poteva vedere dalla luna. Ma anche, anzi soprattutto, «da Bruxelles». Il leader nazionalista, quindi, ha ribadito di aver lottato contro un’enormità di avversari: i burocrati dell’Unione, i media occidentali, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, definito senza troppi complimenti «un avversario».
Zelensky, da parte sua, nelle scorse settimane si era lamentato del sostegno tiepido ricevuto dall’Ungheria dopo lo scoppio della guerra.
Putin, fiutato il sangue, manco a dirlo si è precipitato al telefono per complimentarsi e congratularsi con Orban.
L'Ungheria non dimentica
Detto ciò, appare difficile sostenere la tesi di una (nuova) putinizzazione, chiamiamola così, dell’Ungheria. Da un lato, perché il Paese ha ancora una memoria storica forte, fortissima. E di certo non ha dimenticato i carri armati dell’Armata Rossa, nel 1956. Dall’altro, perché lo stesso Orban, pur non pubblicizzandolo troppo, ha assecondato le sanzioni dell’Unione Europea nei confronti della Russia e non si è mai discostato molto dalla linea di Bruxelles e dell’Occidente.
Orban, questo sì, non ha visto di buon occhio il sostegno – in termini di armi e componenti militari – a Kiev. E ha una posizione tutta sua sul gas e sul petrolio provenienti dalla Russia, quantomeno sul ventilato blocco cui sta lavorando l’UE.
Un’ostinazione, questa, che ha infastidito e non poco la Polonia, fino a ieri l’altro grande alleata di Budapest in ottica anti-Bruxelles: pensiamo alle ripetute trasgressioni circa lo stato di diritto in Europa, mai veramente punite. Prima della guerra, i due Paesi viaggiavano a braccetto e si difendevano vicendevolmente nei corridoi dell’UE. Che ne sarà, dopo il conflitto, di questi rapporti?
Quel treno per Budapest
La Serbia, rispetto all’Ungheria, non è né membro NATO né, al momento, fa parte dell’Unione Europea. I negoziati che potrebbero portare a un’adesione di Belgrado all’UE dovrebbero concludersi nei prossimi due anni.
Fresco di rielezione, il presidente Aleksandar Vucic non ha nascosto un certo imbarazzo di fronte all’invasione russa dell’Ucraina. Per anni, infatti, ha cercato di bilanciare nel migliore dei modi l’influenza russa – culturale, sociale ed economica – con la spinta verso Occidente.
Mosca, ad oggi, rimane un partner privilegiato. Lo dimostra la recente inaugurazione della tratta ferroviaria Belgrado-Novi Sad, parte dell’imponente progetto ad alta velocità Belgrado-Budapest. I lavori sono stati finanziati da due società cinesi e nientepopodimeno che dalle Ferrovie statali russe attraverso la holding RZD International.
La Serbia, con la Russia, non ha soltanto legami ma pure (forti) dipendenze. Gas in particolare. Anche il suo esercito ha collaborato e collabora con quello di Mosca.
Belgrado, almeno, ha sostenuto due risoluzioni delle Nazioni Unite che condannano l’invasione russa. Tuttavia, si è rifiutata di imporre sanzioni contro Mosca.
Allargando il campo, il Cremlino si è finora rifiutato di riconoscere il Kosovo. A conferma dei rapporti strettissimi fra i due Paesi.
Orban preferisce «restare»
Due vittorie piccole, dicevamo. Finanche piccolissime. Buone, stando agli analisti, per la propaganda russa e poco altro. Orban, agli occhi dell’Unione Europea, non è cambiato dall’oggi al domani né cambierà dopo questo successo elettorale. Bruxelles ha imparato a conviverci, magari imparerà anche a punirlo. Di più, l’impressione è che – proprio come nel condannare l’invasione – Budapest nel momento del bisogno saprà sempre da che parte stare. Lo stesso Orban si trova molto più a suo agio a criticare l’Unione dal suo interno che standone fuori.